"Il nostro meglio" di Thi Bui (Mondadori, traduzione di Veronica Raimo)
Sono giorni insopportabili di
discussioni relative a cancellazioni di film e alla loro (forse)
rimessa in circolo solo dopo gli insopportabili spiegoni del bravo
intellettuale di turno, di voglia di abbattimento di statue di personaggi
sgraditi (so bene che molti di questi personaggi erano dei pezzi di merda), di ritiro dagli scaffali dei pericolosissimi Moretti (dolci che ho sempre
detestato), di ricerca di una purezza che puzza sempre di censura, forche e
fosse comuni.
Quando non mi trovo d'accordo con questo andazzo
finisco sempre per essere accusato di essere mezzo fascista, complice
di questo o quell'altro. Stessa cosa quando mi becco del complice dei
mafiosi o degli assassini perché mi occupo di carceri. Un maledetto circolo
vizioso che mi fa mancare il fiato.
Oggi ero veramente
scocciato, triste, incazzato ma per fortuna sono tornato a respirare
leggendo lo splendido graphic memoir di Thi Bui “Il nostro meglio”(Mondadori, traduzione di Veronica Raimo) che racconta, attraverso la voce
narrante dell'autrice, di una famiglia vietnamita sfuggita negli
Stati Uniti dopo il ritiro degli Stati Uniti.
Un'opera straziante e stratificata che ha il grande pregio di restituire tutta la complessità dell'essere umano, dell'esistenza e i suoi sfuggenti possibilità d'interpretayioni, la sua sporcizia, le sue luci e le sue ombre, la storia complicata del Vietnam che in Occidente è ormai divenuta solo e soltanto quella restituita dai film che denunciano gli orrori dell'intervento militare statunitense e glissano sulle responsabilità, per esempio, della dittatura comunista.
Forse mi ci sono ritrovato ancora di più ripensando alla mia vita e alla storia della mia famiglia accusata da molti di essere troppo borghese per essere di sinistra, di essere una genia maledetta di repubblicani liberali del cazzo o di azionisti servi degli Stati Uniti e persino monarchici, di essere una famiglia fascista perché anticomunista, di essere troppo cattolica per poter parlare di diritti individuali, di essere una famiglia di capitalisti avendo un alberghetto di provincia e percio' senza il diritto di poter parlare di difficoltà economiche e sacrifici per campare, di essere una famiglia di privilegiati per aver mandato i figli a scuola, di essere dei comunisti per aver aiutato gli immigrati, di essere dei fascisti perché in casa si leggevano libri vietati, di essere amici degli industriali perché avevamo e abbiamo dirigenti o direttori di fabbrica e dello stato, di essere degli snob perché non hanno mai amato le feste di paese, di essere dei sottoproletari puzzoni e nullafacenti che non hanno mai amato lavorare nei campi, di essere dei pazzi, dei malati di mente, dei figli di nessuno.
Ho pensato alla ritrosia di gran parte dei famigliari di raccontare la propria vita. Ai silenzi di mio nonno quando gli chiedevo di raccontarmi della sua vita da partigiano. Alle storie della mia famiglia che mi arrivano ancora oggi a brandelli a costruire un affresco inspiegabile di versioni contrastanti.
E niente, tutto qua, solo per dire che questa graphic novel è davvero bellissima e pagina dopo pagina ho pensato anche alla mia ex collega Hang che mi raccontava di come la sua famiglia fosse stata in gran parte sterminata dai comunisti per essere dei piccoli proprietari terrieri.
Questo mondo fa schifo ma a tutti quelli che in questi giorni (anni) ce l'hanno pure con Churchill e Cristoforo Colombo e magari domani con Garibaldi o Annibale (magari pure vorreste togliere dai palinsesti Sentieri Selvaggi e dalle librerie Céline o Mishima o Guareschi) o con chiunque che secondo voi (a seconda del colore politico di turno e quanta ipocrisia si respira a destra...) ha rovinato il mondo dico solo di continuare a combattere, visto che tanto vi sta a cuore, per la vostra idea e versione di mondo sanificato e purificato da tutto e tutti.
Da parte mia vorrei dire loro che non mi vedranno mai fra le loro fila.
http://www.atlanticoquotidiano.it/quotidiano/londa-lunga-dellideologia-dal-muro-a-black-lives-matter-passando-per-durban-la-mentalita-totalitaria-non-muore-mai/
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