"Le terre dello sciacallo" di Amos Oz (Feltrinelli, traduzione di Elena Loewenthal), uno dei miei libri dell'anno
De "Le terre dello sciacallo", raccolta di racconti che segna l'esordio di Amos Oz e finalmente tradotto da Elena Loewenthal per Feltrinelli, me ne aveva parlato anni e anni fa una ragazza ormai divenuta donna che non vedo da secoli. Mi disse che questi racconti mi sarebbero piaciuti tanti. Che lei li aveva letti. Che avrei dovuto leggerli anche io.
Sono passati quasi vent'anni da allora e aprire questa straordinaria raccolta, nove racconti sono ambientati in un kibbutz mentre l'ultimo è una bellissima parabola biblica, ha significato anche ritrovare nella mente i suoi riccioli neri, i suoi zigomi pronunciati, la sigaretta sempre accesa fra le dita della mano sinistra, il suo tono impositivo, la sua depressione che la conduceva da uno psichiatra all'altro, i suoi libri, i suoi tanti troppi soldi che la facevano sentire in debito col mondo inter, le sue labbra che erano sempre serrate anche quando urlava o se la prendeva con qualche stronzo che ci provava con lei.
Sono dieci testi da leggere e rileggere per farsi sconvolgere, abbracciare, confondere, riempirsi di una marea di dubbi, sogni, spunti. Li ho trovati di una profondità e ampiezze di vedute che mi ha lasciato senza parole e pieno di ammirazione per lo straordinario talento dello scrittore israeliano. Ci sono delle frasi che ho sottolineato due volte e che vorrei tornare a rileggere anche mentre sto scrivendo queste due righe del cazzo. Non pensate di trovarvi di fronte solo a una splendido squarcio sulla vita nei kibbutz (un mondo affascinante ma che per certi versi mi è arrivato anche un po' soffocante) e in generale nel mio amato giovane Stato di Israele (bellissime le descrizioni dei quartieri di Gerusalemme circondata dal nemico) perché Oz scrive, quasi con tono profetico, dell'umanità intera coi suoi drammi eterni, le sue lacerazioni, le liti familiari che distruggono ogni possibilità di vita, i collassi amorosi, le tentazioni, le madri col cuore spezzato, i nemici, i diversi, gli esclusi, gli sconfitti, gli esiliati, i pavidi, la religione, la guerra, i divorzi, le fughe, la solitudine, la letteratura (quanta poesia c'è in questi racconti), la follia, la mediocrità, le ideologie, l'amore, gli sciacalli che aspettano nella notte, macilenti, affamati, ululanti.
Bellissimo e senza dubbio uno dei miei libri dell'anno e non solo.
E poi, in questa giornata di neve e hai sempre saputo quanto la neve mi tiri fuori i pensieri peggiori, vorrei dirti amica mia, ovunque tu sia, che poi alla fine li ho letti questi racconti e che ti ringraziero' per tutta la mia vita.
"In fondo a quel vicolo prende una puttana e la segue in uno squallido albergo, le dà il denaro che intendeva spendere nel magazzino di attrezzature agricole. Resta con lei sino al mattino e la odia, odia lei e se stesso con tutta l'anima. L'indomani torna al kibbutz, traffica con le macchine, legge il giornale della sera per filo e per segno, aspetta che venga buio. Quando è buio va nel frutteto e si impicca a un albero. Dopo la festa lo trovano, lo piangono e parlano della sua umile dedizione all'ideale che noi seguiamo. La tomba dell'uomo che si è sacrificato per riparare il mondo non è diversa dalle altre, non abbiamo nulla da aggiungere. Era un uomo solo." (pag. 201, da "Redimere il mondo")
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