Nessuno tocchi Caino News - MARYAM, CHI HA IL CORAGGIO DI SCAGLIARE LA PRIMA PIETRA?

NESSUNO TOCCHI CAINO NEWS
 
Anno 22 - n. 29 - 23-07-2022

Contenuti del numero:

1.  LA STORIA DELLA SETTIMANA : MARYAM, CHI HA IL CORAGGIO DI SCAGLIARE LA PRIMA PIETRA?
2.  NEWS FLASH: IL TEMPO E LO STUDIO MATTO HAN RESO UN CARCERATO UN LETTERATO
3.  NEWS FLASH: SINGAPORE: QUINTA ESECUZIONE IN MENO DI QUATTRO MESI
4.  NEWS FLASH: NIGERIA: 3.145 DETENUTI NEL BRACCIO DELLA MORTE
5.  NEWS FLASH: SVEZIA: TRIBUNALE DI STOCCOLMA CONDANNA ALL'ERGASTOLO L’IRANIANO HAMID NOURY PER ‘GRAVI CRIMINI CONTRO IL DIRITTO INTERNAZIONALE’ E ‘OMICIDIO’
6.  I SUGGERIMENTI DELLA SETTIMANA : DESTINA IL TUO 5X1000 A NESSUNO TOCCHI CAINO


MARYAM, CHI HA IL CORAGGIO DI SCAGLIARE LA PRIMA PIETRA?
Sergio D’Elia su Il Riformista del 22 luglio 2022

La caduta del regime di Omar al-Bashir nell’aprile 2019 aveva fatto ben sperare. Dopo trent’anni di regime condotto col pugno di ferro e la legge della Sharia, il colpo militare in Sudan avrebbe, se non altro, potuto segnare la fine delle punizioni coraniche. Ma il “nuovo” regime non ha cambiato registro. A fianco del Codice militare sudanese, l’esercito ha lasciato in vita il Codice penale islamico.
Con esso è restata in vigore la pena capitale anche per i crimini di Hudud, considerati i più gravi, perché sono rivolti contro Allah.
Apostati, ladri, rapinatori, adulteri, calunniatori e consumatori di alcolici rischiano ancora le sanzioni più arcaiche della storia dei delitti e delle pene. Dall’amputazione di mani e piedi alla fustigazione, dalla morte tramite impiccagione alla morte per lapidazione.
Tra le punizioni islamiche, la lapidazione è la più terribile. Il condannato è avvolto da capo a piedi in un sudario bianco e interrato. La donna è interrata fino alle ascelle, mentre l’uomo fino alla vita. Un carico di pietre è portato sul luogo e funzionari incaricati – in alcuni casi anche semplici cittadini autorizzati dalle autorità – eseguono la lapidazione. La morte deve essere lenta e dolorosa, per cui le pietre non devono essere così grandi da provocarla con uno o due colpi. Se il condannato riesce in qualche modo a sopravvivere alla lapidazione, sarà imprigionato per almeno 15 anni ma non verrà giustiziato. Tra i diciassette Paesi dove la lapidazione è prevista dalla legge o praticata di fatto compare anche il Sudan.
Nel sud del Paese, lo scorso 26 giugno un tribunale di Kosti, nello Stato del Nilo Bianco, ha condannato a morte tramite lapidazione Maryam Alsyed Tiyrab, una donna di 20 anni accusata di adulterio. Si sa molto poco della sua vita personale e della sua famiglia, se non che lei e suo marito si erano lasciati e lei era tornata a casa.
Grazie all’organizzazione per i diritti umani Centro africano per gli studi su pace e giustizia, si sa che le autorità sudanesi hanno compiuto diverse irregolarità che hanno contaminato anche le indagini e il processo. La polizia l’ha presa in custodia, gli inquirenti hanno indagato e interrogato, la donna avrebbe confessato. Nessun avvocato di fiducia l’avrebbe difesa davanti a poliziotti e magistrati. Nessuno l’avrebbe informata che le sue parole durante l’interrogatorio sarebbero state usate contro di lei in tribunale.
A seguito della confessione da lei resa durante l’interrogatorio, il verdetto del tribunale era solo una formalità. L’adulterio è considerato un reato grave nel Paese, un crimine contro la “morale pubblica” e la “virtù della donna”. Seduta stante, il tribunale ha emesso una condanna alla lapidazione.
Una pena di morte per adulterio non veniva comminata in Sudan dal 2013, quando una donna nel Kordofan meridionale è stata arrestata per adulterio e condannata alla lapidazione.
La sentenza nei confronti di Maryam segna un ritorno al passato, ai tempi del terrore politico e penale imposto dalla dittatura di Omar al-Bashir. Essa deve essere ancora approvata dalla Corte suprema, che ha una storia di ribaltamento delle decisioni di lapidazione contro le donne condannate. Ma, intanto, la donna rimane in attesa… che qualcuno scagli la prima pietra.
A coloro che gli avevano condotto un’adultera con la speranza che egli ordinasse di lapidarla – racconta il Vangelo secondo Giovanni: 8,3[1] – Gesù Cristo disse «chi tra voi è senza peccato scagli la pietra per primo». Nessuno osò scagliare pietre. Tutti, a partire da quelli più anziani, abbandonarono il proposito e si ritirarono in pace. Una parabola perfetta contro la morte per lapidazione: siano usate, le pietre, per costruire case, ponti, città, non per “fare giustizia”, “reprimere il vizio” e “promuovere la virtù”.
A ben vedere, è una parabola che va oltre la giustizia che lapida a morte. È un monito a “non giudicare” l’altro prima di aver fatto un esame di coscienza di se stesso. Ancor di più, è un invito ad abbandonare la logica manichea del diritto penale, della lotta tra il bene e il male, del delitto e del castigo. Un abisso di umanità e civiltà divide la buona novella di duemila anni fa dalla storia – non malsana, ma ordinaria – della giustizia contemporanea. Quella degli avvisi di garanzia, dei giusti processi, dei giudizi definitivi e degli umani castighi, notificati, celebrati, lanciati come se non fossero, anch’essi, pietre mortali. A volere essere umani e civili, occorrerebbe definitivamente uscire dal “sistema di lapidazione” insito nel giudizio, dal principio di diritto penale da cui tutto origina e da cui tutto consegue in una catena senza fine di violenze, sentenze, sofferenze.

---------

NESSUNO TOCCHI CAINO - NEWS FLASH

IL TEMPO E LO STUDIO MATTO HAN RESO UN CARCERATO UN LETTERATO
Fabio Cavalli* su Il Riformista del 22 luglio 2022

La lettura del romanzo Sofia aveva lunghi capelli di Giuseppe Perrone (Roma, Castelvecchi, 2021) evoca immediatamente la parola tormento. Variazioni sul tema del tormento. Dal latino torquēre derivano le espressioni verbali torcere, torturare, tormentare e anche torto, aggettivo e sostantivo.
Giordano Bruno descrive in commedia la “torcitura dei panni di bucato”: strizzati dopo il lavaggio attraverso trazione e contorsione. La sperimenterà poi nella tragedia della sua vita e morte. Contorto è un’altra derivazione diretta. Così come la estorsione di una confessione obtorto collo. Tormentato è il paesaggio che si para di fronte al Petrarca nell’Ascesa al monte Ventoso nella IV Lettera familiare. Tormentata è la coscienza del reo. E lo è l’amore difficile. Il mal di denti è tormentoso. Un’insistente canzone dell’estate è un tormentone.
Il libro di Perrone è una mirabile alternanza di variazioni su due temi: il tormento della coscienza; il tormento degli amori familiari. Inesauribile, sorprendente sequenza di andate e ritorni dentro lo spazio chiuso, metaforicamente e fisicamente.
Chi ha frequentato un carcere, anche da volontario, sa cosa vuol dire contare passo passo la diagonale di una cella di quattro metri quadri, per decenni.
In tanti hanno cercato di descrivere quello stato di tormento. Dovremmo scomodare grandi nomi della letteratura: coloro che furono prima poeti e poi incarcerarti. Evitiamo le citazioni comparative. Chi volesse accertarsi dello stato osmotico fra esperienza letteraria ed esperienza carceraria può utilmente leggere, fra gli altri, il bel volume di Daria Galateria Scritti galeotti – Letterati in carcere (Ed. Eri, 2000). Tranne rari casi, però (J. Genet, P. F. Lacenaire), la condanna è successiva alla poesia. Prima si impara a scrivere alta letteratura e poi la malasorte conduce ad applicare quella scrittura all’esperienza di condannati alla galera o al patibolo.
Fra i rari casi di osmosi inversa c’è il romanzo di Perrone che passa dal crimine alla letteratura lasciando interdetto il lettore.
Chi non conosce la biografia dell’Autore, leggendo il romanzo certamente si interroga su come si riesca a variare il tema con tali sottigliezze retoriche sul sottostante basso continuo barocco del tormento. Probabilmente ci si riesce perché il tempo e lo studio matto hanno fatto di un condannato un letterato. Una per tutte: «La scolarizzazione è più importante della collaborazione», affermazione cui segue un dialogo teso, tormentato appunto, nel quale viene detto: «Con tutto il rispetto, ma anche senza. Caro Marco, collaborare costa. Mandare in galera la gente al proprio posto non è immune da rischi» – «Lo so!». Ci troviamo dunque al centro della questione posta da Perrone, che si può riassumere così: tu, Stato, dopo decenni, stai continuando a tormentare me, al posto di un altro me, che ci pensa già da sé a tormentarsi per sempre.
Si presti attenzione al punto, perché è sottile: il patto di collaborazione con le istituzioni Perrone l’ha sottoscritto, l’ha rispettato, e gli è costato la fatica (non il tormento) di quattro percorsi di laurea e di varie pubblicazioni, fra le quali quest’ultima. Scrive: «Le classi dirigenti dei Paesi si formano sui banchi di scuola e non negli uffici delle procure della Repubblica.» Perrone non soltanto lo ha sottoscritto, il patto. Ne è stato concretamente conseguente.
Nel tortuoso percorso, come grida che echeggiano da un passo all’altro del suo monte Ventoso, si leggono passi di letteratura. Ad esempio, la gaddiana cronaca della morte annunciata del padre nella stanza: «Il televisore spento armonizzava lo stato di quiete a tratti interrotta dal rumoreggiare del frigorifero. Di colpo una insofferenza strisciante colse le donne. Istintivamente si alzarono. Affrettarono i passi. La casa sembrò come riprendere vita, il rumore della maniglia della camera matrimoniale abbassata con forza provocò un rinculo. Oltrepassata la porta della camera, “papà è morto” disse la figlia. E così era stato.»
Non ho dubbi che questa sia un’ottima pagina, e il suo autore debba essere tenuto d’occhio; più dagli Editori che dalle Procure.

* Regista, fondatore del Teatro Libero di Rebibbia


SINGAPORE: QUINTA ESECUZIONE IN MENO DI QUATTRO MESI
Il detenuto Nazeri bin Lajim, che era stato condannato a morte per traffico di droga cinque anni fa, è stato impiccato la mattina del 22 luglio 2022 nella prigione di Changi a Singapore.
Il 64enne singaporiano è stato giustiziato così come previsto, ha comunicato il servizio carcerario della città-stato con una e-mail inviata all'agenzia di stampa AFP.
Singapore ha eseguito una serie di impiccagioni negli ultimi mesi, alimentando un dibattito sul continuo ricorso alla pena di morte da parte del Paese, in particolare nei casi di droga.
"Cinque persone sono state impiccate quest'anno a Singapore in meno di quattro mesi", ha dichiarato Chiara Sangiorgio, esperta di pena di morte di Amnesty International, sottolineando che tutti i giustiziati avevano commesso reati legati alle droghe. "Questa ondata incessante di impiccagioni deve cessare immediatamente".
Il giorno prima dell’impiccagione, Nazeri aveva chiesto, in collegamento dal carcere tramite Zoom, una sospensione dell'ultimo minuto, per consentirgli di trovare un avvocato. M. Ravi, che lo aveva rappresentato in precedenza, è stato infatti privato dell'abilitazione all'esercizio della professione forense. Il tribunale ha respinto la richiesta di Nazeri.
Nazeri era stato arrestato nel 2012 dopo essere stato trovato con 33,39 g di eroina. Singapore considera un trafficante chiunque abbia più di 15 g di droga e impone una condanna a morte obbligatoria.
Singapore sostiene che la pena di morte sia necessaria per scoraggiare la criminalità e il traffico di droga.
(Source: Aljazeera, 22/07/2022)
Per saperne di piu' :

NIGERIA: 3.145 DETENUTI NEL BRACCIO DELLA MORTE
Ci sono non meno di 3.145 detenuti nel braccio della morte dei centri detentivi di tutta la Nigeria, ha riportato il giornale PUNCH il 10 luglio 2022.
Il portavoce del Servizio Penitenziario nigeriano, Umar Abubakar, nella sua risposta a un'inchiesta del giornale, ha affermato che nel braccio della morte ci sono 3.084 uomini e 61 donne.
Alcuni avvocati e attivisti per i diritti umani hanno costantemente espresso preoccupazione per il destino dei detenuti, poiché la maggior parte dei governatori statali si rifiuta di firmare la condanna a morte, portando all'aumento del numero di detenuti nel braccio della morte. Alcuni di loro hanno suggerito la conversione della condanna a morte in ergastolo, mentre altri hanno sostenuto che non avendo il governo intenzione di firmare ordini di esecuzione, la pena capitale dovrebbe essere cancellata dalla Costituzione e dalle leggi.
Nel frattempo, nonostante le denunce di diverse parti interessate, inclusi avvocati e autorità dell’amministrazione carceraria, per la congestione delle strutture, il numero dei detenuti continua a crescere, alimentando la congestione e rendendo difficile la gestione dei centri.
I dati sul sito web delle autorità carcerarie indicano che al 4 luglio il totale di detenuti nel Paese è 74.675, di cui 52.714 in attesa di processo e 21.961 condannati. Il numero totale di detenuti maschi è di 73.139 mentre ci sono 1.536 detenute donne.
(Fonti: Punchng, 10/07/2022)

SVEZIA: TRIBUNALE DI STOCCOLMA CONDANNA ALL'ERGASTOLO L’IRANIANO HAMID NOURY PER ‘GRAVI CRIMINI CONTRO IL DIRITTO INTERNAZIONALE’ E ‘OMICIDIO’
Il tribunale distrettuale di Stoccolma il 14 luglio 2022 ha condannato all'ergastolo l’iraniano Hamid Noury per "gravi crimini contro il diritto internazionale" e "omicidio".
Il giudice Thomas Sanders nel leggere il verdetto ha detto: "Si tratta di crimini eccezionalmente gravi, e la sanzione non può essere altro che l'ergastolo".
Nel novembre 2019, un ex prigioniero politico iraniano, Iraj Mesdaghi, trasferitosi in Svezia, avvertì le autorità svedesi di aver riconosciuto, per strada, uno dei membri della cosiddetta “commissione della morte” del carcere di Gohardasht (più noto come Rajai Shahr). Il 9 novembre 2019 la polizia svedese fermò Hamid Noury all’aeroporto di Stoccolma.
Dopo 21 mesi di indagini, il 27 luglio 2021 è stato incriminato formalmente per circa 100 omicidi. Il processo è iniziato il 10 agosto 2021 davanti alla Corte Distrettuale di Stoccolma. L’imputato ha respinto tutte le accuse. Il 28 aprile il pubblico ministero aveva chiesto la condanna all’ergastolo, e oggi la corte ha emesso la sentenza.
Il principio di giurisdizione universale della Svezia consente ai suoi tribunali di processare una persona con accuse gravi come omicidio o crimini di guerra, indipendentemente da dove siano avvenuti i reati.
L'Iran ha condannato la decisione del tribunale svedese. "L'Iran è assolutamente certo che la sentenza di Nouri sia stata motivata politicamente e non abbia validità legale. La Svezia deve rilasciare Noury il prima possibile", ha detto il portavoce del ministero degli Esteri iraniano Nasser Kanaani in una conferenza stampa.
Come è noto, tutte le principali associazioni per i diritti umani che si occupano di Iran sostengono che nel 1988, un ordine diretto (un “ordine religioso”, una “fatwa”) dell’allora Guida Suprema del regime Ruhollah Khomeini, aveva disposto che “tutti i detenuti nelle prigioni iraniane che appartenevano o simpatizzavano con i Mojahedin del Popolo, e che restavano fedeli alle loro idee, dovessero essere giustiziati.
Noury è l'unica persona finora processata nelle esecuzioni di massa. Lo stesso presidente iraniano Ebrahim Raisi, ha fatto parte delle “Commissioni della morte”.
Si pone ora un altro problema legato alla prassi del regime iraniano di usare, in termini ricattatori, cittadini stranieri come, nel caso di specie, due cittadini svedesi-iraniani che sono nel braccio della morte in Iran. Uno di loro è il medico/ricercatore Ahmadreza Djalali, la cui esecuzione per “spionaggio a favore di Israele” è stata già più volte annunciata e poi rinviata.
Maryam Rajavi, la Presidente del Consiglio Nazionale della Resistenza Iraniana, l’organizzazione “erede” del MEK/PMOI, ha definito la sentenza ”un trionfo per la giustizia".
"La magistratura svedese ha condannato all'ergastolo Hamid Noury, uno degli autori del genocidio e dei crimini contro l'umanità nel massacro del 1988", ha affermato la signora Rajavi. "Accolgo con favore la sentenza della magistratura svedese e ribadisco che il perseguimento del leader supremo Ali Khamenei e del presidente del regime Ebrahim Raisi è ora più imperativo che mai".
(Fonte: Radio Farda, irannewsupdate.com, Ansa, Euronews, 15/07/2022)
 

Commenti

Post più popolari