intorno a "A Way Forward" dei Nation of Language

 

Eccole qui, uscite di getto due righe intorno a un album bellissimo come "A Away Forward" dei Nation of Language. Non è una recensione ma solo quello che mi è uscito dalla testa mentre lo riascoltavo tornato dal lavoro.


 

  • IN MANHATTAN: Sono sempre stato affascinato dai palazzi in rovina. Dagli scheletri di cemento armato che si riempiono di fantasmi, vagabondi, scritte, urla. Finestre rotte. Una porta. Una vasca da bagno. Al mare ogni duecento metri c'erano un albergo o una vecchia colonia abbandonati. Si potevano leggere Albergo del Sole. Colonia del Comune di Milano. Poi c'era la colonia Agip, struttura razionalista costruita durante il Fascismo. Perfetta, glaciale come sfondo. E lontane nel mare le piattaforme Eni per l'estrazione di Metano. In albergo a colazione ho incontrato un uomo che ci lavorava e che aspettava la sua famiglia. Sarebbero arrivati due giorni dopo. Lui si era preso due giorni solo per sè. Li trascorreva nella veranda o seduto al bancone a bere birra. Un pomeriggio mi ha chiesto come stavano andando le vacanze. Bene, ma mi sento a disagio. Lui mi ha detto che erano anni non riusciva più a stare in mezzo alla gente, a tutto quel movimento. Proprio in mezzo. Preferiva osservare. E intanto bere. Anche per questo sua moglie lo aveva mollato. Abbiamo bevuto insieme due birre da mezzo litro con della vodka come accompagnamento. Alla terza birra lui mi ha chiesto perché non ero in spiaggia a prendere il sole con la mia compagna. Gli ho risposto che c'era troppa gente in giro. Amo il mare ma anche la birra. Poi mi ha detto, Puoi provarci quanto vuoi ma quelle occhiaie non le puoi proprio nascondere. “In Manhattan You cannot have it all”

  • ACROSS THAT FINE LINE: ci ho messo cinque ore a scrivere la lettera di dimissioni. Scritta. Riscritta. E poi alla fine solo con l'aiuto della mia compagna ce l'ho fatta. Mi sono guardato indietro e mi è saluta l'angoscia per ciò che potrebbe accadermi nelle prossime settimane. Mesi. Faccio sempre più fatica a stare in mezzo alla gente. A parlare di me. A confrontarmi. Preferisco rimanere da solo. Sdraiato sul letto a piangermi addosso, bere birra e ascoltare musica come quando ero un ragazzino che non sapeva che fare del proprio futuro e avrebbe messo una firma per finire nella Legione Straniera piuttosto che all'università o rinchiuso in un ufficio o in una fabbrica. Sono ancora lo stesso che si sveglia alle due di notte e non riesce più a prendere sonno facendosi del male a furia di pensare e pensare e pensare.

  • WOUNDS OF LOVE: ho ricevuto un tuo messaggio che mi spieghi che sei tornata in Italia. Sono mesi, anni che continui a scrivermi per chiedermi come sto o se mi va di andare con te a un concerto. Mi chiedi di indovinare la persona con la quale sei uscita a Capodanno? E io che non rispondo o che cerco le parole giuste per non litigare. Ti dovrei scrivere che non so cosa vuoi più da me. Che per me sei ancora una figa che vorrei leccare e poi penetrare. Un culo da aprire con due dita e lasciarci dentro il mio sperma. Che vorrei morderti i capezzoli. Che ti pagherei una stanza dove potermi aspettare. E poi lasciarmi andare via. E tu continui a scrivere. E io a non risponderti. E poi cancellerò il tuo nome. Ma non farti bloccare. Lascia che tutto svanisca come deve svanire.

  • MIRANDA: lo sento lamentarsi ogni giorno della sua ragazza che lo tradisce. Urla che lei è una puttana e poi piange. Lo sento uscire per andare a comprarsi una bottiglia di vino o una confezione di otto di birre. E poi ubriacarsi fino alle 3 di notte e urlarti tutto il tuo disprezzo e poi tirare pugni al muro e maledirti e dirti Ti amo puttana e poi spiegarti che tu sei una brava persona, che non è vero tutto quello che leggono su whatsapp o che raccontano nelle storie su Instagram e lo sento giurarti che non è vero per un cazzo che sta scopando con Gaia e Lorena e io intanto accarezzo Emma che fa le fusa abbracciata a un topo di pezza e poi la sento che rientra dal lavoro e cerca una birra e mi bacia sulle labbra e mi dice, Se scende lo uccido e poi accende la tv su un documentario e mi dice, Ho voglia di scopare. Non mi interessa se sei depresso. Ho voglia di scopare. E allora ti guardo tutte le tue cicatrici, le tue vesciche, respiro il tuo sudore e facciamo silenzio.

  • THE GREY COMMUTE: ma oggi mi sento libero e mi viene da ballare come nel finale di questo pezzo e i Nation of Language mi hanno restituito il piacere di muovermi, di non vergognarmi del mio corpo che fa schifo al cazzo, di ballare e sorridere. Anche solo dentro casa. Libero per aver mollato il mio lavoro e lasciare un posto dove quando morì mia madre solo una thailandese, una vietnamita e una portoghese mi fecero le condoglianze. La vietnamita mi abbracciò. Manco mi pagarono quei giorni. Anzi me la fecero quasi pagare quell'assenza. Visto che eravamo di gennaio. E a gennaio il cinema è sempre pieno. E ogni volta che penso a tutto il cibo, alle bibite che getto nell'immondizia e che potrebbero sfamare una Nazione intera penso all'essenzialità di mia madre malata. I suoi gesti parchi. Le sue parole misurate. I suoi sorrisi di dolcezza. L'eleganza di chi non fa distinzione fra poveri e ricchi. Il suo corpo steso nella bara circondato da rose come atto di dolore e purificazione.

  • A FRACTURED MIND: e mentre mi sfondo di birre penso alle scogliere della Cornovaglia e a come mi piacerebbe avere una libreria che vendesse libri intrattabili e fuori mercato e a come non ho soldi e quello che mi rimane è pulire cessi o lavare piatti per il resto della gioranta ma che bello sarebbe tornare a Creta e farsi amare dal vento di Triopetra e tornare da quei due vecchi che ci prepararono sul momento dell'agnello e poi sono io che non ho più un intestino e che con tutti i soldi spesi in dipendenze mi sarei comprato un baracchino per vendere di notte cibo vegano e dischi e le poesie di Anne Sexton o Simone Cattaneo e poi penso alla nostra stanza d'albergo e noi due con la gatta che proprio non ce la facciamo ad andare a mangiare al ristorante e il senso di colpa che diventa il piacere di scomparire.

  • FORMER SELF: nelle ultime settimane è come se gli incubi volessero comunicarmi qualcosa. Quelli ricorrenti sembrano assopiti. Se ne sono fatti avanti altri più crudeli, gelidi. Come il bambino seduto dietro una scrivania che elenca tutti i miei fallimenti. E ride. E dietro di lui si fa avanti una maestra velata di nero che comincia a prendermi a scudisciate. Mi sveglio. Prendo dell'acqua. E me li sento addosso. Lei che dorme. La gatta che si fa avanti e mi si sdraia addosso. Fuori le sirene delle autoambulanze. Gli elicotteri che volano basso. Le sveglie di quelli che vanno al lavoro. La ragazza di sopra che ascolta Chopin e si fa di eroina. Mi metto alla finestra e vedo una ragazza che balla in vestaglia sul balcone mentre controlla il suo orto botanico casalingo.

  • WHATEVER YOU WANT: Cosa voglio da questa vita? Da me stesso? C'è davvero qualcosa che dovrei volere? Qualcosa di più? Qualcosa che non ho avuto? Qualcosa di misterioso? Perchè mi sento così spossato e senza energie. E quando mi guardo intorno provo solo tanto vuoto. E mi posso riempire solo di altro vuoto e birre e parole e discussioni su discussioni che non portano mai a nulla. E progetti fallimentari. E disamine su tutto e niente. E ho 43 anni. Mio zio è morto a 50 anni. E vorrei solo che la mia compagna vivesse con me per sempre. Che non morisse mai.

  • A WORD & WADE: 3 minuti scarsi che sono come un orgasmo, un abbraccio che non sai dare, un bacio che ci fa perdere tutti i treni, aerei, taxi, lavori possibili a questo mondo.

  • THEY'RE BECKONING: il libro che sto scrivendo parte da questa canzone. Che chiude uno dei dischi più belli che ho ascoltato in questi ultimi anni. Una canzone che sto ascoltando in loop da mesi e che mi piacerebbe un giorno ascoltare dal vivo. Voglio vedere dal vivo i Nation of Language. Ballare con loro. Farmi brillare il cuore e il viso insieme a loro. “All that I could hope for”.



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