"Il sogno del celta" di Mario Vargas Llosa (Einaudi, traduzione di Glauco Felici)

 

 


Ho sempre amato gli uomini e le donne pieni di contraddizioni. Forse perché ne sono pieno anche io. Per qualche anno mi sono crogiolato in deliri di purezza ma alla fine la purezza non sta in questo mondo. Sta solo nei deliri di qualcuno che crede di avere la verità in tasca e di essere sempre nel giusto. Per questo motivo mi sono innamorato di Roger Casement protagonista del bellissimo romanzo di Mario Vargas Llosa "Il sogno del celta" (Einaudi, traduzione di Glauco Felici). Perché Roger Casement nato nel 1864 e impiccato a Londra nel 1916 per alto tradimento è un personaggio davvero complesso, contradditorio, oscuro, genuino, folle, innocente, colpevole. Vargas ricostruisce la sua vita, dall'inizio alla fine, raccontandoci in chiave romanzesca un uomo cresciuto con il sogno di avventure africane e il desiderio di ripercorrere le gesta di David Livingston e Henry Morton Stanley (la conoscenza di quest'uomo, tutt'altro che un santo, fu l'inizio della trasformazione di Casement). Un uomo che credeva fermamente nella missione civilizzatrice del mondo occidentale e dell'Impero Britannico capace di illuminare le menti dei selvaggi, di portare il progresso in lande oscure, di convertire al vero Dio le tribu' dei pagani. 

Un uomo che invece ebbe il coraggio di aprire gli occhi, di capire che erano tutte balle, trasformandosi così in uno dei primi europei capaci di denunciare e combattere gli orrori e i crimini del colonialismo in Africa (terribili le pagine sul Congo belga) e in America Latina (le violenze ai danni degli indios dell'Amazzonia) e documentando l'accaparramento di terre, i trattati firmati in con x o sgorbi, stragi, ruberie, schiavitù, complicità di ogni governo e nazione. Un uomo che decise poi di combattere per la propria patria, l'Irlanda, contro il dominio inglese, diventando un fervente nazionalista e cercando l'appoggio dell'Impero Tedesco. Un uomo che non seppe mai fare i conti con la propria omosessualità, con quei Diari (veri o falsi) che gli costarono l'appoggio di alcuni benpensanti. 

Un uomo di luci e d'ombre. Un uomo straordinario e controverso che Mario Varsg Llosa ci restituisce senza spirito agiografico ma con una delicatezza, partecipazione e puntualità storica che lascia senza fiato.

Un romanzo che non parla solo di Ieri ma parla anche a noi che viviamo nel 2020 perchè il colonialismo non è per niente finito, perchè lo sfruttamento delle risorse (allora il cacciu') ha ormai portato il pianeta al collasso, perché le popolazioni vengono ancora uccise, depredate, sloggiate per permettere che il business non si fermi mai, perché gli imperi esistono ancora ma con altri nomi e in altre forme, perché i nazionalismi sono ancora vivi e vegeti. 

Un romanzo che invita tutti noi a non restare silenti e complici e a farci carico delle nostre contraddizioni, costi quel che costi, anche rimanere soli.


Un estratto finale:

"Non è male che circoli sempre un clima d'incertezza intorno a Roger Casement, come prova del fatto che è impossibile arrivare a conoscere in maniere definitiva un essere umano, totalità che riesce sempre a sfuggire da tutti le reti teoriche e razionali che cercano di catturarla. La mia personale impressione - quella di un romanziere è chiaro - è che Roger Casement scrisse i famosi diari ma non li visse, almeno non integralmente, che vi siano dentro di essi molte esagerazioni e invenzioni, che scrisse certe cose perchè le avrebbe volute ma non ha potuto viverle. Nel 1965, il Governo inglese di Harold Wilson permise alla fine che le ossa di Casement venissero rimpatriate. Giunsero in Irlanda su un aereo militare e ricevettero onoranze pubbliche il 23 febbraio di quell'anno. Rimasero esposte quattro giorni in una camera ardente della Garrison Church of the Safved Heart come quelle di un eroe. Una folla massiccia calcolata in varie centinaia di migliaia di persone vi passò davanti a porgere il proprio rispetto. Vi fu una sfilata militare verso la Pro-Cattedrale e gli vennero resi gli onori militari di fronte allo storico edificio delle Poste, quartiere generale della Sollevazione del 1916, prima di portare il suo feretro nel cimitero di Glasnevin, dove venne tumulato in una mattinata piovosa e grigia. A pronunciare il discorso di omaggio fu Éamon de Valera, il primo presidente d'Irlanda, combattente di spicco dell'insurrezione del 1916 e amico di Roger Casement, che disse le parole di commozione con cui si usa salutare i grandi uomini.

Né in Congo né in Amazzonia è rimasta traccia di chi tanto ha fatto per denunciare i grandi crimini che vennero commessi in quelle terre ai tempi del caucciù. In Irlanda, sparsi per l'isola, restano alcuni ricordi di lui. Sulle alture del glen di Glenshesk, a Antrim, che discende verso la piccola  insenatura di Murlough, non lontano dalla casa di famiglia di Magherintemple, il Sinn Fein gli innalzò un monumento che gli unionisti radicali dell'Irlanda del Nord distrussero. Lì sono rimasti sparsi al suolo i frammenti. a Ballyheigue, Co. Kerry, in una piccola piazzetta che guarda il mare si erge la statua di Roger Casement, scolpita dall'irlandese Oisin Kelly. Nel Kerry County Museum di Tralee vi è la macchina fotografica che Roger aveva portato nell'anno 1911 nel suo viaggio in Amazzonia e, se ne fa richiesta, il visitatore può vedere anche il cappotto di panno dozzinale con cui si copriva nel sottomarino tedescio U-19 che lo portò in Irlanda. Un collezionista privato, Mr Sean Quinlan, tiene nella sua casetta di Ballyduff, non lontano dalla foce dello Shannon nell'Atlantico, un canotto che (lo afferma enfaticamente) è lo stesso con cui sbarcarono sulla Banna Strand Roger, il capitano Monteith e il sergente Bailey. Nella scuola di lingua gaelica "Roger Casement", nel Public Bar Seven Stars, nei giorni in cui era alla Corte d'Appello di Londra che decide sul suo caso. Nel McKenna' Fort vi è un piccolo monumento - una colonna di pietra nera - con iscrizioni in gaelico, inglese e tedesco, dove si ricorda che lì venne catturato dalla Royal Irish Constabulary il 21 aprile del 1916. E, sulla Banna Stranda, la spiaggia dov'era arrivato, si erge un piccolo obelisco su cui compare il viso di Roger Casement accanto a quello del capitano Robert Monteith. La mattina in cui sono andato a vederlo era ricoperto dalla cacca bianca dei gabbiani chiassosi che volteggiavano là attorno, e si vedevano dovunque le violette selvatiche che tanto lo avevano commosso in quell'albeggiare in cui era tornato in Irlanda per essere catturato, giudicato e impiccato." (pp. 417-419)


(Cropping The Aftermath)

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