NESSUNO TOCCHI CAINO - NTC A CONGRESSO NEL CARCERE DI OPERA A MILANO

NESSUNO TOCCHI CAINO NEWS

Anno 21 - n. 38 - 16-10-2021

Contenuti del numero:

1.  LA STORIA DELLA SETTIMANA : NTC A CONGRESSO NEL CARCERE DI OPERA A MILANO
2.  NEWS FLASH: TOKYO DICE STOP AI COLORI NEL BRACCIO DELLA MORTE
3.  NEWS FLASH: VITTO E SOPRAVVITTO IN CARCERE, QUANDO I DETENUTI SONO UN BUSINESS
4.  NEWS FLASH: PIÙ DI 150 LEADER DI AZIENDE GLOBALI CHIEDONO LA FINE DELLA PENA DI MORTE
5.  NEWS FLASH: IRAN: MASHALLAH SABZI GIUSTIZIATO DOPO LA CONTROVERSA PROCEDURA DI ‘QASSAMEH’
6.  I SUGGERIMENTI DELLA SETTIMANA :


NTC A CONGRESSO NEL CARCERE DI OPERA A MILANO
Il IX° Congresso di “Nessuno tocchi Caino-Spes contra spem” si svolgerà nel carcere di Opera a Milano il 17 e 18 dicembre 2021.


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NESSUNO TOCCHI CAINO - NEWS FLASH

TOKYO DICE STOP AI COLORI NEL BRACCIO DELLA MORTE
Sergio D’Elia

Un quadretto raffigura l’incontro di tre pesci in una bolla di vetro, uno rosso, uno bianco e nero, uno marrone. I tratti sottili disegnati da punte di matita di colore diverso creano un’immagine un po’ infantile ma significativa di uno stato d’animo. Forme di vita sospese in uno spazio senza orizzonte, in un tempo senza futuro. È forse questo il suo disegno più autobiografico. Akihiro Okumoto ha 33 anni ed è nel braccio della morte del centro di detenzione di Fukuoka. Aveva 22 anni quando ha ucciso con un coltello e un martello la moglie di 24 e la suocera di 50 nella sua casa nella città di Miyazaki nel marzo 2010. Ha anche ucciso suo figlio di 5 mesi strangolandolo e annegandolo in una vasca da bagno, seppellendo poi il suo corpo in un cortile vicino.
Un disegno dedicato alla pace mostra proprio un bimbo piccolo che prova a prendere due farfalle, una azzurra e una più scura: ha gli occhi grandi neri, le gote rosa e veste un pannolino a pois e calzini verdi.
Coltello e martello, le armi del delitto, sono ormai sotto chiave in un cassetto dei reperti di reato del tribunale che lo ha condannato a morte. Per dieci anni Okumoto ha usato armi diverse, leggere, colorate: le sue mani nude e le sue amate, inseparabili matite a colori, per lui vitali per disegnare animali e piante della città natale, il ricordo delle feste della semina del riso, gli uccelli variopinti, i ciliegi rosa in fiore in un mare di verde, le colline e altri paesaggi.
Un disegno illustra un ciuffolotto maschio dal piumaggio rosa, celeste e nero, posato su un ramo di fiori di ciliegio. Un’altra immagine mostra due girasoli in un cielo azzurro: c’è il giallo oro dei petali che sfuma nell’arancio scuro della parte centrale, c’è il verde del fusto e delle ampie foglie. Il girasole è il fiore del cambiamento, della vita che volge, tramonta alla fine del giorno e rinasce ogni volta alla luce del sole.
Col tempo anche i sentimenti dei famigliari di Akihiro Okumoto verso la sua punizione sono cambiati dopo che la sua condanna a morte è diventata definitiva nel 2014. Nell’aprile del 2017, un membro della famiglia delle vittime ha avanzato una richiesta di clemenza e chiesto un nuovo processo perché ora vuole che Okumoto espii i suoi crimini vivendo piuttosto che morendo.
Per anni, il condannato a morte per omicidio ha disegnato immagini usando un set di matite a 24 colori, ha venduto i suoi disegni tramite i suoi sostenitori e ha inviato i profitti ai membri della famiglia in lutto. Ma un giorno, nell’ottobre 2020, il Ministero della Giustizia, nell’ambito di una “una revisione generale delle regole relative alla sicurezza”, ha rivisto la direttiva che stabilisce quali oggetti possono usare i condannati a morte. Così, le matite colorate e i temperamatite personali sono stati vietati. I colori dominanti nei bracci della morte sono ritornati a essere quelli monotoni, grigi e plumbei dei corridoi, delle celle, delle sbarre.
Akihiro Okumoto, per riavere le sue matite e, con esse, i colori della sua nuova vita, ha intentato una causa al governo nazionale. Ha chiesto al governo di revocare la riforma delle direttive carcerarie che vietano l’uso di matite colorate, perché la nuova direttiva viola la sua libertà di espressione garantita dalla Costituzione giapponese. La prima udienza del processo avviato da Okumoto si è tenuta presso il tribunale distrettuale di Tokyo il 7 ottobre scorso. Il governo ha chiesto alla corte di archiviare il caso in quanto le direttive sono “ordini di servizio all’interno di un’organizzazione amministrativa e pertanto non devono essere oggetto di un ricorso giurisdizionale”.
Rispetto alle matite meccaniche e ad altri strumenti di scrittura consentiti nei centri di detenzione, il rischio che uno faccia del male a se stesso o ad altri con matite colorate non può dirsi eccezionalmente alto. Per Okumoto, quindi, vietare totalmente l’acquisto delle matite è una restrizione crudele e insensata. Per lui, condannato a stare nel braccio della morte fino al giorno dell’esecuzione, disegnare immagini usando matite colorate significa riflettere sulla gravità del delitto commesso ed “evadere” dal rigore del castigo inflitto. Per lui significa anche, per quanto umanamente possibile, riparare il danno arrecato alle famiglie che hanno perso i loro cari.
Lasciate a Okumoto, detenuto nel braccio della morte, almeno la facoltà di immaginare una vita a colori. Lasciatelo disegnare girasoli nel cielo azzurro e seguire con loro i raggi del sole. Per lui sarebbe un modo di sentirsi vivo anche nel luogo dove la vita è stata condannata a morte.


"VITTO E SOPRAVVITTO IN CARCERE, QUANDO I DETENUTI SONO UN BUSINESS"
Mattia Moro

Da due anni sto seguendo la questione degli appalti del cibo in carcere. Tutto parte da diverse segnalazioni giuntemi da ex detenuti mentre lavoravo a Mediaset nel 2019. Fino ad allora non sapevo niente del vitto (i tre pasti giornalieri completi di colazione, pranzo e cena che l’amministrazione è tenuta a fornire ai detenuti) e del sopravvitto (quello che i detenuti possono acquistare negli spacci interni), e non immaginavo cosa avrei scoperto! Le lamentele riguardavano i prezzi, la quantità e la qualità dei beni venduti in carcere.
Il regolamento del DAP prevede che i prezzi di vendita non possano eccedere quelli comunemente praticati dagli esercizi della grande distribuzione nelle vicinanze dell’Istituto e che per offrire anche prodotti di basso costo (vista la condizione di totale povertà che vivono quasi tutti i detenuti) il prezzo si fissa in base a quello degli esercizi hard discount più vicini. Per verificare le segnalazioni, ho raccolto decine di liste della spesa ex modello 72 di vari istituti in cui risultavano diverse irregolarità sui prezzi e la qualità del sopravvitto. Un detenuto poi mi ha raccontato che in tanti anni di detenzione non gli era mai stato possibile acquistare, pagandola a prezzo pieno, carne che non fosse maleodorante. Solo chi è stato in carcere conosce i modi per lavarla con l’aceto per camuffare il sapore.
Sul vitto ho filmato testimonianze che raccontano di cibo marcio o di menù dannosi per la salute. Un’ex detenuta mi ha raccontato che per una settimana le hanno dato da mangiare solo uova lesse (“Ma che so matti? Così mi veniva il diabete!”). In ogni carcere è prevista una “Commissione vitto”, composta da tre detenuti scelti a sorte mensilmente per controllare, sotto la supervisione di un incaricato dal direttore, il regolare andamento del servizio, dalla consegna delle derrate alimentari al controllo della qualità e quantità. Spesso capitano persone che non sanno leggere e scrivere o che non sanno parlare italiano o rispetto alle quali si possono nutrire dubbi sulla loro idoneità a denunciare eventuali anomalie del sistema. Per un detenuto è rischioso segnalare irregolarità su vitto e sopravvitto. Ci aveva provato Ismail Latief a denunciare agenti della penitenziaria per furti nelle cucine del carcere di Velletri: ha subito pestaggi e maltrattamenti sia a Velletri,
  nei giorni successivi alla denuncia, per convincerlo a ritirala sia a San Vittore, dove era stato trasferito, perché non l’aveva ritirata.
Esiste una sorta di consorzio chiamato Associazione nazionale appaltatori degli istituti di pena (Anafip) di cui fanno parte aziende attive nel settore da tempo immemorabile. Come la Arturo Berselli & C. SPA che opera dal 1930! Studiando il bilancio di una di queste, la SAEP SPA, società gestita dai fratelli Tarricone, mi sono accorto che l’azienda aveva vinto un appalto facendo un ribasso incredibile a 3,9 euro per colazione, pranzo e cena partendo dalla base d’asta di 5,7 euro per poi contestare che con il prezzo offerto non avrebbero potuto fornire il servizio come previsto dal regolamento, salvo però fare 6 milioni di utili su un fatturato di 24 milioni.
Come è possibile? Mi ha aiutato a capire meglio la Corte dei Conti del Lazio che il 7 settembre 2021, su esposto della Garante dei detenuti di Roma Gabriella Stramaccioni, è intervenuta in riferimento alla Domenico Ventura SPA, gestita dai fratelli Ventura, proprietari anche del circolo canottieri di Napoli, che gestiscono le mense di Lazio, Campania, Abruzzo e Molise. La Corte ha notato che l’aggiudicatario ha offerto un ribasso di quasi il 58 per cento sulla diaria pro capite di 5,7 euro, impegnandosi a consegnare delle derrate alimentari per il vitto di tre pasti giornalieri a un prezzo di 2,39 euro. E ha concluso rilevando l’apparente insostenibilità economica del servizio di vitto ove svincolato dai ricavi del sopravvitto. La Corte ha fatto notare anche come si metta a gara il vitto, lasciando poi alla amministrazione decidere se gestire direttamente gli spacci del sopravvitto o esternalizzare il servizio. Siccome accade sempre che la ditta che vince la gara del vitto poi si aggiudica di fatto anche la gestione del sopravvitto, la Corte ha detto che i due tipi di servizi – vitto e sopravvitto – presentano caratteristiche diverse e ha invitato a diversificare le procedure di gara per garantire la partecipazione del maggior numero di ditte con evidente beneficio della qualità e della economicità del servizio.
“Stranamente”, tutte le società che si occupano di forniture di derrate alimentari in carcere hanno un rapporto utile/fatturato altissimo se comparato a una qualunque azienda di mense. Almeno per queste società i detenuti hanno un valore enorme. Sono una fonte inesauribile di guadagno perché sono clienti sicuri, in costante crescita e non si possono neanche lamentare. Oltre il danno la beffa: a fine “soggiorno”, sono tenuti anche a pagare le “spese di mantenimento in carcere”.


PIÙ DI 150 LEADER DI AZIENDE GLOBALI CHIEDONO LA FINE DELLA PENA DI MORTE
Sono più di 150 i leader di aziende globali che hanno sottoscritto la dichiarazione che chiede di mettere fine alla pena capitale nel mondo.
La dichiarazione fa parte della campagna “Business Leaders Against the Death Penalty”, che è stata lanciata per la prima volta a marzo al festival virtuale “South by Southwest” da Sir Richard Branson.
I firmatari iniziali includevano il magnate della moda Francois-Henri Pinault, Ben Cohen e Jerry Greenfield di Ben & Jerry's, Arianna Huffington e i leader di Unilever e Bayer. In vista della Giornata mondiale contro la pena di morte del 10 ottobre, la campagna ha annunciato il 7 ottobre che oltre 100 firmatari aggiuntivi hanno firmato la dichiarazione. Tra i nuovi firmatari ci sono Paul Graham, co-fondatore di Y Combinator, e Sally Jewell, ex segretario degli Interni degli Stati Uniti ed ex amministratore delegato della società di articoli ricreativi REI.
“Come forma di punizione irreversibile ed estrema, la pena di morte è disumana, ed è inconciliabile con la dignità umana. La sua abolizione mondiale è un imperativo morale che tutta l'umanità dovrebbe sostenere”, si legge nella dichiarazione.
Più di 170 Stati membri delle Nazioni Unite hanno abolito la pena di morte per legge o per prassi. Negli Stati Uniti, 23 stati hanno bandito la pena di morte e quattro hanno moratorie sulle esecuzioni. Più di una dozzina non usa la pena di morte da anni.
Sebbene le esecuzioni siano diventate rare negli Stati Uniti, ne accadono ancora diverse ogni anno. Nel 2020 sono state giustiziate 17 persone, di cui 10 con accuse federali. Quest'anno ha visto, fino ad oggi, sette esecuzioni, inclusa l'esecuzione di Ernest Johnson nel Missouri il 5 ottobre nonostante le richieste di clemenza, anche da parte di Papa Francesco.
Celia Ouellette, amministratore delegato della Responsible Business Initiative for Justice, un'organizzazione no profit che ha contribuito a coordinare la campagna, ha affermato di sperare che il nuovo gruppo di firmatari dia slancio alle campagne per porre fine alla pena di morte negli Stati Uniti. "La controversia sulla pena di morte è stata notevolmente ridotta", ha affermato Ouellette. "La pena di morte era un argomento politicamente molto delicato da cui le persone scappavano il più velocemente possibile".
Gli attivisti contro la pena di morte si sono concentrati sul fare pressione su Joe Biden per dare seguito alla sua promessa della campagna di approvare una legge che porrebbe fine alla pena di morte a livello federale.
Mentre il Dipartimento di Giustizia di Biden ha ripristinato la moratoria su tutte le esecuzioni federali, che l'amministrazione Trump aveva precedentemente revocato per compiere un'ondata di esecuzioni controverse, il presidente finora non ha intrapreso ulteriori azioni per affrontare la pena di morte.
"Dobbiamo ancora vedere un qualche tipo di azione significativa e duratura uscire dalla sua amministrazione", ha detto Ouellette.
"Non giustiziare le persone ora non significa che il prossimo presidente non possa agevolmente riprendere a giustiziare le persone".
Sebbene ci sia stata poca attività legislativa in materia a livello federale, i governi statali nel corso degli ultimi anni hanno progressivamente ristretto l’uso della pena capitale, grazie anche al fatto che ormai non è raro che l’argomento abbia il sostegno di entrambe gli schieramenti politici. Il caso più recente è quello della Virginia, che a febbraio è diventata il primo stato del Sud ad abolire la pena di morte. Una legge simile è attualmente in fase avanzata nello Utah e nell'Ohio.
"Ho molta speranza che anche nel nostro stato metteremo fine alla pena di morte", ha detto John Rush, un imprenditore di Columbus, Ohio, e uno dei nuovi firmatari della campagna. "È estremamente importante che lo slancio venga mantenuto dalla comunità imprenditoriale... per continuare a spingere".
(Fonte: The Guardian, 07/10/2021)


IRAN: MASHALLAH SABZI GIUSTIZIATO DOPO LA CONTROVERSA PROCEDURA DI ‘QASSAMEH’
Un uomo è stato giustiziato nella prigione centrale di Kermanshah il 30 settembre 2021, secondo informazioni ottenute da Iran Human Rights.
E’ stato identificato come Mashallah Sabzi, 48 anni, che era stato condannato per omicidio.
La condanna a morte di Sabzi era stata emessa dopo una cosiddetta “cerimonia di Qassameh (anche Qossameh)”, che tradotto letteralmente significherebbe “ricostruendo la scena del crimine”.
Nei casi di qisas (omicidio o lesioni) dove non ci sono prove sufficienti ma il giudice non è convinto dell’innocenza di un imputato, il giudice dichiara il “Los”.
In tal caso, la vittima o il parente più prossimo della vittima possono chiedere il Qassameh, che si basa sul giuramento sul Corano da parte di un certo numero di familiari della vittima che si dicono certi della colpevolezza dell'imputato.
Nei casi di omicidio, sono necessari 50 membri maschi della famiglia della vittima. Va notato che le persone che giurano nelle cerimonie di Qassameh non devono necessariamente essere state testimoni dei fatti, e di fatto quasi mai lo sono.
Sabzi era stato arrestato nel 2010 e accusato di omicidio. L’uomo, che fino all’ultimo ha sostenuto la propria innocenza, è stato giustiziato senza che i familiari avessero l’opportunità di un’ultima visita.
(Fonti: IHR)

 

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