NESSUNO TOCCHI CAINO - VECCHIO E MALATO, SCARCERATO SOLO QUANDO HA PRESO IL COVID

NESSUNO TOCCHI CAINO NEWS

Anno 21 - n. 10 - 06-03-2021

Contenuti del numero:

1.  LA STORIA DELLA SETTIMANA : VECCHIO E MALATO, SCARCERATO SOLO QUANDO HA PRESO IL COVID
2.  NEWS FLASH: COSI’ TRUMP HA NASCOSTO L’AGONIA DEI GIUSTIZIATI
3.  NEWS FLASH: EGITTO: 17 GIUSTIZIATI IN UNA SETTIMANA
4.  NEWS FLASH: IRAQ: TRE GIUSTIZIATI PER ‘TERRORISMO’
5.  NEWS FLASH: IRAN: QUATTRO DETENUTI POLITICI GIUSTIZIATI NELLA PRIGIONE DI AHVAZ
6.  I SUGGERIMENTI DELLA SETTIMANA :


VECCHIO E MALATO, SCARCERATO SOLO QUANDO HA PRESO IL COVID


Fausto Malucchi su Il Riformista del 5 marzo 2021

Il momento più duro è quando esci e non hai dato sostanza a quanto ti ha chiesto, con insistenza. quasi con supplica, un condannato, un condannato anziano.
Moreno M. è un uomo minuto che ho conosciuto diversi mesi fa in carcere dove stava espiando una pena di tre anni e mezzo per un reato di bancarotta, bancarotta fraudolenta. Non è alla prima esperienza di questo tipo; per molti anni ha sentito il rumore metallico delle porte, la chiave che sigillava la sua notte. Nella sua vita è stato più bancarottiere che imprenditore ma non l’ha mai fatta franca, nel senso originale della frase e non come va dicendo in giro qualcuno.
Bastano però pochi minuti, il tempo necessario per il racconto dei suoi malanni per capire che il carcere forse non è proprio il luogo più adatto per un uomo come lui. Moreno ha un tumore alla prostata, l’ipertensione, l’iperlipidemia mista, l’edentulia grave e soprattutto non è più in grado di gestire le sue urine. Per questo indossa per tutto il giorno e per tutta la notte, in pratica a vita, un pannolone. Per le sue funzioni, anche quelle minime, avrebbe bisogno di un piantone e nell’attesa, mosso a compassione, svolge il ruolo, con merito, il suo compagno di cella.
Già, la cella. Io non l’avevo mai vista una cella prima che mi ci facesse accedere il Partito Radicale in una visita organizzata quattro o cinque anni fa al carcere di Pistoia, quello vero, quello che inizia nello stesso posto dove noi avvocati in genere ci congediamo dal cliente per ritornare fuori.
E la cella di Moreno è grande all’incirca come un ripostiglio ma ora vi vivono in due, non più in tre come avveniva in tempo di super-sovraffollamento. Oggi per fortuna la situazione è migliorata ed il sovraffollamento è sovraffollamento e basta, grazie al cielo, e la cella di Moreno, da dividersi con l’improvvisato piantone, per le sue dimensioni, volendo sembra quasi un nido e non più un luogo di espiazione. Comunque, ad un’istanza di detenzione domiciliare per motivi di salute non ho saputo rinunciare, nella quasi certezza che anche i magistrati ad un uomo anziano e malato, criminale sì ma da strapazzo, non avrebbero detto di no. Ed invece il Magistrato di Sorveglianza in prima battuta (15/2/2020) ed il Tribunale nel successivo giudizio (4/6/2020) hanno ritenuto che le condizioni cliniche del condannato fossero “discrete” e di conseguenza non incompatibili con il regime carcerario.
Ho aspettato il 4 novembre, il giorno in cui il Moreno compiva settanta anni, per regalare al mio assistito un nuovo ricorso. Questa volta ai sensi dell’art. 47 ter, comma I°, O.P. “La pena della reclusione per qualunque reato… può essere espiata nella propria abitazione o in altro luogo pubblico di cura, assistenza ed accoglienza, quando trattasi di persona che…abbia compiuto i settanta anni”. A giugno era fallito il tentativo di Fratelli d’Italia, Lega e Cinque Stelle di innalzare a 75 la soglia di quel beneficio e quindi Moreno avrebbe potuto certamente usufruirne. C’erano anche due nuovi elementi che sembravano favorire la sua richiesta: la sua salute ancor più pregiudicata e il Covid che stava minacciando non soltanto i detenuti ma anche le persone sane di libertà.
E proprio facendo leva anche sul Covid e su qualche provvedimento di Giudici che avevano avvertito il pericolo, pensavo che stavolta non ci sarebbe stata questione e men che meno rifiuto. All’udienza del 9/2/2021 il P.G. chiedeva il rigetto dell’istanza ed il Tribunale di Sorveglianza rinviava al 20 aprile per avere un supplemento di relazione dal carcere.
Mogio mi son recato da Moreno per dare conforto morale visto che comunque fino alla calda stagione non si sarebbe più parlato della sua storia e a quella data forse saremmo stati anche nella condizione di poter chiedere la detenzione domiciliare ordinaria.
Ma appena arrivato all’ingresso sono stato cortesemente informato che Moreno non era più lì. Il rinvio questa volta non l’aveva concesso il virus e Moreno stava lottando con la morte nel relativo reparto dell’Ospedale San Jacopo di Pistoia.
Carissimo Moreno questa volta ce l’ho fatta, ti ho tirato fuori dal carcere per motivi di salute e con largo anticipo sulla prossima udienza fissata alle idi d’aprile. Spero che anche tu ce la possa fare.
Io nel frattempo continuerò a sbirciare nel Parlamento, nelle aule di Giustizia, nelle carceri, alla ricerca dell’uomo.


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NESSUNO TOCCHI CAINO - NEWS FLASH

COSI’ TRUMP HA NASCOSTO L’AGONIA DEI GIUSTIZIATI
Valerio Fioravanti su Il Riformista del 5 marzo 2021

Come sappiamo, Trump, credendo che potesse servire per rivincere le elezioni, ha fatto compiere 13 esecuzioni durante gli ultimi 7 mesi del suo mandato. La sua scelta sembra confermare quello che gli abolizionisti sostengono da tempo: la linea dura sulla giustizia non serve a migliorare la sicurezza della comunità, serve ad alcuni politici per farsi pubblicità.
Non sapremo mai se il calcolo di Trump sia stato giusto, nel senso che di voti ne ha presi tanti, 12 milioni in più rispetto a 4 anni prima, e quindi sì, è probabile che molti statunitensi abbiano apprezzato quella che la stampa USA ha definito “frenesia di morte”. Però Trump ha indotto anche molti “astenuti” a tornare alle urne per votargli contro. E infatti le elezioni, con 7 milioni di voti in più, le ha vinte Biden.
È molto improbabile che il solo tema della pena di morte abbia davvero deciso le sorti delle elezioni, ma ora sappiamo che grazie alla netta contrapposizione che si è creata tra i due schieramenti, Biden, il vincitore, invece di temporeggiare come avevano fatto gli altri presidenti democratici, Obama e Clinton, agisca, e fermi la macchina della morte “di stato”.
Nel frattempo i “cani da guardia” della stampa fanno il loro lavoro, e lo fanno bene.
Associated Press ha messo a confronto i reportage dei giornalisti che (per legge) hanno assistito alle esecuzioni, con i rapporti “ufficiali” stilati dalle autorità penitenziarie, e ne ha ricavato un pezzo che è stato su molte prime pagine: il governo federale ha ripetutamente “ripulito” e “aggiustato” i resoconti delle esecuzioni.
Là dove i giornalisti avevano segnalato “Rantoli, annaspamenti, movimenti inconsulti del ventre in controtempo a quelli del torace”, la versione ufficiale parlava di “prigionieri che hanno chiuso gli occhi, e dopo che si è registrato un rumore come di russare, si sono addormentati definitivamente”. La questione non è da poco.
National Public Radio, un altro attentissimo cane da guardia, nel settembre 2020 aveva compilato uno studio su 200 autopsie di persone uccise con l’iniezione letale.
I loro polmoni pesavano il doppio del normale perché erano pieni di liquido.
“Mentre il peso medio del polmone umano è compreso tra 400 e 450 grammi, le autopsie dei detenuti ottenute da NPR hanno mostrato pesi polmonari medi di 800 grammi. Alcuni hanno superato i 1.000 grammi ciascuno." La diagnosi di “edema polmonare fulminante” era già emersa sporadicamente negli anni precedenti, facendo capire che i condannati in realtà morivano per una sorta di “autoannegamento”, e solo le forti dosi di anestetici loro somministrate impedivano ai loro volti di mostrare i segni della prolungata agonia.
NPR ha messo i dati nero su bianco, ha intervistato esperti indipendenti di indiscutibile prestigio, che concordemente hanno dichiarato che quel tipo di edema provoca "una sensazione di annegamento, di soffocamento, di panico, di destino tragico imminente. Perfettamente sovrapponibile agli “interrogatori potenziati” come il waterboarding. Questi sono tra i sentimenti più strazianti conosciuti dall'uomo."
La giudice federale di Washington Tanya Chutkan, che ha provato a fermare ripetutamente le esecuzioni salvo essere continuamente sconfessata dalla Corte d’Appello e dalla Corte Suprema, ha osservato che se avesse avuto questi dati prima, avrebbe potuto motivare meglio le sue sentenze, e per i membri della Corte Suprema nominati da Trump sarebbe stato più difficile cassarle.
Contemporaneamente Pro Publica, altro cane da guardia, otteneva dati parziali ma sufficienti a dichiarare che l’idea di concentrare persone per le esecuzioni durante la pandemia aveva causato almeno 300 contagi tra i detenuti del penitenziario federale, e un numero alto, seppure imprecisato per la mancata collaborazione dell’Amministrazione, di contagiati tra gli agenti. E anche un cappellano, e almeno 2 avvocati.
Infine la American Civil Liberties Union ha costretto l’Amministrazione a fornire alcuni dati “economici” da cui si ricava che solo per superare la resistenza degli agenti che non volevano compiere così tante esecuzioni ne sono stati fatti arrivare a centinaia da altre carceri, per un costo stimato di poco meno di un milione di dollari per ogni esecuzione, tra spese di viaggio, di alloggio in albergo, di diaria, di straordinari, di indennità di missione e di “premio di produzione”. Come dicevamo all’inizio, c’è di buono che da tanto disastro probabilmente ne scaturirà, per reazione, l’abolizione della pena di morte federale.


EGITTO: 17 GIUSTIZIATI IN UNA SETTIMANA
 

Le autorità egiziane hanno impiccato questa settimana almeno 17 prigionieri.
Undici detenuti sono stati giustiziati il 2 marzo nella prigione Borg al-Arab di Alessandria, dopo essere stati riconosciuti colpevoli di omicidio.
Tra gli 11 detenuti giustiziati figurano un macellaio che era stato condannato a morte per l'omicidio di sua moglie e di due figli; un altro per l'omicidio di sua madre e un terzo per aver ucciso due persone in una sparatoria, ferendone diverse altre.
I dettagli riguardanti i casi degli altri otto detenuti non sono stati divulgati.
Secondo quanto riferito, i corpi sono stati trasferiti all'obitorio di Kom al-Dikka dove le loro famiglie potranno recuperarli per la sepoltura.
Un altro prigioniero è stato giustiziato la mattina del 1° marzo nella prigione di Damanhour, dopo essere stato riconosciuto colpevole di omicidio.
Il detenuto giustiziato è stato identificato come il 43enne Al-Safi Abdel Tawab, che nel 2017 avrebbe ucciso una famiglia di quattro persone durante un tentativo di rapina.
Infine, cinque prigionieri, incluse tre donne, sono stati impiccati il 27 febbraio, ha detto alla AFP una fonte della sicurezza, a condizione di anonimato.
(Fonti: News24, 02/03/2021; Mada Masr, 02/03/2021)


IRAQ: TRE GIUSTIZIATI PER ‘TERRORISMO’


Le autorità irachene il 3 marzo 2021 hanno impiccato tre uomini che erano stati riconosciuti colpevoli di "terrorismo" in una prigione nel sud del Paese, hanno reso noto funzionari locali.
I tre cittadini iracheni sono stati giustiziati nella prigione di Nassiriya, nella provincia di Dhi Qar, l'unico centro detentivo del Paese che esegue condanne capitali.
Una legge del 2005 prevede in Iraq la pena di morte per chiunque sia condannato per "terrorismo", il che può includere l'appartenenza a un gruppo estremista, anche se l’imputato non è ritenuto colpevole di atti specifici.
Da quando le autorità hanno dichiarato sconfitto il gruppo dello Stato Islamico alla fine del 2017, l'Iraq ha condannato a morte centinaia di suoi cittadini per appartenenza al gruppo jihadista, tuttavia solo una piccola parte delle condanne è stata eseguita, dal momento che devono essere approvate dal Presidente del Paese, attualmente Barham Saleh, noto per essere personalmente contrario alla pena capitale.
Il mese scorso, le autorità irachene hanno rivelato essere più di 340 gli ordini di esecuzione "per terrorismo o atti criminali" pronti per essere applicati.
Una fonte della presidenza ha precisato all'agenzia AFP che la maggior parte di quelle approvazioni risaliva a prima che Saleh diventasse presidente.
(Fonti: AFP, 03/02/2021)


IRAN: QUATTRO DETENUTI POLITICI GIUSTIZIATI NELLA PRIGIONE DI AHVAZ


Le autorità iraniane il 28 febbraio 2021 hanno giustiziato quattro uomini appartenenti alla minoranza araba Ahvazi.
I prigionieri, Naser Khafajian, Ali Khasraji (Khosraji), 29 anni, Hossein Silawi, 33 anni, e Jasem Heidary, 31 anni, sono stati giustiziati nella prigione Sepidar di Ahvaz, capoluogo della provincia del Khuzestan.
Agenti del Ministero dell'Intelligence di Ahvaz hanno contattato le famiglie, istruendole a raggiungere la piazza Chaharshir di Ahvaz. Gli agenti dell'intelligence hanno bendato le famiglie e le hanno trasferite alla prigione di Sepidar, dove hanno visitato i loro cari per mezz'ora.
I prigionieri politici hanno detto alle loro famiglie che sarebbero stati giustiziati, mentre le autorità sostenevano che si sarebbe trattato solo di un trasferimento verso la prigione di Sheiban.
Le famiglie, incerte, stavano aspettando fuori dal carcere quando, circa mezz’ora dopo, hanno visto passare i cadaveri dei loro cari. A quel punto le autorità carcerarie hanno confermato che l'esecuzione era avvenuta.
Nel gennaio 2021, nella prigione di Sheiban ad Ahvaz, Ali Khasraji, Hossein Silawi e Jasem Heidary si erano cuciti le labbra e avevano iniziato uno sciopero della fame per protestare contro le condizioni di detenzione, il rifiuto delle visite familiari e la minaccia continua di esecuzione.
Di Naser Khafajian per un periodo, nell’aprile 2020, i familiari avevano perso ogni traccia.
Un altro detenuto Ahvazi, Ali Motairi, era in sciopero della fame quando è stato giustiziato il 28 gennaio 2021. Anche lui era stato condannato a morte con gravi violazioni del giusto processo, comprese torture e "confessioni" forzate.
La famiglia di Ali Motairi non era stata informata dell’imminente esecuzione e non aveva potuto fargli l’ultima visita.
Khafajian, Khasraji e Silawi erano stati condannati a morte dal tribunale rivoluzionario di Ahvaz con l’accusa di aver partecipato il 14 maggio 2017 all’attacco a una stazione di polizia di Ahvaz che aveva provocato la morte di due agenti. Fonti credibili riferiscono che dopo l’arresto sono stati tutti tenuti a lungo in isolamento e torturati pesantemente. Gli sono state storte delle confessioni, mandate in onda dalla televisione nazionale e utilizzate nel corso del processo. Durante il processo hanno dovuto accettare un avvocato scelto dal tribunale, senza poterne nominare uno proprio.
Nell'aprile 2020 i familiari e i compagni di detenzione ne hanno perso le tracce. Dopo una lunga permanenza in una località segreta, Silawi e Khasraji sono stati riportati a Sheiban nel novembre 2020.
Un testimone oculare che ha visto Khasraji e Silawi in isolamento nella prigione di Sheiban all’epoca del loro arresto ha detto: “Hossein e Ali erano stati feriti gravemente al momento dell’arresto, colpiti da diversi colpi di arma da fuoco... Per due o tre mesi, i due sono stati tenuti in una piccola cella con le ferite infette e senza cure".
Jasem Heidary è stato arrestato nel dicembre 2017, dopo essere tornato in Iran dall'Austria, dove aveva lo status di rifugiato.
Jasem è stato torturato, al punto che per alcuni mesi è rimasto su una sedia a rotelle. Anche lui ha dovuto rilasciare una confessione forzata. Per aumentare la pressione su di lui, le autorità, l’11 marzo 2018, hanno arrestato anche sua madre, Marzieh Heidary.
Il Tribunale Rivoluzionario di Ahvaz lo ha condannato a morte nel novembre 2020 per "cooperazione con gruppi di opposizione", sentenza poi confermata dalla Corte Suprema.
Jasem era stato arrestato una prima volta quando aveva 17 anni e aveva scontato una pena detentiva di sette anni.
Iran Human Rights Monitor e gli altri gruppi di opposizione, compresa la Resistenza Iraniana, condannano fermamente le esecuzioni dei quattro detenuti politici Ahvazi e sollecitano ancora una volta il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, il Segretario Generale delle Nazioni Unite, l'Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Diritti Umani, nonché il Consiglio dei Diritti Umani delle Nazioni Unite e l’Unione Europea a intraprendere azioni urgenti per salvare le vite dei prigionieri nel braccio della morte, in particolare i prigionieri politici. Ribadiscono inoltre la necessità di una commissione d'inchiesta internazionale che visiti le carceri iraniane e incontri i detenuti. Le sistematiche violazioni dei diritti umani in Iran devono essere deferite al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite e i leader del regime, colpevoli di quattro decenni di crimini contro l'umanità, devono essere assicurati alla giustizia.
(Fonte: Iran HRM, 01/03/2021)

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