"Per essere Chiari" di Antiniska Pozzi (Milieu Edizioni) + Klimt 1918

 


 

Ora li guarda tutti, quei trenta, e ripensa all'ingresso tra gli aspiranti pugili in apnea, tra quei vivi a cui manca la vita. Guarda loro e poi le linee disegnate dal cemento. Quattro, come le corde del ring. Quattro, che separano il dentro dal fuori, il combattimento dall'acquiescenza, la colpa dall'innocenza. Si sente su quella linea, il suo cuore è spaccato a metà, i suoi muscoli fremono sul confine, il pensiero si sforza di capire se esiste davvero, quel confine. La sua vicenda gli dice che quasi tutti i confini possono e devono essere oltrepassati.” (pag. 13)

Mentre scrivo queste due righe del cazzo sull'emozionante e necessario “Per essere Chiari” diAntiniska Pozzi (Milieu) che mescola, fra romanzo e realtà, uno dei miei grandi amori che è il pugilato e uno dei miei interessi/battaglie personali che è il carcere ( quante volte ho rischiato di finirci dentro e una volta davvero c'è mancato un pelo e in quel carcere ci sono poi andato in visita un Ferragosto con due compagni Radicali) mi sono accorto che sono bastati quattro giorni (alternati fra pulizie – e sì, pulisco il cinema da solo, tutte le sale, i bagni e gli spazi in comune – e popcorn) di vero lavoro per farmi tornare i dolori alle mani/dita, alle ginocchia e riempirmi di una sensazione di totale estraneità verso il mondo/vicini/parenti/colleghi, per sentire la mancanza di prospettive e un vuoto colossale e maligno che mi porto dentro alla testa e che cerco di nascondere in tutti i modi, la stupidità dei gesti che compio ogni volta che timbro/stimbro/vadoallavoro/torno dal lavoro, i messaggi del cazzo su whatsapp che devo conservare altrimenti...

Perché ho sfiorato il carcere e poi ho deviato traiettoria? E perché ci ritorno adesso? Senza che nessuno me lo chieda, senza che nessuno mi paghi, solo perché lo voglio? Oggi rispondo che sono stato fortunato. Fortunato nell'incontrare persone che mi hanno mostrato porte dove io vedevo muri. Domani dirò che in me preesistevano le condizioni di sensibilità per poter essere recettivo ai percorsi positivi che mi venivano indicati. Tra un mese dirò che è una cosa semplice, che ciascuno ha un talento e i criminali non fanno che assecondare il loro talento da criminali, che per molti il carcere non è che un elemento del percorso di vita, e che la gran parte di loro non può essere riabilitata, perché non è possibile ri-abilitare chi abile nell'onestà non è mai stato. Complicare o semplificare, affidarsi all'uomo, al destino o al divino. Qualunque sia la scelta, non basta stare fuori da un conflitto. Bisogna trovare soluzioni prima di arrivare allo scontro. Credo che tornare in carcere come volontario sia una delle mie soluzioni."

Però poi ci sono i libri e anche se, salvo quello di Ivan Bunin, non sto leggendo dei veri e propri capolavori memorabili (mi manca un grande romanzo o una raccolta di racconti memorabile come quelli che ho nel cuore da anni e anni) in questi giorni i libri riescono comunque a farmi sentire bene, a offrirmi stimoli, a farmi piangere perchè questo libro che racconta la storia di Mirko Chiari che dopo aver conosciuto in maniera fulminea il carcere di San Vittore decide di dedicarsi alla boxe e in generale agli sport di contatto trovandoci la propria identità, costruendosi una rinnovata identità fatta di sacrifici/incontri/vittorie/sconfitte/dedizione/maestri/sangue/poesie fino a decidere di portare la sua esperienza, il suo corpo, le sue parole, i suoi guantoni dentro al carcere per restituire ai carcerati ciò che è diventato, chi è stato, la speranza, una pratica, un modo di affrontare la vita fa anche piangere. 

L'autrice è molto brava ad alternare la storia di Chiari a quella dei detenuti che incontra: il transessuale, il rapinatore, l'ergastolano e in generale tutto il mondo del carcere nei suoi odori, volti, privazioni, giorni, cibo, condanne, celle, ripetitività, destini, sofferenze, disillusioni, voglia di evasione, pestaggi, trasferimenti, punizioni, menzogne. 

Se ne esce inebriati, commossi, partecipi da questa lettura che ha delle pagine semplicemente scritte da Dio come quando racconta la vita di Ivan Puppo, rapinatore seriale, morto a Genova nel 2020 dopo anni di carcere:

Quel mio amico, Rodolfo, poi in carcere ci è morto. Era più anziano di me, era alto e aveva occhi trasparenti come il ghiaccio, blu e opachi. Era dentro per rapina, sei anni da scontare, poi è uscito e rientrato per un traffico di droga. Aveva quarantotto anni quando se n'è andato, pochi denti, ancora quegli occhi, e rassegnazione a pacchi. Mi ricordo l'ironia, e il sarcasmo: ce li hanno quasi tutti i detenuti di lungo corso. Leggeva molto, studiava. Del futuro non parlavamo mai. Se sei un criminale, il tuo futuro è dentro una scatola e lo sai. Non puoi progettare nulla, contempli solo due cose: la morte, e la galera. E lì, nella galera, si discute di cose che la gente farebbe fatica a credere. Il delinquente è un esemplare particolare di uomo: nella maggior parte dei casi non sa integrarsi, non ha la capacità di relazionarsi con gli altri, e infine nega le proprie fragilità. In pratica un eterno adolescente. E infatti fa in modo di trovarsi rinchiuso nella sua cameretta, e resta lì col suo delirio di onnipotenza e i suoi ricorrenti spasmi di inadeguatezza. Dopo un po' non sogna che di essere dentro, dentro il carcere, e questa è la ragioen per cui dimentica le cose. Resta molti anni in posti anonimi, tutti uguali, dove vede ogni giorno migliaia di persone con cui non intrattiene veri rapporti, e da loro si lascia vedere. Dopo molti anni di carcere, nella testa c'è solo il carcere. Si tende a non pensare ad altro. L'istituzione si limita a rinchiudere il detenuto in celle sovraffollate e pretende che per averlo chiuso dentro egli acquisisca consapevolezza, ma questa è una falsa ingenuità. Quando uno delinque in modo abituale lo fa perché si sente autorizzato a farlo. Si sente autorizzato dall'idea che quella è la sua identità. Ci vuole molto tempo per disinnescare questo modo di pensare. Tempo e altro. Non so esattamente cosa ci vuole.” (pag. 106)

Provate a leggerlo e soprattutto consultate il catalogo della Milieu Edizioni perchè ci sono delle vere e proprie perle.

Anche perché (ma era scontato) dopo i titoloni sui giornali è già sceso il silenzio sulle carceri e avete per caso visto/sentito qualche servizio sul Ferragosto in carcere e le visite in carcere che hanno fatto e stanno facendo esponenti della politica, Radicali, avvocati e tanti altri?

Perché alla fine non gliene frega un cazzo quasi a nessuno di questo tema.

In tanti hanno anche paura ad occuparsene e platealmente/segretamente sono pure contenti quando i nemici/cattivi finiscono in carcere, augurando loro ergastoli/finepenamai/decenni/ceppi/Cayenne.

Il sottoscritto invece non smetterà mai di occuparsene.

È anche una promessa che ho fatto direttamente alla madre di un detenuto che probabilmente non uscirà mai dal carcere, se non da morto.

 



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