"Il figlio" di Gina Berriault (Mattioli 1885, traduzione di Nicola Manuppelli)




Alla luce della lampada giaceva supino, come abbandonato, a volte senza lenzuola dalla vita in su, con la parte superiore del pigiama attorcigliata verso l'alto, e lo stomaco nudo, pallido e morbido. In quei momenti era come un vecchio amico. Se non lo poteva essere il marito, allora lo era il figlio. Se il matrimonio non era una soluzione, ma una compensazione, allora le risposte dovevano essere cercate nell'esistenza del figlio. Una notte si chinò e lo baciò sopra l'ombelico, provando piacere nel calore di quella pelle elastica, sapendo che i suoi baci non lo avrebbero svegliato, perché aveva il sonno profondo e la mattina era sempre difficile farlo scendere dal letto.” (pp. 70-71)

Ho sviluppato in questi anni un vero e proprio amore totalizzante per la scrittrice statunitense Gina Berriault (1926-1999) e considero i suoi “Piaceri rubati” (Mattioli 1885, traduzione di Francesca Cosi e Alessandra Repossi) e “Donne nei loro letti” (Mattioli 1885, traduzioone di Francesca Cosi e Alessandra Repossi) due veri e propri gioielli e posso già inserire “Il figlio” (Mattioli 1885, traduzionedi Nicola Manuppelli) fra i miei libri dell'anno e con la protagonista assoluta, Vivian, indimenticabile.

Siamo negli anni '40, Vivian è una donna benestante e piena di fascino. Dal primo matrimonio ha un figlio, David, adorato e respinto, oggetto di devozione e di dannazione, specchio dei suoi errori, legame indissolubile fatto di amore e purezza. Vivian seduce e viene sedotta, si sposa e viene lasciata, perde un marito in guerra, da un altro viene picchiata, vive in splendide case, canta nei night, lavora in boutique, si rifugia nell'abbraccio di amanti occasionali, si martirizza per cercare una redenzione assistendo un amico/amante malato terminale. E intanto accanto a lei cresce questo ragazzino, sempre più bello, goffo, timido, pieno di rabbia e risentimento, di amore e repulsione. Gina Berrialut con una scrittura semplice ma piena di poesia restituisce con grazia la rovina di questa donna con i suoi drammi, il suo insaziabile desiderio di essere amata, adorata, conquistata, con la sua ossessione distruttrice che segnerà la fine del rapporto col figlio.

Un romanzo che prende alla gola e arrivati all'ultima pagina (tra l'altro un finale bellissimo ed emoziante) si riprende fiato commossi, storditi, inorriditi, affascinati, innamorati, respinti perduti, terrorizzati e ammaliati da questa splendida donna, madre, figlia rimasta alla fine sola coi suoi fallimenti e sogni spezzati.


Camminò su e giù per la stanza, fumando e piangendo. Una donna sola era ovviamente una peccatrice, una che aveva sbagliato, qualcosa o forse tutto, e la solitudine le veniva inflitta per farle comprendere l'enormità dei suoi peccati. Avrebbe voluto essere perdonata dal figlio per la volta in cui lo aveva colpito sulla schiena, perché se lui l'avesse perdonata, allora quel perdono si sarebbe esteso ad altro, a tutti i suoi peccati, a quelli di cui era a conoscenza e a quelli che ignorava. Lui l'aveva vista nei momenti peggiori e in quelli migliori, e, anche se era un bambino, Vivian sapeva che riusciva a capirla meglio di chiunque altro. Nessuno la conosceva così bene. Nessun altro le era così vicino da poter violare il suo privato, sapendo che questo non avrebbe mai potuto sminuire o negare l'amore che lei provava per lui.” (pag. 59)



(L'appuntamento)

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