"La presa di Singapore" di James Gordon Farrell (Neri Pozza, traduzione di Francesca Cosi e Alessandra Repossi)

 

Singapore non è stata costruita un po' per volta, come gran parte delle città, grazie all'accumulo progressivo di attività commerciali sulle rive di un fiume o sulla confluenza di tradizionali vie di scambio. È stata semplicemente inventata un giorno, nel diciannovesimo secolo, da un tizio che osservava una cartina. “Qui” si disse il tizio, “a metà strada tra l'India e la Cina, ci vuole una città.” (pag. 9)

È il folgorante incipit del torrenziale romanzo storico (sono 800 pagine densissime) “La presadi Singapore” di James Gordon Farrell (Neri Pozza, traduzione di FrancescaCosi e Alessandra Repossi) che narra gli ultimi anni della colonia inglese di Singapore, dal 1937 fino alla resa nel febbraio del 1942 all'esercito dell'Impero giapponese. 

Un romanzo che mi ha conquistato e rapito per le prime 350-400 pagine per poi lentamente farmi scivolare sotto le coperte della noia e condurmi sfinito all'ultima pagina perché a un certo non sono più riuscito a sopportare le lunghe digressioni saggistiche/economiche che appessantiscono parecchio la narrazione e tolgono fascino all'atmosfera del romanzo.

Il più grande pregio di questo romanzo è comunque la capacità dell'autore di ricostruire fin nei minimi dettagli e con feroce arguzia, mescolando narrativa e saggio storico, il declino dell'impero coloniale inglese e la bolla di sfarzo/idiozia/divertimenti/soprusi/vanità/cecità entro cui viveva la classe mercantile/militare/borghese di Singapore incapace di comprendere che il loro mondo stava tramontando, che i privilegi erano diventati carne avariata e che le loro feste e le loro ville erano fuochi fatui. Basti pensare che coi giapponesi ormai a un passo dalla conquista c'era ancora chi si divertiva a organizzare feste, balli, progettare matrimoni Fra tutti i personaggi quello che mi ha colpito maggiormente è la figura misteriosa della bellissima Vera Chiang (cino-russo, forse figlia di nobili e mercanti, forse una prostituta, una rivoluzionaria, un'approfittatrice) per la quale proverà una forma di attrazione l'altro personaggio interessante del romanzo, il sognatore e timido Matthew Webb, tornato a Singapore dall'Inghilterra dopo la morte del padre ricchissimo, che non accetta i soprusi ai danni dei lavoratori e i privilegi della classe a cui appartiene e che nemmeno è intenzionato a accettare un matrimonio di convenienza (salvaguardare l'attività commerciale della gomma) con la figlia, Joan, di quel socio del padre, Walter Webb, talmente tanto accecato dalla brama di soldi/potere da non accorgersi che si sta per scatenare l'inferno.

Concludo dicendo che mentre lo leggevo questo romanzo mi ha ricordato la primissima parte del film "L'impero del sole” con la famiglia inglese che vive, fra agi e scuole private, nel quartiere riservato e che pochi giorni prima della catastrofe partecipa a una festa in maschera.

Ecco se avete visto quel film l'atmosfera de “La presa di Singapore” è esattamente quella e confesso che mi ci sarei trovato alla perfezione. 

Perché sono sempre stato un ragazzino stronzo.

E ancora oggi sono uno stronzo.


(In Company)

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