"Sembrava una felicità" di Jenny Offill (NNE, traduzione di Francesca Novajra)

 


L'ho letto in un paio di giorni “Sembrava una felicità” di Jenny Offill (NNE, traduzione di Francesca Novajra) anche se poi lo si potrebbe tranquillamente leggere in mezza giornata, anche meno. Se hai fretta. O forse hai tempo. Ma non avevo tempo e nemmeno fretta. Soprattutto non potevo avere continuità. E allora mi sono fermato al punto giusto. Questo: “Vado a pranzo con un'amica che non vedo da anni. Lei ordino cosae che non ho mai sentito nominare e rimanda indietro un piatto di pesce scadente. Le espongo i vari piani che ho fatto per riscattare la mia vita. “Ho fatto talmente tanti compromessi” mi confida. (pag. 62). Era sabato. Sesto giorno di lavoro. Ero veramente stanco. E volevo solo mettermi sul divano a guardare la prima tappa del Tour. L'ho vista. Ci ho bevuto sopra. E intanto pensavo a questo romanzo. Anche se definirlo romanzo è alquanto riduttivo. Perché della Offill mi piace per quanto ti trasmette le possibilità insite nella scrittura. Sì, è un romanzo “Sembrava una felicità”. Ma che tipo di romanzo? Adoro questa scrittrice perché il suo stile e la struttura dei suoi romanzi ha un qualcosa di liberatorio. E quello che ci mette dentro a questi romanzi è tutto da ascoltare. Puoi chiamarlo se vuoi poesia “Sembrava una felicità”. Oppure evocazione di spiriti. Struggente storia d'amore e tradimento. Sperimentalismo che funziona come una magia. Citazionismo che fa anche sorridere. “Scrivo per chiudere gli occhi.” (Kafka) Pillole di saggezza orientale. Una Brooklyn che te la senti accanto ma proprio qui accanto e se poi sei uno innamorato come degli Stati Uniti puoi anche sentire la mancanza del Rite-Aid dove comprarti due stronzate per superare la serata e una medicina per sopportare la giornata. Love is a losing game. E Jenny Offill è una seminatrice che si aggira fra le strade della città e lancia semi nel vento come un animale notturna che si addormenta sul balcone. Quei semi si depositano nell'acqua di scolo. Nei pertugi dei tombini. Negli scaffali delle librerie. La Offill disperde parole col contagocce e riflessioni che si sedimentano fra le pagine di altri libri mai letti e mai scritti e da scrivere, frammenti di famiglie in frantumi e urla di una bambina che cresce fra notti insonni e disperazione e sogni di vite future. E poi il romanzo l'ho finito ieri pomeriggio. Dopo un giorno estremo di pulizie cinema e preparazione popcorn. Arrivato a casa distrutto. Dormo anch'io pochissimo. E ho il terrore delle cimici, degli insetti e di tutto quello che può riservare un letto. Ma gli occhi della persona che ami che ti guardano mentre le stai leggendo alcune righe possono cancellare, almeno per qualche ora, tutto l'orrore, la depressione, lo schifo di questo mondo. E le righe che le ho letto sono quelle che ho trascritto sotto e non mi piace mai leggere ad alta voce e se lo faccio è proprio perché mi va veramente. Mi hanno detto di prendere medicine. Prego ogni giorno di scomparire. Poi arrivano i libri e mi fregano. Mi imbrogliano. E dietro, di sottofondo, l'alcool perché le dipendenze e la sofferenze si autoalimentano all'infinito. E poi oggi, sin dalle 4 e 30 di stamattina, ho in testa Amy Winehouse. E mi vergogno di aver scritto queste due righe del cazzo pensando a lei. E come al solito le recensioni le trovate da un'altra parte.

Ma Jenny Offill. 

Leggetela.


Una volta un visitarore chiese al maestro Zen Ikkyu di scrivere un distillato della massima saggezza. Lui scrisse una parola: Attenzione.Il visitatore rimase deluso. “Solo questo?”.E così Ikkyu lo accontentò. Due parole.Attenzione. Attenzione.

A volte la moglie lo guarda ancora dormire.

A volte gli tira ancora i capelli nel cuore delle notte e lui mezzo addormentato si gira verso di lei.

Adesso la figlia corre nei boschi, con la faccia dipinta come un'indiana.

Come diceva il rabbino: Tre cose hanno il sapore del mondo che verrà: il sabato, il sole e l'amore coniugale.” (pag. 156) 

 

(Wake Up Alone)

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