"La chiave nel latte" di Alexandre Hmine (Gabriele Capelli Editore)

 

“È diventato un appuntamento fisso. Regolo l'antenna per migliorare la qualità dell'immagine, chiamo l'Elvezia e torno a sdraiarmi. Sento i suoi zoccoli che accarezzano la moquette, sbatacchiano sulle piastrelle e scricchiolano sulle assi di legno.

Le imposte sono chiuse. La mia cameretta è invasa dalla luce del televisore.

Eccola. Sposto il piumino affinché lei possa prendere più comodamente posto sulla sponda del letto.

Sento le sue risate, che spesso si trasformano in colpi di tosse. La divertono molto Zuzzurro e Gaspare, D'Angelo e Has Fidanken o il Beruscao. Invece mal sopporta i tormentoni di Greggio, quando dice cerrrto che è lui, o bada ben bada ben bada ben. Scuote la testa e commenta:

“Vardigh a dré!... Blagón!... Tagliàn!... Asnón!”

A me piacciono le sfitinzie, più di tutte Tini Cansino.

Finché non mi addormento.” (pp. 26-27)


Che bello leggere i libri facendosi cullare. Perchè è questo mi è accaduto leggendo il romanzo d'esordio di Alexandre Hmine “La chiave nel latte” (Gabriele Capelli Editore), Premio Studer/Ganz 2017. Mi sono sentito letteralmente cullato dalla voce dell'autore, nato a Lugano e di origini marocchine, che racconta con pochi innesti narrativi la propria vita dall'infanzia fino all'età adulta.

Ecco, io mi fermerei qui perché quella di Hmine è una voce che ti prende e ti sbatte a letto e poi ti riprende e ti fa correre per strada e giocare e giocare e poi ti accarezza e poi ti fa addormentare e poi ti fa il solletico e ti fa venire voglia di rimanere zitto e non aggiungere altro.

Poi se penso all'Elvezia, l'anziana donna alla quale il protagonista è stato affidato dalla giovane madre, mi vengono in mente le mie due nonne e al peso che hanno avuto nella mia vita. I loro capelli, le loro voci, i loro racconti, le sigarette, la busecca, la cassoela, le quaglie con la panna, la faraona, i racconti di guerra, il lavoro in fabbrica, i cimiteri. La mia nonna materna che mi avvolge nei suoi capelli lunghi due metri e mezzo e mi chiede perché sto sempre male. La mia nonna paterna che divide una sigaretta con me sul balcone di casa e mi racconta di nazisti, zucchine col burro, transatlantici, funghi, Walker Texas Rangers e che mi chiede di non morire.

Poi se penso al Liceo, penso a che razza di deficiente sono stato a non studiare abbastanza.

Poi penso che ogni giorno mi sento uno straniero qui a Lugano. Straniero dentro me stesso. Straniero nelle mie parole. Straniero perché ho bisogno di un permesso per amare, lavorare, mangiare, dormire. E poi insofferente, estraneo, lontano, pieno di sogni.

Perché la Svizzera è dentro di me ma fuori di me.

Perché i libri mi hanno salvato la vita e continuano a salvarmela.

Perché mia madre è sempre stata un ponte.

Un ponte fra il dolore e i sogni.

Fra la morte e i libri.

Fra la sua famiglia e quella di mio padre.

Penso alla sua mano calda e alla sua ira improvvisa.

Ai miei racconti che non ha mai letto.

A lei che mi guarda in ospedale e mi dice: Facciamo una scommessa su chi muore prima fra me e te. Ci stai?

E purtroppo ci sono stato e ho pure perso.

Poi se penso all'Alto Malcantone penso alla mia Brianza, alla provincia, al paesino dove sono cresciuto, al cortile, ai vicini, agli amici, le amiche, il primo bacio, le corse in bicicletta, i cartoni animati giapponesi, la mia solitudine.

“La chiave nel latte” è un romanzo fatto, di frammenti, di schegge, di stomaco, di cibo, di vuoti, di passioni, di salite, di boschi, di fallimenti, di odori, di funerali, di un'identità che si costruisce, si smembra, si autodistrugge, si odora, si profuma, si lava, si racconta, si determina, si apre.

Un romanzo davvero bellissimo.

Tutto qui.

Commenti

  1. bene, me lo segno. il tuo consiglio sul libro "una terra così felice" (non so se il titolo è esatto) è stato apprezzato, i romanzi in cui l'io narrante è un bambino mi piacciono molto.
    p.s. sabato ho aiutato mamma a fare la busecca, come la faceva la tua nonna?

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    1. Oltre alla ricerca classi ca ci aggiungeva molte frattaglie alternative, tante spezie e poi il soffritto lo bagnava con un misto di Barolo e Champagne

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    2. A seconda di come la volevi. Con poco liquido o con tanto. A me piaceva sentire la combinazione di profumi. Poi la faceva anche classica, standard. Ma i miei non sono lecchesi ma un miscuglio di lombardi e sperimentazione fatta di incontri e povertà

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    3. Curiosità: Sei mai andata a mangiare alla Trattoria Vecchia Pescarenico? Io no. Chiedo solo

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    4. (Barolo o champagne) Di solito faceva quella tradizionale ma altre volte la cambiava. Diciamo che la sua era una via di mezzo fra la busecca milanese e il fritto misto maiorchino che è questa roba qui: https://amaiorca.com/frit-mallorqui-sapore-tradizione/

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    5. aiuto, credo che resterò fedele alla tradizione. tra l'altro io bevo solo il brodo, la trippa mi fa senso. però voglio imparare a cucinarla perché piace a mio marito e a mio genero, ed è un piatto sano.
      sulle trattorie: devo chiedere a mio marito, è lui l'esperto di Lecco. mi sembra che una volta abbiamo mangiato da cecco il pescatore.

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    6. anche se sono ormai vegetariano/vegano ogni tanto faccio qualche salto nella carne perché mi piacciono tantissimo le frattaglie e alcuni piatti classici delle tradizioni ma le frattaglie mi fanno davvero impazzire. Quando siamo stati a Maiorca mi ricordo che un tizio capendo che mi piacevano mi indirizzo' in una trattoria discosta che non lavorava molto coi turisi ma con la gente del posto e mi preparo' un fritto maiorchino incredibile. Da Ceko sono stato anche io, sempre li' a Pescarenico.

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    7. se vuoi posso venire a farti una lezione. Sono 80 euro ogni venti minuti. :))))))))))))

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  2. il libro era "una terra così gentile".
    oggi ho terminato "la natura della grazia", bellissimo anche quello.
    peccato che in biblioteca non ne abbiano altri dello stesso autore, li avrei volentieri letti tutti.

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