"Pastoralia" di George Saunders (Minimum Fax, traduzione di Cristiana Mennella)



Fra le tante riletture di questi ultimi mesi ci sono anche i racconti di "Pastoralia" di George Saunders (Minimum Fax, traduzione di Cristiana Mennella) che, rilettura dopo rilettura, non perdono mai nulla della loro bellezza ed esplosività linguistica. Racconti che sono un viaggio fra paranoie, ansie consumistiche, sogni americani andati in fumo, prestiti universitari da restituire per tutta la vita, bare di cartone, parchi a tema in rovina, riunioni aziendalistiche/motivazionali per farti diventare un uomo splendido nella tua mediocrità, cibo spazzatura ingurgitato a ritmo continuo, lavori di merda che non ti permettono nemmeno di pagare medicine o un affitto, bambini che sembrano mostri, famiglie disastrate, discariche, corpi esausti, fallimenti morali, slanci d'amore che si schiantano contro debiti e malattie terminali. Racconti che non raggiungono la bellezza di quelli de "Il declino delle guerre civili americane" (Einaudi, traduzione di Cristiana Mennella) ma che restano un'avventura toccante e disturbante.

Due estratti:

"Il mattino dopo niente capra nella Buca, solo un biglietto:
"È sorto un problema, dice. Ecco perché questo biglietto su una questione scottante, in un certo qual modo grottesca e personale, ma che va affrontata, perché a sollevarla è stato uno di voi, la questione relativa al perché esigiamo da voi Attrazioni dei Tempi Remoti il pagamento di una quota che noi chiamiamo, e vi esortiamo a chiamare, Onere di Discarica, ma che voi insistete a definire ingisutamente Tassa sulla Merda. Be', questo servirà a spiegarvi perché, anche se dovrebbe essere ovvio per tutti, no? speriamo. Ma magari non è così. Perché abbiamo riscontrato, senza offesa, che a volte non afferrate cose più che ovvie, come il perché dovete pagare le bibite che avete in frigo quando le bevete. Ma chi dovrebbe pagarle? Ce le beviamo noi le bibite che vi siete bevuti? Ne dubitiamo. Ve le siete bevuti voi. Lo stesso vale per quella che definite ingiustamente Tassa sulla Merda, perché come mai pretendete che paghiamo per gettare via i vostri bisogni quando in fondo sono vostri? Pensate che i vostri bisogni siano una spesa compresa nel bilancio? Ricaviamo forse dei profitti se voi defecate? No, al contrario, li ricaveremmo se non defecaste, perché così lavorereste di più. Ah, ah! Battuta. Sappiamo benissimo che i bisogni li fanno tutti. Su questo avete ragione. Fatto sta che, com'è noto a tutti, ci vuol tempo per fare i bisogni, e qualcuno ci mette un po' più degli altri. (...) A proposito, in questo vi aiuteremo, perché da ora in poi il cibo sarà razionato. Non stiamo scherzando, siamo in regime di austerità. Constaterete un notevole risparmio a livello di Oneri di Discarica, meno mangerete e più rimpiccioliranno i vostri sacchetti di Rifiuti Umani. Un notevole risparmio, cari amici, che noi dirigenti non constateremo e sapete perché? Cioè, anche mangiano meno, cosa che abbiamo già deciso di non fare. Per mantenerci in forze? Così possiamo continuare a prendere decisioni assennate? Ma sapete perché non constateremo notevoli risparmi, a differenza di voi, nati con la camicia? Perché, come hanno già brontolato alcuni di voi, non paghiamo la Tassa sulla Merda, noi dirigenti. Per cui quand'anche cacassimo meno, non risparmieremmo un bel niente. E perché non paghiamo la Tassa sulla Merda? Perché rientra negli accordi presi al Momento dell'Assunzione. Che pretendevate? Che prendessimo accordi meno vantaggiosi? Che andassimo contro i nostri rispettabili interessi? Non dite scempiaggini. Dite cose sensate, per cortesia. Molti di noi devono restituire il Prestito per l'Università. Sono tempi duri, intere Unità vengono eliminate, la Ristrutturazione Aziendale continua, quindi basta ripetere che la merda è schizzata alle stelle, per cortesia, ricordate che siamo una famiglia, che voi siete i figli, non per dire che siete immaturi, solo che voi siete la manovalanza mentre noi siamo le teste pensati e che, modo nostro, vi vogliamo bene." (dal racconto "Pastoralia", pp. 43-45)

"Ma sì, certo, da piccola Winky era un amore, avevano passato dei bei momenti insieme, ma sì, ma sì, gli aveva portato i cracker, anche la radiolina quella volta che s'era nascosto sotto le scale cinque ore di fila dopo che papà era scoppiato a piangere a cena, ma certo che ricordava i suoi occhi spaventati quando era corsa da lui dopo che s'era ficcata un amo nella tempia mentre pescava con i bambini più grandi, sì, certo, l'aveva riportata a casa mentre gli altri le ridevano dietro, sì, un po' pena gli faceva, convinta com'era di avere l'ugola d'ora quando invece era stonata come una campana, ormai costretta a portare quei mutandoni che lui trovava in lavatrice, ma come diceva il libro. se ti butti nel fuoco per un altro vuoi o non vuoi cacchio di ustione te la becchi. Le chiavi le aveva lasciate a lei, perciò suonò il campanello.
Winki gli apparve sulla soglia, con la solita aria da pazza.
"Bertonato a casa!", lo salutò con un solenne inchino. Un calzino le cadde dalla spalla e mentre si piegava a raccoglierlo sbatté la testa contro la doppia finestra, quell'imbranatella.
Cazzo, cazzo, stava cedendo, se lo sentiva, il discorso che aveva provato durante il tragitto non stava più in piedi davanti a quella ragazza coi lucciconi agli occhi che si massaggiava la pelata sulla porta di casa. Macché potente, macché grande, era tale e quale a tutti gli altri, anzi peggio di tutti gli altri, gli altri si sposavano, trovavano un lavoro come si deve, non vivevano con una sorella cicciona e appiccicosa, era un perdente, destinato a perdere vita natural durante, era perseguitato dalla sfiga, gli erano capitati un papà pessimo, una mamma pessima e una sorella pessima, ed era troppo debole per cambiare, troppo debole per ricominciare da zero, e mentre la scansava per entrare nella casa appestata di tè immaginò gli anni squallidi e infelici che lo attendevano e una rabbia improvvisa gli montò nel petto.
"Neil-Neil", disse Winky. "Stai bene?"
Avrebbe voluto pigliarla a sberle, a parolacce, dirle qualcosa per svegliarla, invece filò dritto in camera sua, coprendola d'improperi sottovoce."  (dal racconto "Winky", pp. 76-77)


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