Nessuno tocchi Caino - 50 ANNI FA L’AMERICA ABOLI’ LA PENA CAPITALE, MA SOLO PER UN POCHINO

Nessuno tocchi Caino News

Anno 22 - n. 27 - 09-07-2022

Contenuti del numero:

1.  LA STORIA DELLA SETTIMANA : 50 ANNI FA L’AMERICA ABOLI’ LA PENA CAPITALE, MA SOLO PER UN POCHINO
2.  NEWS FLASH: HA LOTTATO PER IL DIRITTO ALLA SPERANZA, ORA PER IL DIRITTO ALLA SALUTE
3.  NEWS FLASH: WILLY MONTEIRO, PERCHÉ IL CARCERE FINO ALLA MORTE PER I FRATELLI BIANCHI È UNA CRUDELTÀ INSENSATA
4.  NEWS FLASH: SINGAPORE: IMPICCATI DUE DETENUTI PER TRAFFICO DI DROGA
5.  I SUGGERIMENTI DELLA SETTIMANA : DESTINA IL TUO 5X1000 A NESSUNO TOCCHI CAINO


50 ANNI FA L’AMERICA ABOLI’ LA PENA CAPITALE, MA SOLO PER UN POCHINO
Valerio Fioravanti su Il Riformista dell’8 luglio 2022

Il 29 giugno 1972 la Corte Suprema degli Stati Uniti dichiarò incostituzionale la pena di morte. Nel 50° anniversario della famosa sentenza Furman v. Georgia ne hanno scritto in tanti. A noi italiani francamente interessa poco, e non siamo nemmeno molto sicuri che le sentenze di costituzionalità servano a qualcosa, perché in Italia in effetti restano ferme sui libri, e sortiscono scarsi effetti. Però possiamo approfittarne per fare un riassunto della comunque interessante situazione della pena di morte nel Paese “più potente del mondo”.
La fede assoluta che alcuni settori degli Stati Uniti hanno nel concetto di “punizione durissima” deve interessarci, non è opportuno che rimanga relegata ai buoni sentimenti di chi lavora nelle ONG, perché non c’è una grande differenza tra i principi istitutivi secondo cui molti statunitensi vogliono punire i propri cittadini “sbagliati”, e il desiderio di punire anche il resto del mondo quando “sbaglia” anch’esso.
La sentenza del ’72 riconosceva che la vaghezza delle leggi accordava alle giurie popolari poteri discrezionali troppo ampi, che sconfinavano nell’arbitrio. A quell’epoca, infatti, come un retaggio dei “linciaggi” del passato, in molti Stati si poteva emettere una condanna a morte anche solo per rapimento o per stupro. Ovviamente in quegli anni l’elemento razziale era particolarmente rilevante, e per “stupro” si intendeva spesso un uomo nero che faceva sesso con una donna bianca. Molte giurie consideravano questa cosa “stupro” a prescindere anche dalla consensualità.
La Corte Suprema dal 1965 in poi aveva già emesso una serie di sentenze parziali, ma nel 1972 mise ordine alle proprie deliberazioni e ne emise una complessiva, e dichiarò incostituzionali le leggi di 40 Stati e del governo federale, e ridusse automaticamente all’ergastolo le 629 condanne a morte allora esistenti. Fu una sentenza elaborata, emessa con la maggioranza minima: 5-4. Due dei componenti, Brennan e Marshall (il primo nero nominato alla Corte Suprema) sostenevano che era la pena di morte di per sé a essere incostituzionale, altri tre sostennero che era il modo in cui veniva amministrata a non essere corretto, e gli altri quattro, i “contrari”, ammisero che c’erano degli elementi di “arbitrarietà”, ma in una misura accettabile, in quanto ogni procedimento giudiziario è in qualche misura “arbitrario”.
Gli ottimisti scrissero che gli Stati Uniti avevano abolito la pena di morte. I pragmatici invece si misero al lavoro, e dopo soli quattro anni, modificate le varie leggi, ottennero, nel luglio 1976, un’altra sentenza “storica”, Gregg v. Georgia, votata 7-2: si poteva ricominciare a emettere condanne a morte.
Il combinato disposto tra le sentenze parziali e “Furman” aveva bloccato tutte le esecuzioni negli Stati Uniti dal 1967 al 1977.
La prima persona giustiziata nel “nuovo corso” fu Gary Gilmore, che volle creare un certo scandalo e affrettò la procedura, e si presentò volontariamente alla fucilazione, in Utah, lo Stato mormone, il 17 gennaio 1977. La storia di Gilmore venne raccontata in un romanzo da Norman Mailer, che con “Il canto del boia” vinse il Premio Pulitzer.
A parte Gilmore, le uccisioni ripartirono molto lentamente, e nei primi sei anni furono giustiziate solo sette persone. Poi la macchina infernale terminò il rodaggio, e nel 1984 si arrivò a 21 esecuzioni, che diventarono 98 nel 1999, il record nell’epoca post-Furman, e da lì iniziò un calo costante: 60 nel 2005, 39 nel 2013, 25 nel 2018 e 17 nel 2020, 10 delle quali fortemente volute da Trump in campagna elettorale.
Nel 2021 le esecuzioni sono state 11 e nei primi 6 mesi di quest’anno 7.
Nel frattempo 23 Stati hanno abolito la pena di morte, comprese le due “capitali”, Washington e New York.
Dal 1977 a oggi sono state emesse complessivamente 9.763 condanne a morte ed effettuate 1.547 esecuzioni. Già solo questo fatto, che in media solo una condanna su sei arrivi davvero all’esecuzione, conferma che molto è affidato al caso: a parità di reato farà la differenza la geografia, la razza, il censo, l’ignoranza, la malattia mentale, il quoziente intellettivo.
Come sappiamo tutti, oltre l’80% delle esecuzioni sono negli Stati del Sud, e il Texas da solo ne ha il 37%. Questi Stati hanno una vera a propria “cultura” della durezza giudiziaria. Considerato però che a fronte di tanta severità sono e rimangono la parte degli Stati Uniti con il più alto tasso di omicidi, forse il termine più appropriato sarebbe “fede ferrea”. Quando si insiste a fare qualcosa anche se non funziona, evidentemente è “fede”. Malriposta, ma fede.
 
NESSUNO TOCCHI CAINO - NEWS FLASH

HA LOTTATO PER IL DIRITTO ALLA SPERANZA, ORA PER IL DIRITTO ALLA SALUTE
Antonella Mascia* su Il Riformista dell’8 luglio 2022

Tracollo sanitario nella casa di reclusione di Sulmona: a denunciarlo è un detenuto, Marcello Viola, il quale ha già presentato invano articolate richieste d’intervento a tutte le autorità amministrative e sanitarie nazionali e locali competenti. Viola è un detenuto noto. È l’ergastolano che ha dato il nome alla sentenza contro l’Italia della Corte europea dei diritti dell’uomo che ha affermato il “diritto alla speranza” per tutti i condannati al fine pena mai. Un diritto che, dopo la storica sentenza, a lui e ad altre centinaia di ergastolani ostativi viene ancora negato. Non solo il diritto alla speranza, nel carcere in cui “vive” Marcello e in molti altri, viene negato anche un altro fondamentale diritto: il diritto alla salute.
Marcello Viola denuncia che per Sulmona non è mai stata costituita l’Unità operativa complessa mentre esiste ancora e soltanto un Servizio aziendale di medicina penitenziaria, caratterizzato da disorganizzazione e carenza cronica di medici, specialisti, infermieri e operatori socio-sanitari.
Denuncia che dal mese di ottobre 2021 le visite mediche presso l’istituto si svolgono solo una volta alla settimana per un numero massimo di quindici detenuti. Inoltre da anni è impossibile poter avere una visita ordinaria con specialisti in ortopedia e in otorinolaringoiatria, mentre le visite urologiche e di ecografia sono saltuarie e molto limitate per cui solo in caso in cui vi sia l’urgenza di una visita specialistica il detenuto può accedere al medico presso una struttura esterna. Ma in questo modo si nega, di fatto, una prevenzione efficace delle malattie e accade spesso che i detenuti ricevano le cure solo a uno stadio avanzato della malattia, con rischi gravi per la salute.
Denuncia che vi sono gravi criticità legate alla disorganizzazione del servizio sanitario in carcere e queste hanno come conseguenza ritardi non solo per fissare le visite strumentali e specialistiche in esterno, ma anche quelle previste all’interno dell’istituto. Così i detenuti sono costretti a presentare anche quatto o cinque volte consecutive la medesima richiesta ai medici di guardia perché non esiste alcuna forma di registrazione informatica dell’attività svolta: mancano i computer presso gli ambulatori dove i medici eseguono le visite, mentre quelli in dotazione ai medici di guardia non hanno programmi per trascrivere l’attività medica svolta in occasione della visita.
Marcello Viola ha sollecitato più volte la possibilità di attivare anche per Sulmona la telemedicina, meccanismo previsto per altre realtà esistenti nella Regione Marche, ma non ha mai avuto risposta.
Denuncia poi che il servizio di fisioterapia, che era sempre stato attivo a Sulmona, è stato dimezzato quando la maggior parte dei detenuti sono anziani e ristretti da alcuni decenni o anche più, con patologie croniche e preminentemente ortopediche. Adesso l’attesa per l’accesso alla fisioterapia è di circa otto o dieci mesi con gravi conseguenze sulla salute dei pazienti.
Denuncia inoltre che a maggio 2022 sono stati licenziati tutti gli operatori socio-sanitari, nonostante la loro professionalità e senza tener conto che in periodo di pandemia hanno svolto un eccellente lavoro con grande dedizione. Peraltro il vuoto venutosi a creare non sembra possa essere colmato con altro personale e i pochi infermieri presenti non potranno di certo svolgere l’attività degli operatori socio-sanitari licenziati.
Denuncia infine che il servizio di psichiatria è stato di recente ridotto e ridimensionato e che non c’è accesso a farmaci salvavita.
Marcello Viola ritiene che tutte queste criticità incidano significativamente sul diritto alla salute e sulla dignità stessa delle persone recluse e che purtroppo trasformano chi è detenuto in una persona diversa con diritti diversi. Ricorda di aver già chiesto a più riprese l’intervento delle autorità competenti per permettere il miglioramento dell’accesso alle cure per le persone recluse, ma non ha ricevuto alcuna risposta in concreto.
Per tutte queste ragioni e richiamando che l’art. 32 della Costituzione tutela la salute di tutti e quindi anche delle persone ristrette, dal 28 giugno 2022 Marcello Viola ha iniziato lo sciopero del vitto a oltranza fino a quando i disservizi denunciati non saranno risolti.
Sulle carenze del sistema sanitario alle persone detenute vi sono denunce dei Garanti regionali e del Garante nazionale e sul tema si sta interessando anche la Corte europea dei diritti dell’uomo che il 9
maggio 2022 ha comunicato diversi casi allo Stato italiano aventi a oggetto la mancanza di adeguate cure mediche in carcere. In particolare, facendo riferimento agli articoli 3 e 8 della Convenzione, i Giudici di Strasburgo chiedono alle autorità italiane se abbiano fornito gli esami, le cure e gli interventi chirurgici richiesti. Dobbiamo attendere un’altra sentenza “Viola verso Italia” per porre rimedio alla disastrosa situazione della sanità penitenziaria nel nostro Paese?

* avvocato difensore di Marcello Viola

WILLY MONTEIRO, PERCHÉ IL CARCERE FINO ALLA MORTE PER I FRATELLI BIANCHI È UNA CRUDELTÀ INSENSATA
Elisabetta Zamparutti su Il Riformista del 5 luglio 2022

Marco e Gabriele Bianchi sono due fratelli. Sono stati condannati per un crimine odioso che parla in modo tremendo al nostro cuore: la morte di Willy Monteiro per pestaggio. Vengono in mente altri fratelli: Caino e Abele. Solo che la fratellanza, nella versione contemporanea, non è tra vittima e carnefice ma tra carnefici.
Personalmente trovo la notizia della condanna all’ergastolo dei fratelli Bianchi agghiacciante tanto quanto quella del reato commesso. È agghiacciante pensare che viviamo in uno Stato che pratica una pena così crudele, il carcere fino alla morte. E degrada così la giustizia a vendetta. Uno Stato che cede alla aberrante, violenta logica che al male si possa e si debba rispondere con altro male finanche nella forma della vendetta perpetua del fine pena mai.
È allo Stato che allora mi sento di rivolgere il nostro Nessuno tocchi Caino affinché nel nome di Abele, per difendere Abele, non diventi esso stesso Caino. Uno Stato-Caino che pratica, magari non più la pena di morte, ma la pena fino alla morte. Lo dico perché sono profondamente convinta che il modo in cui trattiamo Caino o i Caini, come in questo caso, è il modo in cui trattiamo Abele. Perché la violenza inflitta ad uno si ripercuote inevitabilmente nell’altro o negli altri. E ritenere che la vita stroncata di Willy possa trovare pace in una giustizia che manda per sempre in galera i suoi assassini penso sia una menzogna.
Perché occorre sempre cercare forme tali da interrompere la catena perpetua del male che chiama altro male senza rassegnarsi mai a ciò che ci abbruttisce, a ciò che ci degrada ad essere animali da giungla. Il pensiero nonviolento aiuta in questo senso. Ha aiutato ad abolire la pena di morte, sta aiutando ad abolire la pena fino alla morte. Perché l’ergastolo va abolito. Ai condannati all’ergastolo, ai Caini, va invece il nostro Spes contra spem affinché decidano di cambiare sé stessi, convertire la loro vita dal male al bene, dalla violenza alla nonviolenza.
In questo senso ci viene incontro Aldo Moro, il suo schierarsi contro l’ergastolo e il suo straordinario dire e cercare “non un diritto penale migliore ma qualche cosa di meglio del diritto penale”.

SINGAPORE: IMPICCATI DUE DETENUTI PER TRAFFICO DI DROGA
Due detenuti sono stati impiccati a Singapore il 7 luglio 2022 per traffico di droga, portando a quattro le esecuzioni praticate quest'anno nella città-stato, nonostante le crescenti richieste di abolire la pena di morte.
Gli attivisti hanno informato che il Dipartimento carcerario ha consegnato i beni e i certificati di morte del cittadino malese Kalwant Singh, 31 anni, e del singaporiano Norasharee Gous, 48 anni, alle rispettive famiglie, dopo la loro esecuzione.
Kalwant, condannato nel 2016 per aver introdotto eroina a Singapore, è stato il secondo malese a essere giustiziato in meno di tre mesi nella città-stato.
Alla fine di aprile, l'impiccagione di un altro malese ha suscitato proteste internazionali perché si ritiene avesse una disabilità mentale.
Kalwant aveva presentato un appello dell'ultimo minuto sostenendo di essere un semplice corriere e di aver collaborato con la polizia, tuttavia l’appello è stato respinto dalla Corte suprema di Singapore, hanno detto gli attivisti.
In una dichiarazione del 5 luglio, le autorità di Singapore avevano affermato che Norasharee e Singh - entrambi riconosciuti colpevoli di traffico di droga e condannati alla pena di morte obbligatoria - avevano esaurito i loro appelli legali.
Entrambi si trovavano nel braccio della morte da sei anni, durante i quali numerosi attivisti avevano chiesto clemenza.
Come ricordato dal Central Narcotics Bureau, erano stati condannati a morte nel giugno 2016.
Singh era stato ritenuto colpevole di possesso di 60,15 g di eroina e traffico di 120,9 g di sostanza, mentre Norasharee era stato condannato per aver indotto un uomo a trafficare 120,9 g di eroina.
A Singapore, il traffico di una certa quantità di droga, ad esempio 15 g di eroina, si traduce in una condanna a morte obbligatoria ai sensi della Legge sull’Abuso di Droghe, sebbene la legge sia stata recentemente modificata per consentire a una persona colpevole di sfuggire alla pena di morte in determinate circostanze.
Gli osservatori affermano che la pena di morte di Singapore ha per lo più colpito corrieri di basso livello e ha fatto poco per fermare i trafficanti di droga e le organizzazioni criminali. Tuttavia il governo di Singapore difende la misura come necessaria per proteggere i suoi cittadini e afferma che a tutti i giustiziati è stato concesso pienamente il giusto processo nel rispetto della legge.
Altri quattro trafficanti di droga, tra cui altri due malesi, avrebbero dovuto essere impiccati in precedenza, ma le loro esecuzioni sono state rinviate dopo la presentazione di ricorsi.
(Fonti: AP, CNN, 07/07/2022)

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