"I ragazzi della Nickel" di Colson Whitehead (Mondadori, traduzione di Silvia Pareschi)



Griff era stato tutti loro in un solo corpo nero quella sera sul ring, e fu tutti loro quando i bianchi lo portarono là dietro, ai due anelli di ferro. Quella notte andarono a prenderlo e non tornò più. Si sparse la voce che era troppo orgoglioso per lasciarsi sconfiggere. Che non aveva voluto inginocchiarsi. E se i ragazzi si sentivano meglio pensando che Griff era riuscito a scappare nel mondo libero, nessuno li avrebbe contraddetti, anche se secondo alcuni era stano che la scuola non avesse suonato l'allarme o sguinzagliato i cani. Quando lo stato della Florida riesumò le sue ossa, cinquant'anni dopo, il medico legale notò le fratture ai polsi e ipotizzò che prima di morire fosse stato incatenato, in aggiunta alle altre violenze attestate dalle ossa rotte. Quelli che conoscevano la storia degli anelli negli alberi sono quasi tutti morti, ormai. I ferri sono ancora lì. Arrugginiti. Conficcati nel cuore del legno. Pronti a rendere testimonianza a chiunque abbia voglia di ascoltarli.” (pag. 115)


Dopo aver terminato lo splendido e commovente “I ragazzi della Nickel” di Colson Whitehead(Mondadori, traduzione di Silvia Pareschi) avevo pensato di scrivere una “recensione recensione”, raccontando la trama ispirata alla storia della Dozier School for Boys di Marianna (Florida), parlando di razzismo, di Ku Klux Klan, di segregazione, di Martin Luther King e invece ho ripensato alla mia ragazza che un giorno mi diceva che non si capacitava di come nel 2020 ci fossero ancora persone razziste, omofobe. Andre, capisco i nostri genitori, i nostri nonni che sono vissuti in un'altra epoco ma come fa oggi un ragazzino ad avercela coi neri o una ragazzina con le lesbiche? E intanto che parlava c'era questo romanzo sulla scrivania che mi aspettava.

E allora, forse perché sono un inguaribile sognatore un nonviolento piuttosto che scrivere una recensione mi limito a confessarvi un sogno: mi piacerebbe che questo romanzo fosse letto da un gran numero di ragazzini e ragazzine. Ovviamente senza imposizioni scolastiche o genitoriali. Mi piacerebbe che lo leggessero soprattutto loro perché è un romanzo che parla sì di razzismo e violenza ma è anche uno splendido romanzo di formazione, ribellione e avventura e che per me è già diventato un piccolo e grande classico.

L'attacco é già formidabile: “Anche da morti i ragazzi portavano guai”.

Una storia capace, con una scrittura limpida e mai sopra le righe, di illuminare gli angoli bui della storia, raccontare una grande storia e di trasmettare il messaggio di Martin Luther King senza mai annoiare: “Metteteci in prigione, e noi vi ameremo ancora. Distruggete le nostre case e minacciate i nostri figli, e noi, malgrado sia difficile, vi ameremo ancora. Mandate i vostri violenti incappucciati nelle nostre comunità dopo mezzanotte, e trascinateci in qualche strada fuori mano, e picchiateci a sangue, e noi vi ameremo ancora. Ma state certi che vi logoreremo con la nostra capacità di sopportazione, e un giorno conquisteremo la libertà.” (e queste parole dovremmmo sempre ricordarcele). È un inno alla libertà, alla lettura, alla vita, alla giovinezza, all'amicizia. È una grande e indimenticabile storia dell'amicia di Elwood e Turner, finiti per futili motivi (ovvio che penserete all'oggi e a quanto accade nelle strade degli Stati Uniti e non solo) in questa scuola degli orrori (faticherete a credere che si siano perpetrate simili violenze), che non si piega di fronte ai soprusi, alle violenze, ai pestaggi, alla povertà, al carcere, all'ignoranza, alla morte.

Se siete genitori, nonni, nonne, zii, zie leggetelo e poi regalatelo ai vostri cari.

E se vi viene da piangere quando arriverete all'ultima pagina significa che per fortuna siete ancora esseri umani.

C'erano quattro modi per uscire. Nel mezzo di una nuova crisi notturna, Elwood decise che ce n'era un quinto. Eliminare la Nickel.” (pag. 157)


(Martin Luther King at Zion Hill)

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