"La strada di casa" di George Pelecanos (Piemme, traduzione di Stefano Tettamanti e Francesca Di Pietro)

 

Mentre leggevo "La strada di casa" di George Pelecanos (Piemme, traduzione di Stefano Tettamanti e Francesca Di Pietro) mi sono venuti un po' i lacrimoni pensando al rapporto difficile che ho da una vita con mio padre, all'amore smisurato che provava per me mia madre e al giorno che gli agenti della Digos arrivarono a portarmi una convocazione in Questura che mi valse 3 anni di avviso orale. Ci ho pensato perché Chris, il protagonista di questo libro ambientato a Washington, ha un rapporto difficile col padre, finisce in carcere per una serie di cazzate e quando sta cercando di rifarsi una vita tutto sembra sul punto di crollare per colpa di una borsa piena di soldi e amici che non hanno cambiato le cattive abitudini.
Ho deluso tantissimo i miei genitori, lo vedo ancora oggi negli occhi di mio padre. 
Non vuole parlare del lavoro che faccio. 
Io ci provo ma lui evita, cambia discorso, preferisce non sapere. 
Lui, mia madre e anche mia sorella sognavano per me un futuro diverso, da insegnante, da persona affermata, con una stabilità economica e sentimentale. 
Un po' me ne frego, perché rifarei tutto da capo nella mia vita, ma altre volte di notte non riesco ad addormentarmi pensando a tutte le delusioni e dolore che ho causato loro. Anche per questo detesto le riunioni familiari, come il prossimo Natale, perché tutte queste ferite, litigi tendono sempre a riemergere. C'è una tensione latente che non evapora mai. 
Negli ultimi anni ho cercato di lasciare andare, far parlare gli altri, non rispondere alle frecciate, alle critiche gratuite, ai giudizi sommari, anche perché ormai i miei familiari conoscono pochissimo della mia vita ma ogni occasione, dalla politica ai soldi, è buona per far partire un litigio.
Quando mi siedo a tavola insieme ai miei familiari guardo sempre verso la sedia vuota dove si sedeva mia madre e ripenso a quando la situazione era sul punto di esplodere e sentivo il suo sguardo che mi implorava di non alzare la voce, di non incazzarmi, di non andarmene via.
Talvolta la accontentavo ma altre volte mi saliva una rabbia che rovinava la giornata a tutti i presenti.
Questo romanzo non è un capolavoro (alcune parti sono decisamente retoriche), anche se l'ho trovato molto molto bello (se vi piace il genere anche se sarebbe sbagliato ascriverlo totalmente al genere noir) e in particolare tutte le scene ambientate in carcere, e mi lasciato il cuore e la mente pieni di riflessioni, dubbi, spunti, ricordi, volti di persone che ho perso per strada. 
C'è un passaggio, non secondario , che mi ha fatto molto riflettere sulla mia scrittura.
Un passaggio che parla di come si scrivono libri e soprattutto di come si scrivono noir, quelli belli pero' e questo è un signor noir.
Poi vabbè ci sono libri come questo che parlano al mio cuore in modo molto intimo e diventano quasi solo una questione privata.
 

 
 

Commenti

  1. sai, mi capita spesso di scegliere un libro da leggere anche solo per il suo titolo.
    "la strada di casa" lo trovo un bel titolo, che mi invoglia alla lettura.
    (perchè per me la casa è tutto)

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    1. cosa intendi per casa? X me è lo spazio dove vivo e viviamo e per me la casa, bilocale, dove stiamo è la casa che mi fa sentire bene.

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    2. casa, per me, è la mia famiglia.

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  2. al di là dei ricordi dolorosi, non pensi che ai tuoi genitori importi solo che tu sia felice?

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    1. Non lo so Silvia, mia madre è morta ormai da qualche anno e mio padre è rimasto lo stesso di sempre. Competitivo, che fa sempre confronti, il classico snob di sinistra. Sono cresciuto in una famiglia con grandi ambizioni, per vari motivi. Mia sorella sta facendo una super carriera e pensa che sono il solo nipote/cugino/parente non laureato :) e che per di piu' fa le pulizie e fa i popcorn guadagnando molto poco.

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    2. a me non frega nulla ma quando mia sorella ancora oggi, lei che ha 46 anni, mi rompe i coglioni con l'università capisci che non è semplice mantenere la calma ma la sto mantenendo e soprattutto cerco di viverla con ironia e me l'ha insegnato un'anziana donna radicale che mi ha voluto un bene dell'anima.

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    3. è sempre un problema quando ci si sente il fiato dei genitori sul collo, specie se sono persone di successo o piene di sé; penso ai figli di persone famose: poveretti, che macigno si devono portare! Il peso di non sentirsi mai all'altezza del genitore, e di sentirsi sempre sotto esame.
      Io ho avuto la fortuna di avere due genitori intelligenti ma di bassa scala sociale, ma anche la sfortuna di avere una sorella maggiore (di poco, un anno) "perfetta".
      Più sveglia, più capace, sempre più brava di me, in ogni cosa. Il continuo confronto -perdente- con lei, la gelosia del suo rapporto privilegiato con mamma, le pressioni dei miei genitori affinché seguissi il suo esempio, hanno segnato irrimediabilmente la mia autostima. Ci sono voluti anni e un aiuto psicologico per rendermi consapevole di questo fardello, che ovviamente rimane, come tutti i fardelli infantili, ma la consapevolezza lo rende più leggero. O forse solo l'età, che cerca tranquillità.

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    4. Grazie per le tue parole Silvia. Ricordo ancora quando mollai l'università che a casa mia fecero un summit i miei familiari, mia nonna, i miei zii per capire cos'avessi detto. Nessuno che me lo venne a chiedere. X certi versi questa situazione mi ha anche inibito nel prendere alcune scelte perché mi sembrava che facendo alcune cose avrei dato loro soddisfazione, mi sarei fatto accettare perché facevo qualcosa di degno. Ho già l'ansia per incontrare a Natale mia sorella e suo marito prima che partano per uno scavo in Egitto.

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  3. niente ansia, fai come diceva un mio amico giardiniere : "male non fare paura non avere" : trovo che sia una massima di grande saggezza.
    tua sorella se ti vuole bene ti deve accettare come sei, però se posso permettermi la prima persona che ti deve volere bene sei proprio tu.

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