Aimee Bender + L'eutanasia della democrazia

 


Il primo freddo mi uccide sempre. Il secondo anche. In generale detesto freddo, neve, ghiaccio, inverno. Dell'autunno salvo i colori e le giornate come queste con il caldo che sboccia verso mezzogiorno. Forse sarà perché sono abbastanza giù di corda, pieno di brutti pensieri, stanco per il lavoro, svuotato, indifferente a gran parte delle discussioni in cui vengo coinvolto ma questo inizio d'autunno mi sta proprio buttando a terra. Mi consolo leggendo ma soprattutto rileggendo. E in questi giorni ho ripreso in mano due libri di Aimee Bender che sono fondamentali per me. E la copertina col braccio me la tatuerei volentieri sulla schiena. Aimee me la porto nel cuore. E ogni volta che penso a lei penso al visto bellissimo di Lisa Massei. Mi hanno aperto mondi infiniti. Li ho già letti e riletti parecchie volte e le sottolineature e gli appunti a matita più stanno quasi scomparendo ma ogni volta riesco a trovare una frase, un paragrafo, un racconto su cui soffermarmi come se fosse la prima volta. Di sicuro quando arrivo al finale del racconto "Quel che lasciasti in trincea" mi viene sempre da piangere. Sono cambiato in questi anni, nel bene e nel male, ma non ho mai perso la voglia di rileggere. In questo sono identico a mia sorella. Tutti e due leggiamo e rileggiamo da sempre.

Ecco il finale:

"Dimenticò il resto della spesa e lasciò le borse nel bagagliaio. Piú tardi, quando uscí per andare a prenderle, si accorse che soltanto il latte era andato a male, e disperdeva nell'aria quel tipico odore di rancido, acido e penetrante. 
Invece raccolse i fiori ed entrò per vedere Steven. Stava seduto sulla sua sedia, a sonnecchiare. Gli si mise accanto e lo guardò contrarsi spasmodicamente, le mani che tremavano senza posa come se fosse stato drogato. Lui era nella sua casa: suo marito, l'amore della sua vita. Era tornato. Ce l'aveva fatta. Era andato via; ed era ritornato. Dentro di lei si era risvegliata la voglia di conoscerlo, di penetrare nel suo incubo ed essere là con lui, di combattere i demoni con le sue stesse armi. Avrebbe voluto unirsi a lui, ma la sedia era troppo piccola, e la mente era soltanto sua; tutto ciò che riusciva a scorgere nella trincea erano i maglioni e un cielo troppo chiaro.
Allungò il braccio per scuoterlo e svegliarlo, ma la mano si arrestò a mezz'aria e non andò oltre. Non c'era nessuna mano che cercasse di raggiungere lei. In preda al suo sonno agitato, Steven si lasciò sfuggire un gradio strozzato. Mary si accovacciò sul tappeto.
Steven, sussurrò, mi manchi cosí tanto, ma va tutto bene quando sono a casa.
Steven, disse, i vicini hanno preso un cano e io mi sto facendo crescere i capelli.
Chinò il capo. Dopo aver tolto l'involucro di plastica, baciò con delicatezze le gardenie e gliele appoggiò in grembo.
Ecco, per te amore mio, ti ho portato dei fiori.
Tenne la testa china. Steven si contrasse e sbatté gli occhi, risvegliato dal profumo della gardenia.
Mary, - disse, - fiori-che-belli.
Lei si mise le mani sulle orecchie, e cominciò a piangere." (pag. 31)

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Libro di cui scriverò prossimamente, anche perché l'ho promesso direttamente all'autore. Qui ne parla Davide Giacalone.

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Grande attesa per il nuovo disco di Emma Ruth Rundle.

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