"Le colline non dormono" di James Still (Mattioli 1885, traduzione di Livio Crescenzi e Marta Viazzioli)

 



Dopo un po’ mi calmai. Socchiusi appena appena le palpebre e diedi una sbirciata. Jiddy e Cletis giacevano a terra, l’uno accanto all’altro sulla strada, rigidi e immobili come tronchi. Di notte il rosso appare nero, e c’era nero sopra e intorno a loro. Erano distesi in una gora nera. E la cosa di cui subito dopo mi resi conto era che stavo correndo su per il Ballard Creek. Avrei potuto correre fino a Enoch Lovern’s se il quartino non mi fosse scivolato da sotto la cintura. L’afferrai e lo feci frullare lontano. La bottiglia rimbalzò davanti a me lungo i solchi ma non si ruppe. Quando la raggiunsi la sollevai e la svuotai fino all’ultima goccia. Smisi di correre. Presi a camminare e mentre camminavo mi calmai. Quanto era accaduto era accaduto. Predestinazione, la chiama la gente di chiesa. Quanto a me, passeggiavo allegramente, pensando a quanto aveva detto una volta Jiddy sul fatto che voleva essere seppellito in una bara di castagno, così da passare attraverso l’inferno scoppiettando e pensavo a qualcos’altro. Pensavo a Posey Houndshell. Ormai non c’era più nessuno di mezzo tra me e lei.” (dal racconto “La rissa”)

Ho letto i bellissimi racconti inediti di JamesStill  “Le colline non dimenticano” (Mattioli 1885, traduzione diLivio Crescenzi e Marta Viazzioli) qualche giorno fa mentre aspettavo i risultati delle elezioni statunitensi e qualche risposta sul fronte lavorativo. Da allora sono trascorsi ormai una ventina di giorni e Joe Biden ha vinto le elezioni mentre al Cinema sono arrivate una valanga di lettere di licenziamento ma per fortuna io sono ancora salvo e, fino a quando non lo so, riceverò il lavoro ridotto (una sorta di cassa integrazione italiana) con l'indennità calcolata sulla media delle ore lavorate.

Ho aggiunto queste righe perché leggendo questi racconti non potevo che ripensare a tutte le discussioni che ci siamo sorbiti in questi anni su come da un certo mondo rurale, dell'America profonda, operaio, le comunità degli Appalachi o del Rust Belt, distante galassie dalle luci scintillanti delle metropoli e considerato retrogrado, razzista, bifolco sia arrivato un grido di rivolta o quantomeno un grido di non appartenenza, pieno anche di paura, di rivendicazione di ciò che si è, di ciò che non si vuole essere o semplicemente un urlo di dolore per i sacrifici e le fatiche che non conducono mai a nulla.

Perché questi racconti, che dovrebbero essere letti in parallelo con la precedente opera e capolavoro di Still “Fiume di terra” (Mattioli 1885, traduzione di Livio Crescenzi) pubblicato nel 1940 (di cui questi racconti riprendono alcuni personaggi e ambientazione)  e con le opere di Chris Offutt o del mai troppo apprezzato Daniel Woodrell coi suoi romanzi ambientati negli Ozark raccontano (cercate “Un gelido inverno” da cui è stato tratto un bellissimo film di Debra Granik come anche “Cavalcando col diavolo” ambientato durante la Guerra di Secessione e trasposto sul grande schermo da Ang Lee) o della serie tv “Justified” e mi è venuto in mente anche il Plinio Martini con "In fondo al sacco" (Casagrande) con la colonna sonora di Rachel Grimes "The Way Forth" riescono, in maniera secondo me migliore quando la durata è concentrata in pochissime pagine, a restituire piena dignità e una luce che nasconde parecchie ombre proprio a questi uomini e donne, alle loro famiglie, a questi luoghi dimenticati e abbandonati, agli Appalachi, al Kentucky, a queste comunità bianche un po' fuori dal mondo fatte di contadini di tabacco, minatori, coltivatori di acri di terra chiusi fra le colline da cui è faticoso trarre sostentamento, di catapecchie, di povertà e d'emigrazione verso le città industriali, di legami di sangue che finiscono per scatenare faide, di una cristianità semplice fatta di sermoni, Bibbia, sangue, cavallette e di campane che diffondono su e giù per le colline il verbo di di Dio, di mogli che si accollano tutte le fatiche casalinghe e la quiete prima e dopo la tempesta, di rapporti umani fondati su una stretta di mano o su un colpo di pistola.

Racconti di una delicatezza e fascino a cui è impossibile resistere e che hanno il respiro antico ma che potrebbero essere utili per avvicinarsi, senza pregiudizi, a coloro che consideriamo, senza volerlo forse ammetterlo, scarti, trogloditi, ignoranti, sordi ai richiami del progresso. Racconti che mi ricordano quando mi capitava di tornare nel mio paesino in era pre-Covid 19 e verso sera trovavo fuori dai bar idraulici, elettricisti, operai, lattonieri, muratori spesso imparentati fra loro e tutti sporchi, sudati che parlavano in dialetto, bevevano Peroni e uno, due, tre Campari col bianco, si giocavano i soldi alle macchinette, si prosciugavano i polmoni una sigaretta dietro l'altra come se non bastasse tutta la merda che avevano respirato in fabbrica e sui cantieri e bastava che mi riconoscessero per ritornare al passato e farsi inondare di morti, patenti ritirate, debiti, divorzi, figli, contratti del cazzo, mutui, tirate contro ogni governo possibile.

Il racconto migliore in assoluto nella sua drammaticità e tragedia è per me il primo, “Dolce Rifugio”, un piccolo capolavoro di scrittura con quest'uomo che a un passo dal cambiamento vede tutta la propria vita andare in rovina in un battito di ciglia:

Quale?” domandò biascicando Middleton. “Il granaio del campo, Mister Caesar, quello del vecchio cotone. È bruciato tutto.” Blue Jonny piagnucolava tra le lacrime e il sudore. Per un istante Middleton rimase immobile. Un pallore, bianco come la morte, gli coprì il viso. Rumori vaghi gli martellavano le tempie. Lentamente raccolse le redini e si diresse verso Waverly Avenue. Sentì l’impulso di cavalcare rapidamente giù lungo la strada verso casa, ma si controllò. Lì non c’era più niente da fare. Lasciò Blue Jonny con i cavalli davanti alla casa degli Stroud e percorse il sentierino coperto di ghiaia. Nella testa di Middleton un unico pensiero. Solo Lala Stroud poteva salvarlo dalla rovina totale. Non era più tempo di esitazioni: doveva sposare Lala e con il suo aiuto salvare la sua proprietà. Sollevò meccanicamente il battiporta e lo sbatté sulla piastra d’ottone. Il suono metallico echeggiò in tutta la casa. Dopo un poco ci fu un fruscio al di là della porta, e una giovane donna con indosso uno spolverino marrone l’aprì con cautela. C’era una curiosità incerta sul suo viso. “Mrs Stroud è in casa?” Middleton si stupì per la calma della sua voce. La donna con lo spolverino fece un passo indietro nell’androne, e lui s’aspettò quasi che gli avrebbe chiuso la porta in faccia. Tirò su rumorosamente con il naso e con l’angolo dello spolverino s’asciugò gli occhi. “Miss Lala se n’è andata due settimane fa” sussurrò con voce roca.” 

 

(Radio Cure)

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