Nessuno tocchi Caino - NEL REGNO DI BIN SALMAN TORNANO A ROTOLARE TESTE

NESSUNO TOCCHI CAINO NEWS

Anno 22 - n. 3 - 22-01-2022

Contenuti del numero:

1.  LA STORIA DELLA SETTIMANA : NEL REGNO DI BIN SALMAN TORNANO A ROTOLARE TESTE
2.  NEWS FLASH: A POGGIOREALE PER VISITARE ANCHE I CAINI DI FORZA NUOVA
3.  NEWS FLASH: SOMALIA: DUE EX MILITARI GIUSTIZIATI PER L’OMICIDIO DI CIVILI
4.  NEWS FLASH: TUNISIA: NOVE ISLAMISTI CONDANNATI A MORTE PER L’OMICIDIO DI UN MILITARE
5.  NEWS FLASH: PAKISTAN: RAGAZZA CONDANNATA A MORTE PER AVER INVIATO CON WHATSAPP CARICATURE DI MAOMETTO
6.  I SUGGERIMENTI DELLA SETTIMANA :


NEL REGNO DI BIN SALMAN TORNANO A ROTOLARE TESTE
Elisabetta Zamparutti su Il Riformista del 21 gennaio 2022

La “pena capitale” fa riferimento a caput, cioè testa. Come la decapitazione, con il de che indica separazione. È la punizione attraverso la morte per recisione netta dell’unica parte tonda, come notò Platone, del corpo: la testa, appunto, sede per alcuni del manifestarsi dello spirito, con il corpo che invece è manifestazione della materia.
Fu decapitato il nostro San Paolo, quello di Spes contra spem, dai Romani di Nerone e poi Cicerone e Tommaso Moro, come anche Anna Bolena e Maria Antonietta. E nel procedere lento dell’evoluzione dell’umanità, durante la quale venne tagliata la testa perfino ad Antoine-Laurent de Lavoisier, il padre della chimica moderna, ci trasciniamo ancora questa pratica che persiste oggi in un solo Paese: l’Arabia Saudita. Dove un principe, Mohammed bin Salman, ha annunciato al mondo, dalle colonne patinate del “Time magazine”, di voler ridurre significativamente le decapitazioni nel suo Regno. Lo ha detto nel 2018. Il suo piano è quello di limitarle all’omicidio e discostarsi da un’interpretazione ultraconservatrice della legge islamica nel tentativo di ammodernare la terra di Saud. E, così, si è passati dalle 186 decapitazioni del 2019, uno dei numeri più alti registrati nel Regno, alle 27 del 2020 che invece è il numero più basso. Sempre nel 2020, un decreto reale ha stab
 ilito che i minori non siano più decapitati e si è posto fine anche alle fustigazioni. Inoltre, un membro del Consiglio della Shura ha raccomandato l’abolizione della pena capitale per i reati “ta’zir”, ad esempio quelli di droga, per i quali le sanzioni penali sono lasciate alla discrezione del giudice.
Sta di fatto che per un anno raramente si è assistito al rito macabro della decapitazione: il condannato portato in un luogo pubblico, vicino alla moschea più grande della città dove è stato commesso il crimine, le mani legate e in ginocchio davanti al boia che sguaina la spada tra le grida della folla che urla “Allahu Akbar!” (Dio è grande).
Ma al 2020 è seguito il 2021. E le cose sono cambiate nel Regno del principe “illuminato”. Le decapitazioni sono riprese a un ritmo crescente, arrivando a 67 secondo la European Saudi Organization for Human Rights (ESOHR). Un incremento del 148%. Tra i giustiziati, 51 sauditi, una donna e un bel po’ di stranieri: 7 yemeniti, 4 egiziani, 2 pachistani, 1 del Ciad, 1 del Sudan e 1 della Nigeria. Da un anno all’altro, è svanito anche l’incantesimo della sospensione delle punizioni “ta’zir”. Dei 67 decapitati nel 2021, nove erano stati condannati per questi casi: 4 per fatti politici, 3 per alto tradimento, uno appartenente all’ISIS e uno per reati politici e legati alla droga. Il 16 giugno 2021, è stato giustiziato anche Mustafa Al Darwish, un condannato per fatti che sarebbero accaduti quando era minorenne. Tra le almeno 42 persone nel braccio della morte, ci sono anche quattro minori: Hassan al-Faraj, Jalal al-Labad, Youssef al-Manasif e Sajjad Al Yassin.
Ma non c’è solo la pena di morte, perché ancora esiste la tortura e l’iniquità dei processi. A ben vedere, in questo come in molti altri Paesi mantenitori, la soluzione definitiva del problema, più che alla lotta contro la pena di morte, attiene alla lotta per la democrazia, l’affermazione dello Stato di diritto, la promozione e il rispetto dei diritti politici e delle libertà civili. Noi sappiamo che un dittatore può decretare l’abolizione un giorno e la sua reintroduzione quello dopo. Per questo abbiamo operato affinché l’Assemblea generale dell’ONU esortasse gli Stati mantenitori a decidere, non l’abolizione tout-court, ma una moratoria delle esecuzioni in vista dell’abolizione. Per tenere conto del tempo necessario a cambiare, con le leggi penali, anche l’intero sistema democratico e di garanzie dei diritti umani.
Mi chiedo come mai il principe bin Salman che ha fatto affiorare una prospettiva di cambiamento, sembra ora farla soccombere. Tanto più se egli continua a ostentare modernità e apertura con inviti estesi a personalità internazionali e anche del nostro Paese, che è conosciuto nel mondo per la moratoria universale delle esecuzioni capitali. Noi italiani siamo portatori di un vero e proprio “talento”, come la nobile moneta di scambio della moratoria, che può essere fatto valere in ogni Paese e su ogni tavolo a cui ci si invita.
Può darsi che, oggi, la testa illuminata del principe sia persa, decollata dal corpo grave del conservatorismo del suo regno. Ma potrebbe anche essere che noi non lo si sia sostenuto abbastanza. In ogni caso, faccio una proposta. La prossima volta che un politico italiano viene invitato in Arabia
Saudita, si faccia accompagnare da una piccola delegazione di Nessuno tocchi Caino. Insieme, aiuteremo quel principe a riorientare la sua visione, a rivolgere il suo sguardo a oriente, dove il sole non tramonta mai e dove sempre sorge la luce, quella della coscienza universale e dell’amore infinito, che illumina di immenso la nostra vita, la nostra umanità, il nostro voler essere umani.
 
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NESSUNO TOCCHI CAINO - NEWS FLASH

A POGGIOREALE PER VISITARE ANCHE I CAINI DI FORZA NUOVA
Umberto Baccolo* su Il Riformista del 21 gennaio 2022

La storia radicale insegna che per le battaglie importanti si possono – e a volte si devono – avere anche i compagni di viaggio più inaspettati, che è fondamentale non avere pregiudizi verso nessuno e che le lotte sul carcere si fanno per e con tutti i detenuti indifferentemente dal loro livello sociale o colore politico. Per questo, la mia sorpresa è stata relativa quando alcuni giorni fa ho ricevuto una chiamata dell’avvocato Nicola Trisciuoglio, che già aveva aderito nel recente passato a iniziative di Nessuno tocchi Caino, che mi annunciava la decisione di suoi assistiti, tra cui Roberto Fiore, Giuliano Castellino, Luigi Aronica e Salvatore Lubrano, quindi i vertici della famigerata Forza Nuova, e di oltre cento detenuti comuni di Poggioreale, in particolare del padiglione Firenze, di iniziare uno sciopero della fame a sostegno dello sciopero del nostro Presidente Rita Bernardini e della proposta di legge del deputato di Italia Viva Roberto Giachetti a favore della liberazione anticipata speciale come prima misura d’emergenza volta ad alleviare l’insostenibile carico di sofferenza che il sovraffollamento carcerario sta imponendo sulla comunità penitenziaria, non solo dei detenuti, ma anche dei “detenenti”.
Mi ha fatto piacere sentire da Trisciuoglio che Fiore abbia pregato tutti i simpatizzanti di Forza Nuova di abbandonare qualsiasi azione di piazza, per combattere solo sul terreno giuridico. Ottimo che la leadership di un partito così controverso abbia dato indicazioni chiare nel segno del diritto e della nonviolenza e che Fiore e gli altri abbiano dichiarato di aderire allo sciopero di Rita a livello personale, da comuni detenuti e non come politici. “Le bandiere sono ammainate”, comunicano. Nessuna strumentalizzazione politica è cercata o possibile, vogliono solo lottare per la salute e il bene dei detenuti, perché il vivere sulla loro pelle, nelle celle di Poggioreale, la drammaticità di quelle condizioni inumane e degradanti, ha prodotto un cambiamento del loro modo di pensare, di sentire e di agire. Proprio per questo hanno fatto pervenire a Rita Bernardini l’invito ad andare a Poggioreale, a visitare tutti i detenuti, per ascoltare il grido disperato di chi “vive" in quel carcere-lazzaretto, riponendo solo in lei le loro speranze.
In una situazione che già era esplosiva per il sovraffollamento e per tante incurie e carenze strutturali, Poggioreale è davvero un carcere-lazzaretto perché oggi ci sono 143 detenuti contagiati, ammassati tutti insieme nelle celle, più uno ricoverato al Cotugno, a cui vanno aggiunti 251 positivi tra gli agenti di polizia penitenziaria operativi in Campania. In una tale situazione, i leader di un partito che più lontano da noi non può essere, hanno deciso di rinunciare al loro status politico e, in veste e con l’umiltà di detenuti comuni, affidarsi alla donna simbolo di tante lotte per il rispetto della Costituzione, accompagnarla in una battaglia nonviolenta condotta secondo regole pannelliane. Accogliendo la loro istanza, oggi, i massimi responsabili di Nessuno tocchi Caino Rita Bernardini, Sergio D’Elia ed Elisabetta Zamparutti, insieme a Doriana Vriale e agli avvocati Vincenzo Improta e Alessandro Gargiulo, saranno a Poggioreale per una visita autorizzata dal DAP, che
 va ringraziato per la sua attenzione e la sensibilità dimostrate nonostante i problemi di gestione legati alla pandemia, al sovraffollamento e al breve preavviso.
Nel corso della visita ai detenuti all’interno, fuori da Poggioreale le loro famiglie hanno organizzato un sit-in assieme al garante dei detenuti napoletano Pietro Ioia e a quello campano Samuele Ciambriello, che mi segnala che la staffetta del digiuno a sostegno di Rita è stata appena raccolta da 283 detenuti del carcere di Avellino. Ai forzanovisti detenuti l’avvocato Trisciuoglio chiederà anche di prendere, come lui ha già fatto, la tessera di Nessuno tocchi Caino. Un gesto simbolico, ma importante per far capire che i tempi dell’odio e della contrapposizione possono anche tramontare. Noi non abbiamo mai nutrito inimicizie e preclusioni, perché il nome “Nessuno tocchi Caino” che ci identifica è anche il nostro motto. Vale, quindi, anche per quelli di Forza Nuova, che oggi incontreremo, come detenuti comuni ed esseri umani, insieme a tanti altri detenuti senza nome e di tutti i colori di cui nessuno parla e si cura, nel luogo dove sofferenza e disumanità tormentano
 tutti e tutti accomunano.

* Consiglio direttivo di Nessuno tocchi Caino

SOMALIA: DUE EX MILITARI GIUSTIZIATI PER L’OMICIDIO DI CIVILI
Due ex militari sono stati giustiziati di recente in Somalia per gli omicidi di civili, in due casi distinti.
Il primo dei giustiziati è un ex membro dell'Esercito Nazionale Somalo che è stato fucilato la mattina dell'11 gennaio 2022 per aver ucciso un civile nel distretto di Belet Xaawo, nella regione di Gedo.
Il vice procuratore generale della Corte Marziale della 27a Divisione, maggiore generale Mohamed Abdulkadir Mohamed, ha affermato che Abdikadir Farah Dhaqane (Nune) era stato ritenuto colpevole di aver ucciso il civile disarmato e che nella stessa mattina è stato condannato a morte.
Abdikadir Farah Dhaqane (Nune) aveva ucciso Mowlid Bashe Omar, che gestiva un’autofficina nella città di Beledhawo.
Hanno assistito all'esecuzione funzionari assegnati alla Corte Marziale della 27a Divisione, parenti sia del soldato condannato che del civile ucciso, oltre a diversi spettatori.
La seconda esecuzione riguarda un ex membro delle Forze di Polizia Somale, che è stato giustiziato il 10 gennaio per aver ucciso un civile nella regione di Gedo.
L'agente proveniva dalle Darawish, le Unità Mobili della polizia, ed era stato condannato a morte dalla Corte Marziale della 27a Divisione per aver ucciso un motociclista nel distretto di Luuq, nella regione di Gedo.
(Fonti: Goobjoog News, 11/01/2022)


TUNISIA: NOVE ISLAMISTI CONDANNATI A MORTE PER L’OMICIDIO DI UN MILITARE
Un tribunale tunisino ha condannato a morte nove islamisti per aver decapitato un soldato nel 2016, omicidio rivendicato dal gruppo Daesh, secondo quanto riportato dai media il 14 gennaio 2022.
Il verdetto riguarda l'omicidio del caporale dell'esercito Said Ghozlani, avvenuto nel novembre 2016 nella regione del monte Mghila, vicino al confine con l'Algeria.
La vittima fu trovata decapitata nella sua casa in quella regione, che costituisce un nascondiglio per gli islamisti.
Il gruppo Daesh ha rivendicato l'omicidio del militare.
Nello stesso caso il tribunale di Tunisi ha condannato al carcere altre 15 persone accusate di coinvolgimento nell'omicidio, con pene che vanno dai 32 ai 44 anni di reclusione.
(Fonti: Reuters, Arab News, 14/01/2022)
Per saperne di piu' :

PAKISTAN: RAGAZZA CONDANNATA A MORTE PER AVER INVIATO CON WHATSAPP CARICATURE DI MAOMETTO
Una giovane musulmana è stata condannata all’impiccagione in Pakistan il 19 gennaio 2022 per aver inviato un messaggio di testo blasfemo e caricature del profeta Maometto tramite WhatsApp, ha comunicato il tribunale di Rawalpindi.
Aneeqa Ateeq, 26 anni, è stata arrestata nel maggio 2020 e accusata di aver pubblicato "materiale blasfemo" come suo stato su WhatsApp, ha detto il tribunale.
Quando un amico l'ha esortata a cambiare lo stato, la ragazza gli avrebbe invece inoltrato il contenuto.
Le caricature di Maometto sono proibite dall'Islam.
In base alla sentenza, che è stata emessa nella città di Rawalpindi, la ragazza dovrà essere “appesa per il collo fino alla morte".
Il tribunale ha anche emesso nei suoi confronti una condanna a 20 anni di reclusione.
Secondo la Commissione USA sulla Libertà Religiosa Internazionale, sono fino a 80 le persone incarcerate in Pakistan con l'accusa di blasfemia – metà delle quali condannate all’ergastolo o a morte.
Mentre molti casi coinvolgono musulmani che accusano altri musulmani, gli attivisti per i diritti segnalano che le minoranze religiose, in particolare i cristiani, sono spesso coinvolte nel fuoco incrociato, con accuse di blasfemia utilizzate per regolare conti personali.
(Fonti: AFP, 19/01/2022)







 

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