NESSUNO TOCCHI CAINO - STATI UNITI: LISA MONTGOMERY A MORTE IN FRETTA E FURIA PERCHÉ RISCHIAVA DI SALVARSI

NESSUNO TOCCHI CAINO NEWS
 
Anno 21 - n. 3 - 16-01-2021

Contenuti del numero:

1.  LA STORIA DELLA SETTIMANA : STATI UNITI: LISA MONTGOMERY A MORTE IN FRETTA E FURIA PERCHÉ RISCHIAVA DI SALVARSI
2.  NEWS FLASH: STATI UNITI (FEDERALE): COREY JOHNSON È STATO GIUSTIZIATO
3.  NEWS FLASH: UNA LEZIONE DI CLEMENZA DAL CUORE DELL’AFRICA
4.  NEWS FLASH: KAZAKISTAN: PENA DI MORTE ABOLITA
5.  NEWS FLASH: POLONIA: ATTIVISTA SVEDESE DEL FALUN GONG RISCHIA LA CONDANNA A MORTE SE ESTRADATO IN CINA
6.  I SUGGERIMENTI DELLA SETTIMANA :


STATI UNITI: LISA MONTGOMERY A MORTE IN FRETTA E FURIA PERCHÉ RISCHIAVA DI SALVARSI

Giustiziata quando il mandato di esecuzione era già scaduto, quello successivo è stato emesso senza rispettare il termine di venti giorni che avrebbe permesso a Biden di fermare il boia.

Articolo di Sergio D'Elia e Valerio Fioravanti* pubblicato su Il Riformista del 15 gennaio 2021

Lisa Montgomery è stata giustiziata tramite iniezione letale nel carcere federale di Terre Haute, nell'Indiana. Dopo un rinvio deciso da un giudice federale che aveva disposto una perizia sulla sua condizione mentale, il via libera all'esecuzione è arrivato in fretta e furia dalla Corte Suprema degli Stati Uniti, dove i giudici conservatori sono attualmente in forte maggioranza.
Lisa doveva essere uccisa martedì 12 gennaio. Invece risulta morta mercoledì 13 gennaio all'1.31 del mattino ora locale, un paio d'ore dopo la decisione della Corte Suprema. L'orario in cui è stato certificato il decesso lascia capire che è successo qualcosa di strano. I mandati di esecuzione scadono alla mezzanotte del giorno previsto e, secondo un giudice federale, scaduto un mandato, quello nuovo non può essere emesso prima di venti giorni. Nel caso di Lisa forse lo hanno emesso in venti minuti. Se avessero rispettato la regola dei venti giorni, Lisa avrebbe guadagnato tempo, un tempo utile al nuovo Presidente per porre fine - come promesso - alla pratica arcaica della pena capitale federale.
Gli esecutori materiali dell'iniezione letale sono coperti da un velo di segretezza. È noto che, dopo il contagio che ha colpito almeno 8 membri dello staff che avevano partecipato alle esecuzioni di Orlando Hall il 19 novembre scorso, il Governo ha assunto alcuni appaltatori privati per portare a termine il piano di esecuzioni programmate. Il Governo non ha rivelato chi sono gli appaltatori o perché li ha assunti. Ma dai documenti del tribunale si è appreso che "alcuni membri dello staff di esecuzione provenivano da altre strutture federali". La frase è ambigua e sembra voler dire che, su base volontaria o dietro il semplice pagamento di una diaria e di alcune ore di straordinario, erano stati convocati per le varie esecuzioni agenti provenienti da altre carceri federali. ProPublica, che si autodefinisce "testata giornalistica non-profit che investiga gli abusi del potere", ha usato invece per questo personale il termine più suggestivo di "contractors". Uno degli scandali dell'
 amministrazione Trump, ad esempio, è che il Presidente abbia rinnovato tutti i contratti in scadenza delle carceri federali per altri 10 anni, legando così le mani a Biden che diceva di volerli dismettere.
I "contractors" quindi potrebbero anche essere agenti provenienti dalle carceri private. Ma "contractors" potrebbe avere un significato ancora più preoccupante. Trump ha nel suo Governo una donna, Betsy De Vos, Segretario di Stato all'Educazione, il cui fratello è il fondatore di Blackwater, e i "contractors" di Blackwater sono veri e propri "mercenari" che operano nei principali teatri di guerra in cui sono impegnati gli Stati Uniti.
È indicativo del suo modo d'essere che l'unico momento di pietà che il Presidente dell'occhio per occhio l'abbia manifestato nei confronti proprio di quattro contractors di Blackwater condannati per aver massacrato 14 civili in Iraq e graziati a dicembre, a un mese dalla fine del suo mandato. Anche se non si riesce a determinare con chiarezza chi siano questi "appaltatori esterni" e quale tipo di contratto "a progetto" li leghi all'Amministrazione Trump, resta il fatto che il piano di esecuzioni a Terre Haute è andato avanti grazie alla disponibilità di "boia" privati che il governo ha assunto allo scopo e che hanno presumibilmente dovuto rivedere l'agenda dei loro fitti impegni familiari e di lavoro ordinario per far fronte allo straordinario di mandare i condannati all'altro mondo.
Gli stessi avvocati del Dipartimento di Giustizia hanno incredibilmente sostenuto in tribunale che l'inconveniente di riprogrammare questi appaltatori privati avrebbe "danneggiato irreparabilmente" il Governo. Evidentemente, più di quanto i prigionieri sarebbero stati irreparabilmente danneggiati dalla morte di Stato tramite iniezione letale.
Quando la procedura di esecuzione è iniziata, una donna dello staff si è sporta su Lisa Montgomery, ha rimosso delicatamente la mascherina anticovid dal volto della donna e le ha chiesto se voleva fare un'ultima dichiarazione. "No," ha risposto Lisa con voce calma e soffocata. Non ha detto altro. Il suo difensore, Kelley Henry, ha espresso la sua delusione per gli eventi della giornata e nei confronti di un Governo che ha violato la Costituzione, la legge federale e il proprio regolamento pur di raggiungere il suo scopo mortale. "La vile sete di sangue di un'amministrazione fallita stasera era in piena mostra. Tutti coloro che hanno partecipato all'esecuzione di Lisa Montgomery dovrebbero provare vergogna", ha detto in una dichiarazione resa dopo la mezzanotte.
È il modo triste e crudele con il quale Trump ha deciso di uscire di scena. Speriamo che questo tramonto segni la fine di un modo di pensare, di sentire e di fare la giustizia, il superamento della logica rettiliana, reazionaria, primordiale del delitto e del castigo, della violenza da contrastare con violenza, del male da riparare con un male di ugual misura.

*Associazione Nessuno Tocchi Caino
Per saperne di piu' : https://www.ilriformista.it/perche-e-stata-giustiziata-lisa-montgomery-189075/

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NESSUNO TOCCHI CAINO - NEWS FLASH

STATI UNITI (FEDERALE): COREY JOHNSON È STATO GIUSTIZIATO

Corey Johnson è stato giustiziato mediante iniezione letale presso il Federal Correctional Complex di Terre Haute, Indiana, ed è stato dichiarato morto alle 23:34 ET del 14 gennaio 2021.
Johnson, ora 52 anni, nero, era stato condannato a morte nel 1993 assieme a due coimputati per aver ucciso un totale di 10 persone per prendere il controllo dello spaccio di droga in Virginia tra il 1989 e il 1992. Johnson aveva partecipato materialmente a sette degli omicidi: quelli di Peyton Johnson, Louis Johnson, Bobby Long, Dorothy Armstrong, Anthony Carter, Linwood Chiles e Curtis Thorne. Anche i coimputati, James Roane e Richard Tipton, hanno ricevuto una condanna a morte federale, ma hanno ancora dei ricorsi pendenti.
Anche nel caso di Johnson nelle ultime settimane c’è stato un altalenarsi di ricorsi vinti e poi annullati. Sostanzialmente i suoi difensori hanno insistito sul basso quoziente intellettivo dell’uomo, calcolato all’epoca del processo in 77 punti, e in seguito, in 73, mentre i difensori insistono che il vero QI sarebbe 69.
I difensori hanno poi sollevato la questione del Covid, in quanto Johnson recentemente aveva contratto il Covid, circostanza che avrebbe reso l’esecuzione particolarmente dolorosa.
Le autopsie effettuate negli ultimi anni sulle persone giustiziate per iniezione letale hanno mostrato che il pentobarbital quasi sempre causa una condizione chiamata edema polmonare, in cui nei polmoni si forma del liquido mentre la persona è ancora cosciente, al punto che i polmoni delle persone giustiziate, in sede di autopsia risultano pesare il doppio rispetto a dei polmoni “normali”.
Diversi esperti medici avvertono che l’edema è già doloroso di suo, ma potrebbe essere più doloroso per le persone che si stanno riprendendo da COVID-19 perché il coronavirus provoca danni ai polmoni.
Inizialmente la giudice federale Tanya Chutkan, a Washington, DC, aveva concesso una sospensione, ma il 13 gennaio la Corte d’Appello federale aveva annullato il provvedimento, e nessun successo hanno avuto gli ultimi ricorsi alla Corte Suprema e la richiesta di clemenza.
Nella sua dichiarazione finale, Johnson si è scusato per i suoi crimini e ha detto alle famiglie delle vittime che sperava che trovassero pace.
Ha anche ringraziato il personale della prigione, il cappellano della prigione, il suo ministro e il suo team legale. Inoltre, Johnson ha menzionato il suo ultimo pasto. "La pizza e il frullato di fragole erano meravigliosi, ma non ho ricevuto le ciambelle ripiene di gelatina che ho ordinato", ha detto. "Che succede? Questa cosa dovrebbe essere risolta."
L'esecuzione di Johnson, sei giorni prima dell'entrata in carica del presidente eletto Joe Biden, coincide con una nuova spinta da parte di 40 membri del Congresso affinché l'amministrazione entrante di Biden dia la priorità all'abolizione della pena di morte in tutte le giurisdizioni. Mentre Biden si è impegnato ad abolire la pena di morte federale e a dare incentivi agli stati che perseguissero una via abolizionista, i 40 membri del Congresso vogliono assicurarsi che almeno quella federale di pena di morte venga messa in stallo già dal primo giorno.
Johnson diventa la 12a persona giustiziata dall’anno scorso dal sistema federale, la 15a giustiziata dal governo federale da quando ha ripreso le esecuzioni nel 2001, la seconda persona giustiziata quest'anno negli Stati Uniti e la n° 1.531 da quando gli Stati Uniti hanno reintrodotto la pena di morte nel 1976 e ripreso le esecuzioni nel 1977.
(Fonti: CNN, 14/01/2021)


UNA LEZIONE DI CLEMENZA DAL CUORE DELL’AFRICA
Elisabetta Zamparutti su Il Riformista del 9 gennaio 2021

Viviamo un’epoca in cui il braccio della morte va svuotato. C’è chi lo fa come Trump, in modo tanto plateale quanto arcaico e violento, mandando a morte i condannati federali. E chi lo fa invece in modo discreto perché evoluto e nonviolento, con atti di clemenza o di abolizione della pena di morte. È dal più antico dei continenti, l’Africa, che giungono le notizie più moderne per il loro valore umano, civile e politico. L’ultima riguarda una vicenda che come Nessuno Tocchi Caino abbiamo seguito nel tempo e da tempo. Riguarda un Paese nel cuore del continente nero, la Repubblica Democratica del Congo.
Il 2 gennaio, il Presidente Félix Tshisekedi ha graziato, tra gli altri, due uomini, il colonnello Eddy Kapend e Georges Leta, ritenuti responsabili dell’assassinio dell’ex Presidente Laurent-Désiré Kabila freddato da tre colpi d’arma da fuoco nel suo ufficio vent’anni fa, il 16 gennaio 2001, per mano di una delle sue guardie del corpo che venne poi subito uccisa. Il figlio Joseph Kabila, che gli successe alla presidenza del Paese quando non era ancora trentenne, si vide rendere giustizia di lì a poco. Nel 2003, un tribunale militare emise una trentina di condanne a morte per l’assassinio del padre. Ci fu una grande mobilitazione internazionale per scongiurare quelle esecuzioni. Decidemmo allora di incontrare il giovane Presidente. L’incontro avvenne nel palazzo presidenziale a Kinshasa il 28 giugno 2003, su una terrazza avvolta da una vegetazione che permetteva appena ai raggi del sole di accarezzarci. Con Aldo Ajello, Emma Bonino e Sergio D’Elia, gli chiedemmo, alla vigilia della formazione del nuovo governo di unità nazionale, un atto di clemenza per quei condannati a morte. Uomini che volevamo anche incontrare, come avevamo incontrato lui. Joseph Kabila, bello, riflessivo e non reattivo e brutale come invece era suo padre, ci promise che non li avrebbe giustiziati e che avrebbe mantenuto una moratoria della pena di morte rimettendo al Parlamento la più generale questione dell’abolizione. Gli regalammo il poster della campagna di Oliviero Toscani “We, on death row”, a sostegno della risoluzione ONU per una moratoria universale delle esecuzioni. Ci permise anche di visitare il carcere di Makala. Ricordo ancora come i condannati per la morte di Laurent Kabila fossero tenuti nella sezione 1, separati da tutti gli altri. Ricordo Eddy Kapend, l’ex aiutante di campo del Presidente ucciso, che ci spiegava attraverso la grata che separava la sezione dal resto del complesso detentivo, come ingiusto fosse stato il processo e di quanti e da quali gravi problemi di salute fossero afflitti là dentro.
Joseph Kabila ha governato il suo Paese per 18 anni prima che Tshisekedi vincesse le elezioni nel dicembre 2018. Durante questo tempo, è stato di parola perché ha mantenuto la moratoria delle esecuzioni mentre quell’atto di clemenza che non ha voluto o saputo concedere sembra quasi averlo voluto passare in consegna al suo successore.
Tshisekedi ha fatto bene le cose. Il 30 giugno 2020, aveva commutato le condanne a morte in ergastoli. Poi, il 31 dicembre 2020, ha stabilito che i detenuti che a quella data avessero trascorso in carcere 20 anni, venissero liberati. «Il provvedimento interessa quindi Eddy Kapend e alcuni membri del suo gruppo», ha spiegato Giscard Kusema, addetto stampa presidenziale che ha precisato come la grazia presidenziale sia una misura di portata generale e di carattere non personale. La RDC ci rivolge così un invito accorato alla grazia, alla capacità di costruire un equilibrio che sappia, nel tempo, contemperare e superare la giustizia penale. Coincidenza vuole che, il 2 gennaio, quando Eddy Kapend in RDC torna libero, il Kazakistan si libera definitivamente dalla pena di morte con la firma del Capo dello Stato Kassym-Jomart Tokayev alla legge di ratifica del Secondo Protocollo opzionale al Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici, che obbliga gli Stati all’abolizione. Anche qui, sempre nel 2003, facemmo una missione a sostegno della moratoria in vista dell’abolizione tanto sul piano interno che internazionale.
Eravamo in viaggio per la moratoria Onu delle esecuzioni, in sintonia con i Paesi che ci accoglievano e mossi dal rispetto dello spazio e del tempo altrui, tanto politico quanto culturale, per andare verso l’abolizione e al contempo salvare vite umane.
Alla fine dell’anno appena passato, sempre dall’Africa, è giunta la notizia della commutazione in Tanzania, nel giorno dell’indipendenza, di 256 condanne a morte da parte del Presidente John Magufuli.
Queste notizie sulle commutazioni in Africa e l’abolizione in Kazakistan sono esiti naturali di un viaggio tanto avventuroso quanto vitale. Sono un’esortazione a riflettere sull’obiettivo del superamento del braccio della morte e anche sul nostro nuovo traguardo del superamento dell’istituto penitenziario in sé. È, quest’ultimo, un messaggio che spedisco oggi, certa che me lo ritroverò domani, frutto di un passato particolarmente ispirato.
Per saperne di piu' : https://www.ilriformista.it/una-lezione-di-clemenza-dal-cuore-dellafrica-187686/
 

KAZAKISTAN: PENA DI MORTE ABOLITA

La Repubblica del Kazakistan ha formalmente abolito la pena di morte il 2 gennaio 2021, quando il presidente Kassym-Jomart Tokayev ha firmato la ratifica parlamentare del Secondo Protocollo Opzionale al Patto Internazionale sui diritti Civili e Politici, che impegna i Paesi aderenti ad abolire la pena di morte.
Il 23 settembre 2020 il Kazakistan aveva firmato il Secondo Protocollo Opzionale, "per adempiere al diritto fondamentale alla vita e alla dignità umana", ha affermato il presidente Tokayev.
Si tratta dell'88° Paese che diventa firmatario o parte del Secondo Protocollo Opzionale, in base al quale la pena capitale può essere utilizzata solo in circostanze eccezionali, come crimini di guerra o atti terroristici.
L'uso della pena di morte in Kazakistan era stato sospeso da un decreto presidenziale che nel 2003 aveva introdotto una moratoria sulle esecuzioni.
C'è attualmente una persona condannata a morte, la cui pena sarà trasformata in ergastolo.
(Fonti: EJI, Deutsche Welle, 08/01/2021)


POLONIA: ATTIVISTA SVEDESE DEL FALUN GONG RISCHIA LA CONDANNA A MORTE SE ESTRADATO IN CINA

L'attivista svedese del Falun Gong Li Zhihui, 53 anni, rischia di essere estradato in Cina e condannato a morte nel caso venga consegnato dalla Polonia, Paese in cui si trova detenuto da quasi due anni. Il Ministero degli Affari esteri svedese sta seguendo il caso e, secondo il giornale svedese Expressen, ha espresso le proprie preoccupazioni in una lettera inviata alla controparte polacca. Nella lettera il Ministero ha spiegato che c'è un grande rischio che il cittadino svedese possa essere condannato a morte nel caso venga consegnato alla Cina.
Formalmente, Li Zhihui è ricercato dalla Cina tramite l'Interpol perché sospettato di reati finanziari.
Peter Dahlin dell'organizzazione per i diritti umani Safeguard Defenders, ritiene tuttavia che la Cina voglia punirlo per il suo impegno nel Falun Gong.
Il Falun Gong è un movimento bandito in Cina poiché il governo lo considera una potenziale minaccia a causa delle sue dimensioni, della sua autonomia dallo Stato e dei suoi insegnamenti spirituali.
Secondo Safeguard Defenders e Polish News, Li Zhihui era un uomo d'affari di successo in Cina prima di venire in Svezia nel 2012. Ha ricevuto la cittadinanza svedese nel 2016 e si dice che sia stato attivo nel movimento del Falun Gong.
Li Zhihui è stato arrestato all'aeroporto di Varsavia nel marzo 2019 mentre viaggiava tra Svezia e Bulgaria.
La prossima settimana, la Corte Suprema polacca deciderà se estradare Li Zhihui in Cina o meno. I tribunali inferiori in Polonia hanno autorizzato l’estradizione a seguito delle promesse dell'ambasciata cinese che i suoi diritti non saranno violati. Ma Peter Dahlin dubita che le promesse cinesi valgano qualcosa e in un'intervista con Expressen ha detto esserci un lungo elenco di casi in cui la Cina ha fatto promesse su come le persone sarebbero state trattate. Poi quelle promesse vengono ignorate non appena le persone rientrano in Cina.
Il ministero degli Esteri svedese afferma in una e-mail inviata a Expressen che l'ambasciata svedese a Varsavia sta seguendo da vicino la questione e che la Repubblica Popolare cinese non soddisfa i criteri di certezza del diritto. Il sistema legale è sotto il controllo del Partito Comunista e quindi non è indipendente.
(Fonti: ScandAsia, 12/01/2021)
 
 
 





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