"Giorni maledetti" di Ivan Bunin (Voland, traduzione e cura di Marta Zucchelli) + rivoluzione bolscevica

 

 
Quanto si assomigliano tutte queste rivoluzioni! Anche ai tempi della Rivoluzione francese venne creato su due piedi un subisso di nuove istituzioni amministrative, si abbatté un vero e proprio diluvio di decreti, di circolari, il numero dei commissari – chissà per quale ragione si tratta immancabilmente di commissari – e in generale di qualsivoglia autorità divenne incalcolabile, comitati, associazioni, partiti spuntarono come funghi e tutti “si divoravano l'uno l'altro”, apparve una lingua completamente nuova e singolare, “costituita dalle più altisonanti esclamazioni mescolate ai più osceni insulti rivolti ai sordidi resti della tirannia agonizzante... “. Ogni cosa si ripete poiché ciò che in buona sostanza caratterizza le rivoluzioni è una rabbiosa smania di messinscena, di spettacolo, di artificiosità, di farsa. Si ridesta la scimmia annidata in ogni essere umano.” (pag. 69)

Ho adorato “Giorni maledetti” di Ivan Bunin (Voland, traduzione e cura di Marta Zucchelli) sin dalle prime pagine. Un quadro diaristico straordinario, violento, lucido, sarcastico, drammatico che dipinge in tutto il suo orrore i primi giorni/anni della Rivoluzione d'Ottobre, i suoi interpreti, la gente comune, le vittime, gli assassini, i cosiddetti liberatori del popolo. Appunti sparsi, considerazioni che lasciano senza fiato, frasi di una bellezza indescrivibile che sembrano microracconti, squarci poetici, citazioni e divagazioni e letterarie che nell'insieme riescono a descrivere, con uno stile impeccabile e unico, l'arrivo della dittatura comunista e il sorgere di un nuovo mondo per cui Bunin prova giustamente orrore, paura, disgusto, lontananza abissale. Sembra di essere lì insieme a Bunin, impaurito e stanco in quelle piazze, in quelle strade mentre un intero mondo (verso cui Bunin non risparmia critiche) viene spazzato via per lasciare spazio all'orrore, alla rivincita di Caino.

Nessun abbaglio, nessuna concessione al sogno bolscevico, nessun fascino per l'Armata Rossa, per Lenin, i Soviet, i commissari del popolo. Nessuna speranza tradita, se non quella di un'Europa troppo pavida nel combattere i bolscevichi e a impedire che si instaurasse una dittatura. Bunin, per evitare tragiche conseguenze (ormai il cerchio si stava stringendo attorno a lui) abbandonerà appena possibile la Russia per rifugiarsi in Francia.

Un libro su cui meditare e decisivo in questi mesi nel mio percorso di scrittura.

Ne ha scritto benissimo e ovviamente molto meglio di me su il Giornale Stenio Solinas.

Ah, sogni di morte! Che spazio misurato occupa la morte nella nostra esistenza, già di per sé trascurabile! Ma a proposito di questi anni non c'è nulla da aggiungere: giorno e notte viviamo in un'orgia di morte. Tutto in nome di un “radioso futuro” che dovrebbe nascere proprio da queste tenebre diaboliche. E si è già costituita un'intera legione di specialisti, di appaltatori votati all'organizzazione dell'umana felicità.” (pag. 69)

Non ho mai subito il fascino della rivoluzione d'Ottobre, di Lenin, del comunismo, dei bolscevichi anzi mi hanno sempre messo addosso i brividi e con tutti i se e ma ho provato a immaginare, valutando la mia famiglia d'origine e la mia condizione attuale, chi sarei stato in quegli anni e cosa sarebbe stato di me durante la Rivoluzione. Se penso alle mie origine familiari, al mio individualismo che qualcuno considera snob ed elitario e ai miei interessi sarei stato forse un piccolo borghese, magari un perditempo, un mediocre scrittore, uno scribacchino, un piantagrane in cerca di donne e poesie e magari di onore oppure uno di quei contadini/operai senza un soldo e magari prossimo a emigrare negli Stati Uniti. Durante la Rivoluzione sarei stato quasi sicuramente una vittima, sia che fossi stato ricco che povero. Mi sarei opposto all'orrore comunista e me l'avrebbero fatta pagare. Sarei stato un ottimo candidato alle fosse comuni o ai gulag o all'esilio e di certo anche durante il periodo zarista non avrei vissuto in condizioni migliori ma di sicuro non avrei mai appoggiato la rivoluzione comunista. Ovviamente tutto coi se e coi ma del caso. In casa mia quando caddero il Muro e l'Unione Sovietica so solo che brindammo di gioia.

11 marzo.

La moglie dell'architetto Malinkovskij, una donna ottusa e dall'ampia fronte che nel corso della sua vita non ha mai avuto nulla a che fare con il teatro, ora è commissario per i teatri: solo perché lei e il marito sono amici di Gor'kij dai tempi di Niznij. Questa mattina sono stato alla Knigoizdatel'stvo pisatelej e Gontarev ha raccontato che Skljar ha atteso per più di un'ora all'ingresso e, quando finalmente l'automobile con la la Malinovskaja è arrivata, si è precipitato con una piaggeria davvero umiliante per aiutarla a smontare.

Gruzinskij ha detto: 
- Ormai mi sforzo di uscire solo per necessità. E certo non per il timore di essere aggredito, ma perché ho paura delle facce che di questi tempi si vedono in giro.
Lo capisco perfettamente, anche io provo lo stesso sentimento, solo, credo, in modo ancora più acuto.
Il vento disperde le rare nubi primaverili nel cielo azzurro pallido; vivaci rigagnoli d'acqua scorrono rapidi e sfavillanti lungo i marciapiedi.” (pag. 59)
 
 

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