Nessuno Tocchi Caino - LA VIRGINIA ABOLISCE LA PENA DI MORTE, DIRETTA DISCENDENTE DEL LINCIAGGIO

Nessuno Tocchi Caino News
 
Anno 21 - n. 7 - 13-02-2021

Contenuti del numero:

1.  LA STORIA DELLA SETTIMANA : LA VIRGINIA ABOLISCE LA PENA DI MORTE, DIRETTA DISCENDENTE DEL LINCIAGGIO
2.  NEWS FLASH: STORIE DAL 41 BIS: VIETATO ESSERE PERSONE
3.  NEWS FLASH: PAKISTAN: CONDANNA A MORTE COMMUTATA PER DUE PRIGIONIERI MALATI DI MENTE
4.  NEWS FLASH: ARABIA SAUDITA: TRE CONDANNE A MORTE COMMUTATE
5.  NEWS FLASH: IL DIPLOMATICO IRANIANO ASSADI E TRE SUOI COMPLICI CONDANNATI AL CARCERE IN BELGIO PER TERRORISMO DI STATO
6.  I SUGGERIMENTI DELLA SETTIMANA :


LA VIRGINIA ABOLISCE LA PENA DI MORTE, DIRETTA DISCENDENTE DEL LINCIAGGIO
Valerio Fioravanti

Il 3 e il 5 febbraio Senato e Camera della Virginia hanno approvato l’abolizione della pena di morte. Il Senato la sostituirebbe con l’ergastolo “semplice”, la Camera con l’ergastolo senza condizionale. La differenza tra i due ergastoli verrà discussa nei prossimi giorni da una commissione bicamerale che troverà un compromesso. Poi la legge andrà dal Governatore per la ratifica. Non ci saranno imprevisti, considerato che Ralph Northam già durante la campagna elettorale si era dichiarato contrario alla pena di morte per valutazioni morali, ma soprattutto per valutazioni economiche. Già, perché la nuova legge è stata valutata non solo dalle Commissioni Giustizia, ma anche dalle Commissioni Finanze delle rispettive camere. Attualmente la Virginia ha due uomini (di colore) nel braccio della morte. Da un punto di vista economico la valutazione è stata semplice: mantenere due ergastolani in carcere costa 77.000 dollari l’anno, mantenere due condannati a morte costa, solo di spese legali, 4 milioni di dollari l’anno. Questo perché, per legge, a chi rischia l’esecuzione devono essere assicurate garanzie supplementari rispetto agli imputati “normali”: ha diritto a un numero quasi illimitato di ricorsi e ad avvocati e periti d’ufficio che siano di buon livello. Come ha constatato il Parlamento, solo tenere in piedi l’agenzia statale che fornisce e retribuisce gli avvocati d’ufficio (il “Capital Defender Service”) costa al contribuente della Virginia 4 milioni di dollari ogni anno. Non a caso, molti sostengono che in caso di errore giudiziario sia meglio essere condannati a morte che non a vita: il condannato a morte può continuare a fare affidamento su buoni avvocati, mentre il condannato a vita dopo la sentenza di primo grado viene sostanzialmente “abbandonato”. Dal 1972 a oggi, 172 condannati a morte sono stati riconosciuti innocenti e rimessi in libertà.
Con il voto di questa settimana la Virginia diventa il 23° Stato degli Usa a eliminare dai propri statuti la “punizione massima”. Gli Stati abolizionisti sono quasi tutti collocati nella fascia ricca del Nordest. Nella tradizionale suddivisione degli Stati in 4 macroregioni (West, Midwest, Northeast, South), la Virginia è il primo Stato del Sud a chiudere con l’antica pratica delle esecuzioni. In realtà la Virginia non è proprio a sud, anzi, confina con la capitale Washington, da cui è divisa solo dal fiume Potomac. È considerata “Stato del Sud” perché, con le sue piantagioni di tabacco e cotone, e le decine di migliaia di schiavi di pertinenza, ai tempi della Guerra di Secessione è stata un caposaldo dei Confederati. Affacciata sull’Atlantico, oggi ha quasi 9 milioni di abitanti, e probabilmente la sua “industria” più famosa nel mondo è la sede centrale della Cia, a Langley, a 200 metri dalle rive del Potomac.
Nella storia ufficiale della pena di morte – quindi, esecuzioni giudiziarie, non linciaggi o esecuzioni extragiudiziali – nordamericana, la Virginia detiene un record: ha registrato, nel 1608, quando ancora era colonia britannica, la prima esecuzione di cui ci sia traccia formale nei registri. Nel corso dei 4 secoli successivi ha messo a morte 1.389 persone, più persone di qualsiasi altro Stato, compreso il famigerato Texas. Non a caso i parlamentari Democratici che hanno spinto per l’abolizione (con l’aggiunta di 3 Repubblicani) sono stati chiari: “La pena di morte è la diretta discendente del linciaggio. È razzismo sponsorizzato dallo Stato”.
Negli ultimi tempi, tuttavia, il ricorso alla pena di morte è molto diminuito: 10 esecuzioni negli ultimi 10 anni, l’ultima nel 2017, mentre nel braccio della morte ci sono solo 2 uomini. Pur non sapendo ancora quale tipo di ergastolo si profili per Anthony Juniper, 50 anni, nero, condannato nel 2005, e per Thomas Porter, 46 anni, nero, condannato nel 2007, sappiamo però che negli Stati Uniti ci sono circa 100.000 persone condannate all’ergastolo, o meglio, a uno dei 3 tipi di ergastolo presenti nelle statistiche giudiziarie: l’ergastolo “semplice”, che prevede la possibilità di libertà condizionale dopo 20 o 25 anni; l’ergastolo senza condizionale, che non prevede sconti di pena; e l’ergastolo “equivalente”, ossia chi viene condannato a più di 60 anni.
Principale sostenitore della legge alla Camera è stato un ex pubblico ministero, Michael Mullin, che è stato categorico: “Lo stato non deve uccidere i propri cittadini”.


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NESSUNO TOCCHI CAINO - NEWS FLASH

STORIE DAL 41 BIS: VIETATO ESSERE PERSONE
Maria Brucale

Sono passati quasi trent’anni da quando la feroce uccisione dei Giudici Falcone e Borsellino portò una società stordita dalla violenza di quelle morti ad accettare una legislazione di emergenza che si annunciava già palesemente incostituzionale: l’introduzione del regime “41 bis”, una carcerazione sostanzialmente sottratta alla tensione rieducativa della pena per chi fosse accusato di essere al vertice di un sodalizio mafioso.
Con una riforma del 2002 l’emergenza si è tradotta in immanenza in un solco sempre più profondo di insicurezza sociale e di giustizialismo e quella norma che impedisce alla carcerazione di proiettare il ristretto alla restituzione in società è entrata definitivamente nel nostro ordinamento.
Dal 2009, poi, il 41 bis ha subito una ulteriore stretta con una modifica che individua nel tribunale di sorveglianza di Roma il solo giudice deputato a decidere sui reclami avverso la detenzione di rigore. Una violazione vistosa del criterio di prossimità connaturato all’esistenza stessa della figura del magistrato di sorveglianza, vicino al detenuto, che ne conosce il percorso e le progressioni ma, soprattutto, la creazione di un monolite giurisprudenziale attestato sulla pressoché fideistica approvazione dei decreti ministeriali.
Così ci sono persone che dal 1992 si trovano diuturnamente in 41 bis. Alcune ci sono morte. Quasi trent’anni, appunto, di “carcere duro” che si fa sempre più espressione di una spinta esasperatamente punitiva. Numerosi i segnali della giurisprudenza di merito e di legittimità di una carcerazione che vuole i ristretti non più uomini.
Con una recentissima pronuncia la Corte di Cassazione ha ritenuto legittima la sanzione di 15 giorni di isolamento inflitta a un detenuto in 41 bis per avere affermato, in una sua lettera, di essere stato deportato in un lager (il carcere in cui si trova) dove molti elementari diritti vengono negati.
La Cassazione rileva “l’atteggiamento offensivo nei confronti degli operatori penitenziari o di altre persone che accedono nell’istituto per ragioni del loro ufficio o per visita. Non può essere revocato in dubbio – secondo i giudici di legittimità – senza che possa invocarsi il diritto alla manifestazione del pensiero, che la definizione del carcere di Rebibbia come lager, ove si sarebbe ristretti per “deportazione”, implica giocoforza una offesa alla professionalità di quanti in quella struttura operano, perché il loro lavoro e il loro impegno viene automaticamente oltraggiato con la riconduzione al ruolo di aguzzini e torturatori”.
Eppure la censura della corrispondenza dovrebbe essere ammessa soltanto per impedire la veicolazione di messaggi potenzialmente criminogeni. Non è lecito utilizzarla per menomare un recluso della possibilità di sfogare, in una comunicazione che resta privata (seppure letta dal censore) il proprio strazio, la propria sofferenza, anche con toni accesi, iperbolici, perfino rabbiosi.
Ancora, dalla suprema Corte: il detenuto non può comunicare ad altro ristretto, con cui è in contatto epistolare, il suo trasferimento in altro istituto di pena. Viola le disposizioni di sicurezza del regime. Non può condividere con altri reclusi un modello di reclamo avverso provvedimenti dell’autorità giudiziaria. Ciò lo porrebbe, secondo i giudici di legittimità, in un rapporto di supremazia e gli darebbe una indebita autorevolezza. Contro ogni logica, contro ogni umanità, lo si priva del conforto di una corrispondenza soggetta a censura e gli si impedisce di condividere la propria esperienza e di offrire aiuto a una persona che si trova nella sua stessa condizione.
Dalla magistratura di sorveglianza, invece, arrivano provvedimenti di divieto di acquistare libri, pur di alto contenuto formativo, a firma della Presidente emerita della Corte Costituzionale, Marta Cartabia e del Prof. Adolfo Ceretti, perché, dice il p.m.: “il possesso del libro metterebbe il detenuto in posizione di privilegio agli occhi degli altri detenuti e aumenterebbe il carisma criminale” e, conferma il giudice: “il possesso del libro determinerebbe una posizione di privilegio rispetto agli altri detenuti”. Conoscere, migliorarsi, dunque, determina supremazia.
Ancora. Trattenuta dal magistrato di sorveglianza la lettera di un avvocato al proprio assistito perché contiene un’ordinanza relativa ad altro ristretto, il cui nome è omissato, utile alla sua difesa perché “attraverso eventuali interpolazioni del testo, potrebbe veicolare messaggi illeciti”. Insomma si ipotizza che l’avvocato abbia manipolato il provvedimento per trasmettere al detenuto contenuti criminogeni. La suggestione esplicita, dunque, che il difensore sia correo o, quantomeno, favoreggiatore del clan e la palese
violazione di legge perpetrata nel bloccare la corrispondenza, peraltro con il difensore, in virtù di una vaga, inconcludente e calunniosa ipotesi di sospetto.
Divieto di pensare, di conoscere, di migliorarsi. Per l’amministrazione penitenziaria anche di desiderare. Vietata la fantasia sessuale. No alle riviste porno, un mero interesse del ristretto, secondo il DAP, non un diritto per poter dare vita, almeno nel sogno, nell’astrazione, nel totale isolamento di una condizione di totale privazione, all’istinto che appartiene a tutti, che è connaturato alla persona, che non può essere soppresso, pena la mutilazione della essenza di uomo.
Ma sembra ormai tutto lecito per i dannati di quel mondo, il 41 bis, di sterile agonia, di silenzio della mente, delle coscienze.


PAKISTAN: CONDANNA A MORTE COMMUTATA PER DUE PRIGIONIERI MALATI DI MENTE

Con una sentenza storica, il 10 febbraio 2021 la Corte Suprema del Pakistan ha commutato le condanne a morte di due prigionieri malati di mente che hanno trascorso decenni nel braccio della morte, la prima sentenza del genere nel Paese.
La decisione della Corte Suprema è stata subito salutata dal Justice Project Pakistan, un gruppo per i diritti umani che ha combattuto una lunga battaglia legale per i due detenuti.
Uno dei due prigionieri la cui condanna è stata commutata, Kanizan Bibi, ha trascorso 30 anni nel braccio della morte. La Bibi aveva 16 anni quando fu accusata di aver ucciso la moglie e i cinque figli del suo datore di lavoro. La polizia ha detto che aveva una relazione con il suo datore di lavoro, anch'egli arrestato e successivamente impiccato. Alla Bibi è stata diagnosticata la schizofrenia nel 2000.
Il secondo prigioniero nel braccio della morte la cui condanna è stata commutata, Imad Ali, 55 anni, è stato riconosciuto colpevole dell’omicidio di uno studioso di religione nel 2001. Gli è stata diagnosticata la schizofrenia nel 2008.
Nel 2016, la Corte Suprema del Pakistan ha fermato l'esecuzione di Ali pochi giorni prima della prevista impiccagione.
"A causa di alcune idee sbagliate, le implicazioni della malattia mentale sono trascurate e alla vulnerabilità o disabilità che provoca non viene data la dovuta attenzione", ha detto il giudice Manzoor Ahmad Malik nelle sue osservazioni davanti al collegio di cinque giudici della Corte.
Il Pakistan nel 2008 ha ratificato una convenzione internazionale che proibisce l'esecuzione di prigionieri malati di mente. Da allora, solo un prigioniero malato di mente è stato giustiziato, Muneer Hussain. Secondo il gruppo per i diritti, è stato impiccato nell'aprile 2015 nonostante avesse una storia di malattia mentale.
L'anno scorso, con lo scoppio della pandemia di coronavirus e il forte aumento dei casi COVID-19 nelle affollate carceri del Pakistan, la Corte Suprema ha accettato di rilasciare alcuni prigionieri malati di mente e disabili per alleviare le condizioni, ma solo quelli le cui condanne erano inferiori a tre anni.
Le condanne di Bibi e Ali sono state commutate in ergastolo, che in termini legali in Pakistan di solito significa non più di 14 anni di carcere. Il tempo che hanno già passato dietro le sbarre conterà come condanna scontata e i due verranno rilasciati se una commissione medica darà parere favorevole. In caso contrario saranno trattati in un ospedale per malati di mente.
Nella sentenza del 10 febbraio, la Corte Suprema ha anche ordinato ai funzionari penitenziari di presentare una nuova domanda di grazia per un terzo prigioniero, Ghulam Abbas, che ha trascorso più di 15 anni nel braccio della morte, ha detto Zainab Manzoor, avvocato del Justice Project Pakistan.
Il presidente pakistano Arif Alvi ha l'autorità di graziare Abbas.
(Fonte: AP, 10/02/2021)


ARABIA SAUDITA: TRE CONDANNE A MORTE COMMUTATE

Tre giovani sauditi che erano stati condannati a morte per azioni commesse da minorenni hanno ricevuto la commutazione della pena in 10 anni di reclusione, ha reso noto il 7 febbraio 2021 la Commissione Saudita per i Diritti Umani.
Ali al-Nimr, Dawood al-Marhoun e Abdullah al-Zaher, appartenenti alla minoranza sciita, sono stati detenuti separatamente con accuse legate alla loro partecipazione alle proteste sciite antigovernative che hanno scosso la provincia orientale del Paese nel 2011-2012.
Al-Nimr, nipote dell'importante religioso dell'opposizione Shiekh Nimr al-Nimr, la cui esecuzione scatenò manifestazioni sciite dal Bahrein al Pakistan, è stato arrestato nel 2012 all'età di 17 anni, secondo Human Rights Watch. Era stato condannato a morte dal Tribunale penale speciale di Riyadh, che gestisce i processi per terrorismo.
Al-Marhoun aveva 17 anni e al-Zaher 15 quando hanno subito la repressione del governo e gli è stato negato l'accesso agli avvocati durante la prolungata detenzione preventiva, aveva riportato in precedenza HRW.
La Commissione per i Diritti Umani ha comunicato che il rilascio di tutti e tre i giovani è stato fissato per il 2022, dal momento che le autorità saudite hanno tenuto conto del tempo già trascorso in carcere.
Il padre di Al-Nimr, Mohammed, ha accolto favorevolmente la notizia su Twitter, descrivendo il cambio di condanna come un ordine diretto del Re Salman. L'ufficio comunicazioni del governo non ha risposto a una richiesta di commento.(Fonti: AP, 07/02/2021)


IL DIPLOMATICO IRANIANO ASSADI E TRE SUOI COMPLICI CONDANNATI AL CARCERE IN BELGIO PER TERRORISMO DI STATO

Sono stati condannati il 4 febbraio ad Anversa Assadollah Assadi e i suoi tre complici Nassimeh Naami, Mehrdad Arefani, e Amir Saadouni, rispettivamente a 20, 18, 17 e 15 anni.
I tre uomini e la donna sono accusati di aver cercato di collocare, nel 2018, una bomba sul palco delle personalità durante il raduno del National Council of Resistance of Iran (NCRI), raduno che si svolge ogni anno in Francia, a Parigi o nei dintorni. L'NCRI è l'ala politica del gruppo di opposizione iraniano in esilio Mujahedin-e Khalq (MEK), un gruppo il cui quartier generale è in Francia, che si oppone esplicitamente all’attuale governo iraniano.
Il discorso principale del raduno del 2018 era stato tenuto da Rudy Giuliani, l'ex sindaco di New York City e poi avvocato personale dell’allora presidente degli Stati Uniti Donald Trump.
Gli Stati Uniti hanno considerato il MEK, che in origine contrastava sia il regime dello Scià sia il regime teocratico degli Ayatollah da posizioni marxiste, un gruppo terroristico fino al 2012. Tale definizione è stata rimossa a seguito di una campagna di lobbying e all’impegno dell’organizzazione a non utilizzare metodi violenti. Giuliani è tra coloro che hanno esercitato pressioni in suo favore.
L'attacco al raduno è stato sventato da un'operazione coordinata tra i servizi di sicurezza francesi, tedeschi e belgi. Funzionari francesi hanno detto che Assadi era responsabile dell'intelligence nell'Europa meridionale, e agiva su ordine di Teheran.
Amir Saadouni, 40 anni, e sua moglie, Nasimeh Naami, 36 anni, erano stati arrestati in Belgio la mattina del 30 giugno 2018 (alcune fonti dicono 29 giugno). La polizia belga ha intercettato la coppia belga di origine iraniana che guidava da Anversa a Parigi con un ordigno composto da 500 grammi di esplosivo TATP nascosto nel beauty case della donna, e un detonatore comandato a distanza nascosto tra gli assorbenti della donna. Secondo l’accusa erano diretti a Villepinte, nei sobborghi di Parigi, dove, nella stessa giornata del 30 giugno, gli attivisti del NCRI tenevano un importante incontro internazionale.
Durante le indagini, hanno ammesso di aver ricevuto da Assadi “un pacchetto”, ma di non sapere che si trattasse di una bomba, ma tutt’al più di qualcosa che avrebbe fatto “molto rumore”.
Il quarto imputato, Mehrdad Arefani, un uomo di origini iraniane e cittadinanza belga, è ritenuto dagli investigatori un infiltrato tra i simpatizzanti dei Mojahedin del Popolo, e avrebbe collaborato alla preparazione dell’attentato.
Come Nessuno tocchi Caino aveva riportato il 28 novembre 2020, il dibattimento era iniziato ad Anversa, in Belgio, il 27 novembre. Il processo è stato seguito con attenzione dai media, trattandosi del primo processo in Europa in cui un diplomatico iraniano era accusato di un atto di terrorismo i cui mandanti sarebbero stati, secondo la ricostruzione dell’accusa, i vertici dello stato iraniano. Altri paesi europei hanno attribuito all’Iran attentati contro dissidenti, tra cui due omicidi nei Paesi Bassi nel 2015 e nel 2017, e un omicidio sventato in Danimarca nel 2018, ma questo è stato il primo processo che ha visto la collaborazione di più governi, e soprattutto il primo che è stato possibile celebrare con imputati ben identificati e con prove circostanziali.
Oggi è stata emessa la sentenza: Assadi, 48 anni, ex Terzo Segretario dell’ambasciata iraniana a Vienna, è stato condannato a 20 anni. La Corte non gli ha riconosciuto la protezione dell’immunità diplomatica. Assadi era stato arrestato il 30 giugno 2018 durante una vacanza in Germania, dove non godeva dell’immunità diplomatica, e consegnato al Belgio. La Naami, Arefani, e Saadouni, complici di Assadi nel complotto, sono stati rispettivamente condannati a 18, 17 e 15 anni di carcere e sono stati privati della cittadinanza belga.
Teheran ha negato il proprio coinvolgimento, e sin dalle fasi istruttorie ha reclamato la protezione diplomatica per Assadi, che per il governo iraniano è “assolutamente innocente”. Prima della sentenza il governo iraniano aveva detto a più riprese che non avrebbe riconosciuto la validità della sentenza.
La prima reazione ufficiale iraniana mantiene la linea: “Condanniamo fermamente la decisione di un tribunale belga di condannare un diplomatico iraniano accusato di aver pianificato un attentato contro una riunione di un gruppo di opposizione in esilio in Francia”, ha detto Saeed Khatibzadeh, portavoce del ministero degli Esteri, in una dichiarazione il 4 febbraio alla TV statale. "Come abbiamo affermato molte volte in precedenza, la detenzione di Assadolah Assadi, il processo e la recente condanna sono illegali e una chiara violazione del diritto internazionale, in particolare la Convenzione di Vienna del 1961", ha detto Khatibzadeh.
Secondo la sentenza odierna, la bomba che Assadi aveva consegnato a Naami e Saadouni era stata fabbricata in Iran ed era stata portata in Europa in una valigia diplomatica.
Naami e Saadouni avevano ricevuto istruzioni di posizionare la bomba “il più vicino possibile” alla signora Maryam Rajavi, presidente del NCRI.
La Corte ha respinto l'affermazione della coppia di aver agito per paura e intimidazione, ed ha accertato la validità di documenti che dimostravano che avevano costantemente ricevuto denaro da Assadi in cambio di informazioni. La Corte ha anche respinto le affermazioni di Arefani di non essere stato in contatto con Assadi.
La sentenza è stata festeggiata e commentata in una conferenza online con partecipanti da oltre 3.000 luoghi in tutto il mondo. A questa conferenza hanno partecipato anche molte delle personalità internazionali che erano presenti nel 2018 alla manifestazione di Villepinte, e che si erano costituite parte civile nel processo.
Oratrice principale della conferenza è stata la signora Rajavi, presidentessa del Consiglio Nazionale della Resistenza Iraniana. "La condanna odierna del diplomatico-terrorista è la conferma, da parte di un’autorità giudiziaria europea, dell’uso del terrorismo di stato che fa l’Iran”. “L'Iran e il resto del mondo hanno sofferto per questo terrorismo negli ultimi quattro decenni. L'intelligence e i ministeri degli esteri e le ambasciate del regime sono stati direttamente coinvolti in questo complotto". "Questo è un trionfo epocale per il popolo iraniano e la Resistenza. Questo è un duro colpo politico e diplomatico per il regime clericale in Iran”.
La Rajavi ha proseguito: “[La sentenza] segna la fine degli inganni di entrambe le fazioni del regime per coprire i loro ruoli nei crimini terroristici. Ha rivelato lo scandaloso finanziamento dei loro agenti per sostenere la campagna di demonizzazione contro l'Organizzazione dei Mojahedin del Popolo dell'Iran e la Resistenza iraniana. È un colpo irreparabile alla strategia di esportazione del regime clericale e la diffusione del terrorismo". "Sì, il rovesciamento del regime dei mullah sarà il risultato definitivo della determinazione e del desiderio del popolo iraniano", ha sottolineato la presidente del NCRI.
Dopo l’intervento della Rajavi, hanno preso la parola molti ospiti illustri da diversi paesi nei cinque continenti: Ingrid Betancourt, Giulio Terzi, Pandeli Majko, Tom Ridge, Patrick Kennedy, Michèle de Vaucouleurs, Alejo Vidal-Quadras, Steve McCabe, Wesley Martin , Riad Yassin Abdallah, Jean Michele Clement, Stephen Harper, James Jones, Lars Rise, Tahar Boumedra, Kimmo Sasi, Paulo Casaca, Eric David, Michele Alliot-Marie, Gianna Gancia, John Baird, Linda Chavez, Robert Torricelli, Struan Stevenson, Robert Joseph, Matthew Offord, David Jones, e Martin Patzelt.
La maggior parte degli oratori erano potenziali vittime dell’attentato di Villepinte.
Tra questi Giulio Terzi, ex ministro degli Esteri italiano, che ha dichiarato: “Questo è un momento in cui dobbiamo credere che si debba ottenere giustizia anche per altri crimini commessi dall'odioso regime dei mullah. Deve essere resa giustizia per l'esecuzione in massa di prigionieri politici nel 1988, e l'uccisione di rifugiati politici in altri paesi”, ha detto Giulio Terzi, ex ministro degli Esteri italiano. “Gli stati troppo accondiscendenti con il regime dei mullah devono essere consapevoli che la maschera è finalmente caduta. Il regime è certificato come uno stato terrorista dalla corte. I giudici hanno stabilito che Assadi agiva per conto dei leader del regime iraniano. Ciò mostra l'unità tra la cosiddetta linea dura e le fazioni riformiste del regime. Il regime, in particolare Zarif, ha utilizzato cittadini con doppia nazionalità, civili innocenti, come ostaggi per influenzare il caso di Assadi e ottenerne il rilascio" ha concluso Terzi. Tra le personalità che hanno preso la parola, anche la europarlamentare italiana Gianna Gancia: “Abbiamo bisogno di una linea di condotta più energica contro le attività minacciose del regime iraniano in Europa. In Europa dobbiamo essere fermi contro le azioni del regime iraniano. È giunto il momento di declassare le relazioni diplomatiche con l'Iran. Dovremmo ritirare i nostri ambasciatori dall'Iran”, ha detto l'eurodeputata Gancia.
(Fonti: irannewsupdate.com, PMOI/MEK, Reuters)
 

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