Il piacere e il dolore di rileggere Thom Jones ("Il treno notturno", Minimum Fax, traduzione di Martina Testa)

 


 

Alla fine l'ho letta la raccolta "Il treno notturno" (Minimum Fax, traduzione di Martina Testa) che raccoglie i migliori racconti di Thom Jones tratti dai bellissimi "Il pugile a riposo", "Ondata di freddo" e "Sonny Liston era mio amico" (spero che vengano il prima possibile ripubblicate) e altri racconti inediti, per un totale di ventisei. L'ho lettaritrovando la bellezza dello stile dello scrittore statunitense scomparso nel 2016. Ho provato piacere e dolore nel (ri)leggere di questi sconfitti, tossici, alcolizzati, babbuini, paralitici, depressi, malati, truffatori, anziani, pugili, reduci, militari, dottori, vittime, carnefici, fratelli, sorelle. Nel leggere anche di me stesso. Mi sono sentito da Dio e anche da cani. Ho sentito esplodere dentro al mio cuore tutti i miei demoni, la mia vita affaticata, i miei fallimenti, gli anni che mi restano e non ho idea di come fare a cambiare le cose, le mie mani gonfie/sudate/indolenzite, le mie paure che mi trascino dall'asilo, un futuro che non esiste, i miei tentativi abortiti di scrittura, le idee che ho in testa e che mi sfuggono ogni volta, le camminate mattutine, gli alcolici che mi rovinano il fegato, gli incubi ricorrenti, le notti senza sonno, il lavoro del cazzo che faccio, i miei colleghi, le giornate che si trascinano, le persone che ho ferito in maniera terribile, la mia compagna che mi versa una birra e mi parla di depressione bipolare.

Da anni ho in testa il racconto "Ondata di freddo" che tutte le volte che lo rileggo è come se mi sentissi abbracciato da Susan, da Richard, da Thom.

Peccato che Thom Jones non sia molto conosciuto in Italia.

Mi auguro che questa raccolta possa conquistare qualche nuovo lettore e lettrice in cerca di racconti scritti da Dio e di una sincerità che lascia senza fiato.

Alcuni estratti:

"Il babbuino del dottor Koestler, George Babbit, aveva l'abitudine di sedersi ai piedi del tavolo dove il medico consumava la cena, a mangiare una pappa da lui preparata che consisteva in una miscla di banane mature e whisky Canadian Mist. Koestler stava attento a dargliene solo piccole dosi, ma un pomeriggio di caldo bruciante, con i generatori in panne e l'aria condizionata che non funzionava. Koestler e Babbitt si sedettero sotto il gazebo vicino all'albero di baobab che fungeva da piazza principale della missione Global Aid e si sbronzarono. Era il punto più fresco che si potesse trovare, a meno che non si volesse addentrare nella foresta. L'uomo e il babbuino aspettavano una cena che sarebbe arrivata più tardi del solito, dato che  anche i forni erano fuori uso.  Cornelius Johnson, il cuoco della missione, stava cuocendo dei polli al barbecue nel giardinetto laterale: non i tipici polli africani pelle e ossa, ma quelli pasciuati e succulenti che Johnson ingrassava con i sacchi di granturco destinati, nelle intenzioni dei generosi donatori della Global Aid, alle popolazioni denutrite della regione." (da "Nel profondo della giungla", pag. 160)

"Perdeva i sensi e poi ritornava in sé. La morfina cominciava a essere troppa. Oh Dio ti prego. Sperava di non vomitare... Così tante cose lasciate non dette, non fatte. Be', faceva tutto parte del gioco. Se solo avesse potuto vedere Barnes fare la sua marcia impettita un'ultima volta. "Dai, Barnes, fammi vedere come marci su e giù." Suo fratello, Fred, seduto lì tutto triste con un hamburger in mano. Dopo un paio di birre Fred sapeva fare una discreta imitazione del signor Barnes. Non è che poteva... che gli andava... in nome dei vecchi tempi? Aveva la voce troppo debole, non riusciva a parlare. Neanche un po'. Non poteva neanche andarci vicina. Era già morta? Dissolvenza in nero? Era difficile dirlo. "Non starci male, caro fratello mio. Non piangere per me. Sto bene"... e... un'ultima cosa... "Sarah, ti voglio bene, tesoro! Ti voglio bene! Non lo sapevi? Non si vedeva? Se non si vedeva, mi dispiace tanto, mi dispiace tanto..." Ma le parole non volevano venir fuori, non riuscivano a venir fuori. Si... sentiva così male. Si poteva star male solo fino a un certo punto, e poi c'era tutta quella droga. L'amore! Avrebbe dovuto mostrargliene, a sua figlia, invece di... darlo per scontato. Avrebbe dovuto essere più espansiva, più affettuosa... Era solo quello l'importante. Ama il prossimo tu come te stesso e ama il Signore Dio onnipotente con tutto il cuore, tutta la mente e tutta l'anima. Si era mandati sulla terra per amare il proprio prossimo. Fare del proprio meglio. Rispettare gli animali, obbedire ai Dieci Comandamenti, roba del genere. Non era così? Eh? O era tutta una massa di stronzate? Perdeva i sensi e poi ritornava in sé. Avanti e indietro. Dentro e fuori. Non ci fu nessun tunnel, nessuna luce bianca, niente del genere. Morì, semplicemente. " (da "Voglio vivere", pp. 69-70)

"Credo che gli esseri umani siano spregevoli. Sono stufo di salvare le loro miserabili vite. Vorrei prendere una barca e i miei due pastori tedeschi e partire per un'isola tropicale. Se succede qualcosa, sono in grado di salvarmi la vita, di estrarmi i denti, di farmi piccoli interventi chirurgici. Prima di partire mi farei togliere l'appendice. So quali medicine dovrei portarmi e posso procurarmele. Sono stufo di tossici, prostitute, bambini alcolizzati, assassimi, ma mi deprimono molto meno loro di quanto farebbe, per dire, una clientela di Beverly Hills. I miei cani, comunque, li amo davvero. " (da "Zanzare", pag. 102)

"Mississippi stava sudando così tanto che si era tolto la camicia e il grembiule. Aveva i capelli rossi e un mare di lentiggini. Non un filo di pancia. Era muscoloso e slanciato, a forza di sbattersi su e giù per le colline. Portava il tipico tatuaggio dei marine sul deltoide sinistro, e sopra di quello gli campeggiava sul braccio il nome "Nudey". Presi nota, afferrari una paglietta nuova e mi misi al lavoro. Nel momento esatto in cui finimmo l'ultima delle taniche da venti litri, gli assistenti del cuoco si avventarono su di noi con ghigni sadici ed enormi pentole e marmitte reduci dal rancio mattutino. Certi di quei pentoloni, se non fossero stati raschiati e lavati con tanta cura giorno dopo giorno e anno dopo anno, se fossero stati neri di fuliggine, avrebbero potuto ricordare i pentoloni nei quali un tempo, nella giungla nera dell'Africa o dell'Amazzonia, i cannibali riuscivano a cuocere due o tre missionari, un cane e un miscuglio di tuberi contemporaneamente. Cercai di imitare il sottotenente Baker e di entrare nel Tao della baracca dei lavapiatti. Cercai di diventare parte della sua essenza, di perdere la mia identità, diventare una molecola o un atomo, distaccarmi e seguire placidamente il corso degli eventi, ma il secondo giorno, in tutte le sue ventidue ore, fu un massacro pure e semplice. Settantanovemila e duecento secondi di massacro." (da "La baracca dei lavapiatti", pag. 203)

"I topi, a mano a mano chmorivano, li seppellivo nei tubetti di cartone della carta igienica. Hanno una vita media di tre anni. Non li rimpiazzavo con nuovi esemplari. Cenere alla cenere, polvere alla polvere. Quello che avevo fatto era stato abbastanza sconsiderato. Avevo nelle mani il potere assoluto, come si dice. Non sono fiero del mio comportamento. Stavo vivendo senza controllo e senza equilibrio. i miei giochetti stronzi mi fanno pensare a quello che ci faranno gli invasori venuti dallo spazio e conquisteranno il mondo. Ci faranno schiavi, ci mangeranno, ci scuoieranno vivi e ci tortureranno, ci faranno ogni tipo di mostruosità immaginabile. In tutti gli esseri intelligenti c'è un lato oscuro, un desiderio irrazionale di guerra, di corruzione di sé, di avventata distruzione, anche se sappiamo di sbagliare. Perciò se da qualche parte esistono gli alieni, e se davvero arriveranno quaggiù, non mi aspetto niente di buono. Gli alieni non se ne vanno volando in giro per lo spazio a sbrigare commissioni di misericordia e benevolenza. Per loro non siamo altro che proteine. Siamo calorie. Quando gli invasori venuti dallo spazio prenderanno il sopravvento, sarà la fine dell'era umana. Prima che ciò accada, voglio fare un po' di cose divertenti: andare in Irlanda, imparare a ballare, prendere lezioni di tuba, che ne so. La felicità è come l'oro delle miniere dello Yukon, si trova solo ogni tanto, per così dire, a seconda dei capricci della sorte. Si presenta raramente in grossi tocchi e pepite massicce, il più delle volte arriva in granellini minuscoli. Ora sono uno che non si fa grossi problemi, ed è felice di prendere quel poco che gli viene sotto mano. Un granellino qui, un granellino lì. Che volete di più dalla vita?" (da "Topi", pag 347)


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