"Lo zoo di Roma" di Pascal Janovjak (Edizioni Casagrande, traduzione di Maurizia Balmelli)

 

Ho letto questo bello e sorprendente romanzo tutto ieri pomeriggio. Non sono stati e non sono giorni facili. Tantissimo lavoro e qualche problema di salute che è (ri)comparso all'improvviso il 22 notte. Non mi sono ancora completamente ripreso e nelle prossime settimane dovro' trovare tempo e spazio per andare dal dottore e cominciare una serie di esami. Natale è scappato via con una riunione di famiglia insapore anche per colpa della mia depressione e stato fisico malmesso, chiacchiere che non mi appartenevano, il pensiero a mio zio che si sta riprendendo molto molto lentamente da un'operazione al cuore, i pensieri di lavoro che non mi abbandonano mai ma per fortuna ho una compagna fantastica, una gatta che gironzola per casa e i libri.

Un romanzo vincitore del Premio svizzero di letteratura, del Premio Michel-Dentan e del Premio del pubblico della Radiotelevisione che parla dello zoo di Roma, oggi Bioparco e che sinteticamente mi ha convinto 1) per i suoi capitoli, che alternano le varie linee narrative, brevi ma densi 2) per la ricostruzione storica (veramente bella e affascinante la storia della nascita dello zoo fino e compresa l'epoca fascista)  che si mescola a passaggi di fantasia 3) per la critica, feroce ma mai urlata, che rivolge a noi umani su come utilizziamo, soggioghiamo, analizziamo, nominiamo, incateniamo gli animali per soddisfare i nostri bisogni, riempire i nostri vuoti 4) molto belli anche gli spunti di riflessione sulla ricerca a tutti i costi di musei, bioparchi e di un certo carrozzone culturale/giornalistico etc del "grande evento", del "caso" da sfruttare per fare soldi, per darsi visibilità e crearsi spazi di agibilità politica e sociale.

Non amo gli zoo, da bambino piangevo quando mi portavano davanti alle gabbie e l'ultima volta che ci sono stato avrei ucciso tutti.

Se vi interessano maggiori dettagli sulla famosa trama andate al link o leggetelo.

E mentre lo leggevo ho ripensato a un romanzo che ho amato tantissimo:



Un estratto:

"Oggi lo zoo si chiama Bioparco. Conosce una frequentazione equivalente a quella degli altri zoo europei, è rumoroso durante il fine settimana e vuoto il resto del tempo. Ogni tanto propone qualche mostra tematica più o meno opportuna: nel 2015, quando l'attenzione dei media si focalizza su migliaia di migranti che tentano di attraversare il Mediterraneo, il Bioparco presenta una mostra intitolata Pesci alieni - le invasioni nelle nostre acque. Decorati da un feroce pesce esotico, nelle strade della città i manifesti della mostra si alternano a quelli dei partiti xenofobi. E se lo zoo di Roma non fa più storia, continua a esserne l'amaro riflesso.
I visitatori di oggi sono molto diversi da quelli che assistettero alla sua inaugurazione. In un secolo, gli umani avevano avuto il tempo di cambiare molte volte ideologia, taglio di capelli e abitudini d'abbigliamento. Ma il leone che li guarda passare dal fondo del suo recinto è rimasto esattamente lo stesso. La sua criniera brilla come duemila anni prima, quando veniva avanti sulla sabbia del Colosseo, e agli umani il suo ruggito rauco, il suo brontolio proveniente dalla notte dei tempi fa sempre rizzare i peli sulla schiena. Così i visitatori stanno ancora a considera con un'occhiata la larghezza dei fossati, il diametro delle sbarre, lo spessore dei vetri - tutte quelle precauzioni che li separano dalla bestia, e al contempo consentono loro di godersi lo spettacolo. Perché rimangono comunque affascinati davanti a quella grazia, a quella forza che li rinvia alla fragilità dei loro corpi, dei loro vecchi corpi di cacciatori raccoglitori che non sanno più come usare, e che faticano a mantenere in buono stato. Invidiano quella fiera costanza animale, che riduce le loro più grandi ambizioni a miseri rutti. 
Perché per quanto le specie scompaiono, e le bestie crepino a migliaia, non finiscono mai di fuggire la dominazione degli umani. È in completa libertà che attraversano la storia delle loro città, perché non hanno alcun bisogno di una direzione da seguire o di un senso da dare. Ciò che dura, in loro e attraverso di loro, è tutto quello che non è scritto - tutto quello che sfugge agli archivisti, che ringhia sotto la pelle dei racconti, tutto quello che brulica nelle loro ombre." (pp. 202-203) 
 
 

 

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