NESSUNO TOCCHI CAINO - BIELORUSSIA, IL BOIA D’EUROPA CHE NON SI FERMA DAVANTI A NIENTE

 Nessuno tocchi Caino News

Anno 21 - n. 39 - 23-10-2021

Contenuti del numero:

1.  LA STORIA DELLA SETTIMANA : BIELORUSSIA, IL BOIA D’EUROPA CHE NON SI FERMA DAVANTI A NIENTE
2.  NEWS FLASH: UNA TELEFONATA ALLUNGA LA VITA, NO A PASSI INDIETRO SUI COLLOQUI
3.  NEWS FLASH: SIRIA: GIUSTIZIATI 24 ‘TERRORISTI’ PER INCENDI DOLOSI
4.  NEWS FLASH: GIORDANIA: CONFERMATA CONDANNA CAPITALE PER OMICIDIO D’”ONORE”
5.  NEWS FLASH: COREA DEL SUD: ASSOLTO DALL’ACCUSA DI ESSERE UNA SPIA, MA E’ MORTO SETTE ANNI FA
6.  I SUGGERIMENTI DELLA SETTIMANA : CONGRESSO DI NTC NEL CARCERE DI OPERA IL 17 E 18 DICEMBRE


BIELORUSSIA, IL BOIA D’EUROPA CHE NON SI FERMA DAVANTI A NIENTE
Sergio D’Elia su Il Riformista del 22 ottobre 2021

L’Europa sarebbe un continente totalmente libero dalla pena di morte se non fosse per la Bielorussia, Paese che anche dopo la fine dell’Unione Sovietica non ha mai smesso di condannare a morte e giustiziare suoi cittadini.
Dal dicembre del 1991, quando l’URSS è stata ufficialmente sciolta e la bandiera rossa con la falce e il martello ammainata dal palazzo del Cremlino, la madre patria Russia ha ammainato anche il vessillo della pena di morte instaurando una moratoria delle esecuzioni. In Bielorussia, alla immediata periferia dell’ex impero, hanno continuato invece a fucilare le persone a ritmi sovietici. Più di 400 detenuti nel braccio della morte sono stati giustiziati, pochissimi sono stati graziati.
Sotto il dominio pieno e incontrastato di Alexander Lukashenko, il segreto di stato, altro retaggio della tradizione sovietica, ha coperto con una spessa coltre di silenzio la sorte dei condannati a morte e l’intero sistema penale capitale. Le notizie sulle esecuzioni filtrano dalle prigioni molto tempo dopo il fatto e solo tramite parenti dei condannati o tramite organizzazioni internazionali.
Le autorità hanno sempre fornito scarse segnalazioni sulle esecuzioni, ma recentemente la procedura è diventata ancora più segreta. Spesso nemmeno alle famiglie dei condannati è permesso sapere se e quali condannati a morte sono stati giustiziati e quali sono ancora in vita. I parenti non vengono avvisati dell’imminente esecuzione e non possono incontrare per l’ultima volta i loro congiunti. Alcune volte scoprono che il loro caro è stato giustiziato quando si recano alla prigione per la visita, altre volte quando ricevono un pacco contenente le scarpe e l’uniforme carceraria. Il corpo non viene restituito alla famiglia, non è reso noto il luogo della sepoltura.
Il segreto avvolge anche la “vita” nella prigione che ospita l’unico braccio della morte del Paese, la prigione n. 1, conosciuta anche come il castello di Pishchalovsky, situato nel cuore di Minsk, la capitale del Paese, dove almeno cinque persone sono in attesa della morte.
Il giorno stabilito, attraverso un passaggio sotterraneo, il condannato viene condotto alla stanza del boia che, letto l’atto di rigetto del perdono, lo benda e lo mette in ginocchio. Giustizia è fatta sparando un solo colpo di pistola, alla nuca. Nella stanza, oltre al boia, sono presenti un pubblico ministero e un medico. Le sentenze di morte vengono solitamente eseguite di notte in modo che altri prigionieri non possano identificare i carnefici o inscenare una protesta.
Questa è la sorte che non è dato sapere, ma molto probabilmente è capitata quest’anno a due condannati a morte: Viktar Skrundzik e Viktar Paulau.
Non è ancora chiaro se Viktar Skrundzik sia stato giustiziato ad agosto o a settembre, come farebbe pensare un ambiguo servizio televisivo andato in onda il 5 settembre scorso su STV, un canale televisivo controllato dal governo. L’autore del servizio ha raccontato la storia di una serie di omicidi di pensionati avvenuti vicino a Sluck nel 2019, per cui Viktar Skrundzik è stato infine condannato a morte nel marzo 2020, quando aveva 29 anni. Il narratore ha fatto capire che il condannato avrebbe potuto essere stato giustiziato. “Oggi ha 30 anni. Avrebbe potuto averli. La prima condanna a morte [eseguita] nel 2021”, ha detto il giornalista. Tuttavia, a oggi, la sorella di Skrundzik, Nadzeya, non ha ancora ricevuto alcuna conferma ufficiale dell’esecuzione. L’ultima lettera di suo fratello l’ha ricevuta il 19 agosto.
Nel mese di giugno, si erano perse le tracce di un altro condannato a morte, Viktar Paulau. “Molto probabilmente è stato giustiziato”, aveva detto Raisa, la sorella del prigioniero. Non aveva ricevuto alcuna lettera da Viktar per sei settimane e non le era stato permesso di entrare nella prigione per vedere suo fratello. Inoltre, il personale della prigione di Minsk aveva detto all’avvocato di Paulau che il suo assistito non si trovava più nella struttura. Tutti questi elementi hanno fatto pensare che sia stato giustiziato, anche se l’esecuzione non è stata mai confermata ufficialmente.
Dirk Schuebel, capo della delegazione dell’Unione Europea in Bielorussia, ha ricordato i due “desaparecidos” in occasione della Giornata mondiale contro la pena di morte, il 10 ottobre scorso. “Lo spazio per arbitri ed errori giudiziari è vasto”, ha detto Schuebel, sottolineando la mancanza assoluta di giustizia e stato di diritto nel Paese. Ragione sufficiente per l’introduzione di una moratoria, in vista dell’abolizione definitiva della pena di morte, eredità dell’impero del male, un altro ferrovecchio della storia dell’umanità.
Per saperne di piu' : https://www.ilriformista.it/bielorussia-il-boia-deuropa-che-non-si-ferma-davanti-a-niente-256212/

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NESSUNO TOCCHI CAINO - NEWS FLASH

UNA TELEFONATA ALLUNGA LA VITA, NO A PASSI INDIETRO SUI COLLOQUI
Lettera-appello dei detenuti di Catanzaro alla Ministra della Giustizia Marta Cartabia

Esimia Ministra,
è notorio che le persone detenute o internate nei vari circuiti di Alta Sicurezza – AS1, AS2, AS3 – scontano una doppia pena: quella detentiva della sentenza di condanna o della custodia cautelare e quella dello stigma legato alla tipologia di reati per cui sono condannati, indagati o imputati. In forza di questo iniquo e insopportabile (in uno Stato di Diritto) doppio binario del diritto penale del nemico, esse hanno diritto a un numero assai esiguo di colloqui visivi e telefonici coi propri cari, in particolare: 2 telefonate al mese da 10 minuti ciascuna e 4 ore di colloqui visivi se si è stati tratti in arresto dopo l’anno 2000 e una telefonata settimanale – sempre di 10 minuti – e 6 ore di colloqui mensili per chi fu arrestato prima di quella data.
Altrettanto noto è il fatto che, nella quasi totalità dei casi, le persone detenute classificate come Alta Sicurezza sono assegnate a istituti lontanissimi dai luoghi di residenza, a volte anche 1.000 km o più, per raggiungere i quali v’è la ineludibile necessità per i loro familiari di sacrificare diversi giorni di impegni lavorativi e di sobbarcarsi spese ingentissime che solo una piccolissima minoranza è capace di sostenere e per poche volte l’anno. Dunque, anche l’esercizio effettivo delle ore di colloquio visivo – che siano 4 o 6 ore poco importa – è reso pressoché impossibile da attuare e in alcuni casi è vanificato del tutto, ad esempio per chi ha genitori, parenti anziani o gravemente malati. Quanto fin qui descritto conferma il parere dell’Istituito Superiore di Studi Penitenziari, secondi cui «sono del tutto inadeguate, rispetto alla volontà del legislatore, le dimensioni dello spazio e del tempo riservati [...] all’affettività intesa nel senso piu' globale possibile delle relazioni familiari».
Come giustamente Lei stessa s’è domandata, facendo Sue le parole del Cardinal Martini, «è umano ciò che [i detenuti] stanno vivendo? È efficace per un’adeguata tutela della giustizia? Serve davvero alla riabilitazione e al recupero dei detenuti? Cosa ci guadagna e cosa ci perde la società da un sistema del genere?». Tutto ciò, evidentemente, «non è giustizia» – per citare sempre il Cardinale. Ancora una volta, appoggiandosi all’alta dottrina e profondissima sensibilità da Lei manifestata, il paradosso diventa “normalità”, il mondo-carcere si tramuta – come Lei ha detto, riprendendo le espressioni di Jean Vanier – in una realtà «dove per fermare la violenza, si deve compiere un atto di forza; dove, per tutelare i diritti, si debbono limitare i diritti; dove, per assicurare la libertà, si deve restringere la libertà; dove, per proteggere i deboli, si devono rendere deboli e indifesi gli aggressori e i violenti».
Ora, essendo che già da tempo si paventa l’eventualità di ridurre o, peggio ancora, azzerare la possibilità di accedere a tali mezzi di comunicazione coi propri cari da parte delle persone detenute – il che di fatto si sta realizzando in alcuni istituti –, ad onta di quanto raccomandato nella circolare del 22 giugno scorso a firma del Direttore Gianfranco De Gesu, i sottoscritti chiedono a Lei, Signora Ministra, non solo di poter continuare a usufruire di video-colloqui e di più colloqui telefonici così come è di norma in numerosi Paesi europei, ma anche di voler considerare la possibilità di normare sotto il profilo ordinamentale l’accesso a tali mezzi-ponte tra chi vive in carcere e chi vive fuori al fine di mantenere vivi i rapporti familiari, perché – come diceva quel famoso spot pubblicitario degli anni ’90 – «una telefonata allunga la vita».
Se v’è una certezza, di cui si doveva già prendere atto senza aspettare questo tempo tanto infausto che ancora miete vittime ogni giorno, è che il dare più contatti umani e veri anche alle persone detenute in Alta Sicurezza non ha arrecato alcun danno alla sicurezza della Società. Anzi, ha, per la prima volta, appena lambito la costituzionalità della pena, così prevista e come dovrebbe essere in base alla Carta Fondamentale. Infine, sono in tanti quelli – genitori, figli, fratelli, coniugi… – che grazie a tali mezzi sono finalmente riusciti a riallacciare e ritessere relazioni sane e fondanti per ogni essere umano che, per le motivazioni familiari più disparate, s’erano interrotte o diradate o stavano per perdersi irreparabilmente.
Certi di trovare in Lei la giusta comprensione e sensibilità al tema, La ringraziamo anticipatamente e porgiamo ossequiosi saluti. In fede,

Lettera firmata da Catello Romano e altri 200 detenuti del carcere di Catanzaro
Per saperne di piu' : https://www.ilriformista.it/una-telefonata-allunga-la-vita-no-a-passi-indietro-sui-colloqui-256190/

SIRIA: GIUSTIZIATI 24 ‘TERRORISTI’ PER INCENDI DOLOSI
Le autorità siriane hanno giustiziato 24 persone dopo averle riconosciute colpevoli di terrorismo per aver appiccato degli incendi devastanti lo scorso anno, causando la morte di tre persone e bruciando migliaia di ettari di foreste, ha comunicato il Ministero della Giustizia il 21 ottobre 2021.
Esecuzioni pubblicizzate di un folto gruppo di persone sono rare in Siria, paese in cui un conflitto decennale ha causato centinaia di migliaia di morti e sfollato metà della popolazione, inclusi 5 milioni di rifugiati fuori dal paese.
Nell'ottobre 2020 scoppiarono incendi in diversi paesi del Medio Oriente, nel corso di un'ondata di caldo insolita per quel periodo dell'anno, lasciando la Siria particolarmente colpita. Tre persone morirono a causa degli incendi, che bruciarono anche vaste aree di foreste, per lo più nelle regioni di Latakia e nella provincia centrale di Homs, controllate dal governo.
La città natale del presidente Bashar Assad, Qardaha, nella provincia di Latakia, fu duramente colpita dagli incendi, che danneggiarono gravemente un edificio utilizzato come deposito per l'azienda statale del tabacco, parte del quale è crollato.
Assad ha fatto una rara visita nella regione poco dopo che l'incendio è stato domato.
Il Ministero della Giustizia il 21 ottobre ha dichiarato che le 24 persone giustiziate il giorno prima erano "criminali che hanno compiuto attacchi terroristici provocando morti e danni alle infrastrutture statali e alle proprietà pubbliche e private attraverso l'uso di materiale infiammabile". Il comunicato ha aggiunto che altre 11 persone sono state condannate all'ergastolo nello stesso caso.
Altri nove, tra cui cinque minorenni, hanno ricevuto pene detentive.
Le pene detentive per i minori variano dai 10 ai 12 anni, ha precisato il Ministero della Giustizia.
Non vengono forniti ulteriori dettagli sulle circostanze delle esecuzioni o su come siano state praticate.
Per i civili, la pena di morte in Siria viene solitamente eseguita mediante impiccagione.
Le leggi siriane prevedono la pena di morte per reati quali terrorismo, spionaggio, tradimento, incendio doloso e diserzione dall'esercito.
"Le esecuzioni di ieri di 24 persone dimostrano il disprezzo del governo siriano per il diritto internazionale, in particolare per il diritto alla vita", ha affermato Diana Semaan, ricercatrice sulla Siria per Amnesty International.
Semaan ha aggiunto che le condanne a morte sono spesso emesse al termine di processi segreti o procedimenti giudiziari che mancano di garanzie di base come il diritto a un avvocato, con confessioni estorte generalmente sotto tortura o altri maltrattamenti e costrizioni.
Nel 2017, un rapporto di Amnesty International ha reso noto che 13.000 persone sono state giustiziate con impiccagioni di massa segrete nella prigione di Saydnaya in Siria, tra settembre 2011 e dicembre 2015, al culmine della guerra civile.
Le esecuzioni – sostiene Amnesty - sono state autorizzate ai più alti livelli del governo siriano.
Il rapporto afferma che tra le 20 e le 50 persone siano state impiccate ogni settimana, anche due volte a settimana, nella prigione di Saydnaya, in quella che l'organizzazione ha definito una "calcolata campagna di esecuzioni extragiudiziarie". Esperti sui diritti umani delle Nazioni Unite hanno anche riferito di uccisioni di massa di prigionieri che il governo deteneva in centri ufficiali e informali, spesso effettuate di nascosto.
Le persone giustiziate il 20 ottobre erano tra le decine di persone imprigionate alla fine del 2020 che avrebbero confessato di aver pianificato l'accensione di incendi a partire dall'agosto dello scorso anno, secondo la dichiarazione del Ministero della Giustizia. Avrebbero appiccato incendi a partire da settembre, colpendo 280 città e villaggi e danneggiando 370 abitazioni, ha aggiunto il Ministero, secondo cui un totale di 24.000 ettari di foreste e piantagioni sono stati bruciati.
(Fonti: AP, 21/10/2021)
 

GIORDANIA: CONFERMATA CONDANNA CAPITALE PER OMICIDIO D’”ONORE”
La Corte di Cassazione giordana il 17 ottobre 2021 ha confermato la condanna a morte di un uomo che per motivi di “onore” avrebbe ucciso sua sorella nella Valle del Giordano nel 2019.
Il tribunale di primo grado lo scorso giugno aveva dichiarato l'imputato colpevole dell'omicidio premeditato della sorella sposata, commesso a casa della giovane, condannandolo alla pena di morte.
I documenti del tribunale affermano che l'imputato sapeva che "sua sorella stava vedendo altri uomini pur essendo sposata e che aveva una cattiva reputazione".
L'imputato avrebbe quindi deciso di uccidere la sorella "per restituire l'onore alla sua famiglia", secondo i documenti.
Già due anni prima dell'omicidio, l'imputato aveva visto sua sorella "in compagnia di un uomo su un autobus e aveva tentato di ucciderla, ma senza successo", è scritto negli atti del processo.
Il 30 ottobre 2019 l'imputato si recò a casa della vittima interrompendo l'elettricità in modo che la ragazza uscisse di casa per controllare.
Non avendo raggiunto l’obiettivo, l'imputato stazionò due ore davanti alla finestra per spiarla, poi bussò alla porta.
Nel momento in cui vide la sorella, l'imputato gli sparò quattro colpi.
L'uomo, attraverso il suo avvocato, aveva impugnato la condanna a morte, sostenendo di avere diritto a una riduzione della pena per aver ucciso la sorella "in un momento di rabbia, per purificare l'onore della sua famiglia".
Di diverso avviso il Procuratore generale della Corte, che aveva chiesto la conferma della condanna a morte, sostenendo che il tribunale si fosse attenuto alle corrette procedure legali nel condannare l'imputato.
La Corte di Cassazione ha ritenuto che la sentenza del tribunale penale fosse conforme alla legge, che il procedimento fosse corretto e che la sentenza pronunciata fosse soddisfacente.
"L'imputato ha pianificato l’omicidio con attenzione e aveva una precedente conoscenza del comportamento sbagliato di sua sorella per cui una clausola di attacco d’ira non è applicabile in questo caso", ha stabilito la Corte.
I giudici della Corte di Cassazione erano Mohammad Ibrahim, Yassin Abdullat, Nayef Samarat, Hammad Ghzawi e Qassem Dughmi.
(Fonti: Jordantimes, 17/10/2021)


COREA DEL SUD: ASSOLTO DALL’ACCUSA DI ESSERE UNA SPIA, MA E’ MORTO SETTE ANNI FA
Un uomo che nel 1983 era stato condannato a morte in Corea del Sud perché ritenuto una spia nordcoreana è stato assolto in un nuovo processo il 19 ottobre 2021, hanno riferito persone una volta vicine all'uomo, che è deceduto nel 2014.
L'Alta Corte di Seoul ha stabilito che Son Yoo Hyung, che era stato arrestato nel 1981 con l'accusa di essere un agente al servizio di Pyongyang, non aveva illegalmente raccolto informazioni sensibili.
Son è stato imprigionato per 17 anni in Corea del Sud fino al 1998, quando gli è stata concessa la libertà condizionale.
E’ morto a 84 anni nel 2014 e la sua famiglia ha chiesto un nuovo processo.
La stessa Corte aveva precedentemente stabilito in un nuovo processo ai parenti di Son e altri, che erano stati accusati come suoi complici, che gli agenti dell'intelligence avevano detenuto illegalmente Son per 45 giorni senza un mandato e che quindi i verbali dei suoi interrogatori non dovevano essere ammessi come prove.
Dagli anni '70 agli '80, casi simili di false accuse si sono verificati in Corea del Sud, che allora era sotto la dittatura militare, e almeno 36 sudcoreani che avevano vissuto in Giappone e i loro parenti sono stati condannati per spionaggio. Poi sono stati assolti nei nuovi processi.
Le autorità sudcoreane all’epoca cercarono di alimentare la percezione della minaccia nordcoreana nel tentativo di sopprimere la richiesta di democratizzazione. Le autorità di Seoul imprigionarono sudcoreani che avevano vissuto in Giappone, che ospitava sostenitori di entrambe le Coree, accusandoli di essere spie.
Son, originario dell'isola di Jeju, nella parte meridionale dell'odierna Corea del Sud, si trasferì in Giappone durante la Seconda guerra mondiale, stabilendosi a Osaka. Partecipò ai movimenti che difendevano i diritti dei residenti coreani e sostenne le attività dell'Associazione Generale dei Residenti Coreani pro-Pyongyang in Giappone, nota come Chongryon. Ma dopo aver avuto un problema con i dirigenti del Chongryon, Son ottenne la nazionalità sudcoreana e lavorò come commerciante.
(Fonti: Kyodo News, 19/10/2021)

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I SUGGERIMENTI DELLA SETTIMANA


Il IX° Congresso di “Nessuno tocchi Caino-Spes contra spem” si svolgerà nel carcere di Opera a Milano il 17 e 18 dicembre 2021.

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