Nessuno Tocchi Caino - IN UN SOLO GIORNO 3 IMPICCATI E 2 FUCILATI. RIECCO IL BOIA DI HAMAS

 Nessuno tocchi Caino News

Anno 22 - n. 34 - 17-09-2022

Contenuti del numero:

1.  LA STORIA DELLA SETTIMANA : IN UN SOLO GIORNO 3 IMPICCATI E 2 FUCILATI. RIECCO IL BOIA DI HAMAS
2.  NEWS FLASH: LA MIA PRIMA VOLTA IN UN CARCERE A INCROCIARE SGUARDI CHE CHIEDONO ASCOLTO
3.  NEWS FLASH: ASSEMBLEA A NAPOLI DI NESSUNO TOCCHI CAINO CON RITA BERNARDINI
4.  NEWS FLASH: MALESIA: VERSO L’ABOLIZIONE DELLA PENA DI MORTE OBBLIGATORIA
5.  NEWS FLASH: EGITTO: GRAN MUFTI APPROVA LE CONDANNE A MORTE DEL GIUDICE CHE UCCISE LA MOGLIE E DEL SUO COMPLICE
6.  I SUGGERIMENTI DELLA SETTIMANA :


IN UN SOLO GIORNO 3 IMPICCATI E 2 FUCILATI. RIECCO IL BOIA DI HAMAS
Sergio D’Elia su Il Riformista del 16 settembre 2022

Tre sono stati impiccati, altri due sono stati fucilati. In un solo giorno, lo Stato-Caino che detta legge nella Striscia di Gaza ha recuperato il tempo perduto. Da quando ha preso il potere nel 2007, Hamas aveva placato la sete di vendetta del suo popolo mandando ogni anno al patibolo almeno un paio di presunte spie del suo nemico giurato e assassini comuni. Dopo cinque anni di tregua, la “giustizia riparativa” della forca ha ripreso il suo corso mortale.
Per i musulmani, la domenica non è il giorno del Signore, riservato al riposo, all’amore, alla grazia. All’alba della prima domenica di settembre, il boia di Hamas è stato richiamato al lavoro per “giustiziare” cinque palestinesi condannati in casi diversi di omicidio e presunta collaborazione con Israele. A due di loro, entrambi membri delle forze di sicurezza palestinesi, è stato concesso il “privilegio” di essere uccisi da un plotone di esecuzione. Gli altri tre sono stati ammazzati come cani, con il cappio al collo. Tutte le condanne a morte sono state eseguite intorno alle cinque di mattina nell’Ansar Security Compound, nella parte occidentale della Città di Gaza. Il Ministero dell’Interno non ha fornito i nomi completi dei disgraziati, ha solo indicato le loro iniziali, l’età e descritto sommariamente il fatto.
Il primo a essere fucilato è stato K. S., un uomo di 54 anni, residente a Khan Yunis. Era in carcere dal 2015 e secondo Hamas nel 1991 aveva fornito a Israele “informazioni sui combattenti della resistenza, sul loro luogo di residenza e la posizione dei lanciarazzi”.
Anche N. A. era sospettato di essere una spia, ma non era un militare e quindi è stato impiccato. Aveva 44 anni ed era stato condannato per aver fornito nel 2001 informazioni di intelligence che avevano portato alla presa di mira e all’uccisione di civili da parte delle forze israeliane.
E. A. aveva 43 anni e abitava nella città di Gaza. Nel 2004 era stato incarcerato con l’accusa di rapimento e omicidio. Era evaso dal carcere e aveva commesso un altro rapimento e omicidio oltre a una rapina nel 2009. È stato impiccato.
Il quarto giustiziato per impiccagione, M. Z., aveva 30 anni ed era residente nel nord della Striscia di Gaza. Era stato arrestato nell’ottobre del 2013 per un omicidio a scopo di rapina.
J. Q. era un militare delle forze di sicurezza di Hamas e quindi non ha subito l’onta della forca. Ha avuto l’onore di finire davanti a un plotone di esecuzione. Aveva 26 anni ed era stato arrestato il 14 luglio scorso per aver ucciso un uomo e una ragazza e aver ferito altre 11 persone durante una lite familiare. Hamas ha detto che a tutti gli imputati è stato “concesso il pieno diritto di difendersi, secondo le regole di procedura, davanti a un tribunale competente”.
Nel caso di J. Q. il corso della giustizia è stato tumultuoso, e la sua esecuzione avvenuta a furor di popolo. Cittadini e funzionari palestinesi l’hanno invocata con violente manifestazioni di piazza e anche sui social network con un hashtag inequivocabile: #Retribution_Life, occhio per occhio. Il prigioniero non ha avuto il tempo di chiedere la grazia o la commutazione della pena.
Questa furia di esecuzioni in un solo giorno in una stretta striscia di terra non era mai successa. Non era neanche volta a pareggiare il piatto del bene con quello del male nella bilancia della giustizia. Per Hamas le esecuzioni intendevano soprattutto “raggiungere la pace e la stabilità nella società”, anche a costo della violazione della legge palestinese e dei valori universali della giustizia.
Dall’istituzione dell’Autorità Palestinese nel 1994, sono state eseguite 46 condanne a morte: 44 nella Striscia di Gaza e 2 in Cisgiordania. Di quelle effettuate a Gaza, 33 sono avvenute senza la ratifica del presidente palestinese, come prevede la legge nazionale.
Ma, a Gaza, il regolamento dei conti tra vittime e carnefici non passa sempre dalle aule di giustizia del regime islamista. Accade anche che persone sospettate, arrestate o condannate siano “giustiziate” sul campo: nel cortile di un carcere o di una moschea, nelle strade e nelle proprie case. Se la pena capitale “legale” dei tribunali militari e civili di Gaza è stata intermittente dal 2007 a oggi, la giustizia “fai da te” di Hamas, fuori dalla legge e dai codici, ha fatto il suo corso senza interruzioni. Senza timbri e carte bollate, la colpa, la sentenza e la pena sono state scritte dagli uomini mascherati su pezzi di carta affissi sui muri accanto ai cadaveri senza nome dei nemici dello “stato islamico”, dell’ordine costituito in nome di dio.

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NESSUNO TOCCHI CAINO - NEWS FLASH

LA MIA PRIMA VOLTA IN UN CARCERE A INCROCIARE SGUARDI CHE CHIEDONO ASCOLTO
Sarah Brizzolara su Il Riformista del 16 settembre 2022
Ho visitato per la prima volta un carcere nei giorni di ferragosto, come Consigliera Comunale di Monza. Qualche giorno prima, a San Quirico, nel carcere della mia città, un detenuto di 24 anni si era tolto la vita. Era in prigione dal 2018 e mancavano due anni al suo fine pena. Era il terzo suicidio da inizio anno nella Casa circondariale di Monza e la notizia aveva provocato una mezza rivolta di molti altri detenuti.
Ho visitato un luogo di confine, di transito, dove arrivano e stanno tutti coloro che la nostra comunità ha lasciato indietro. È uno specchio che riflette la società attuale, troppo frenetica per creare legami, aiuti e reti di supporto verso il prossimo. Indubbiamente il carcere di Monza, come tutte le altre carceri d’Italia, soffre del problema del sovraffollamento. Oltre la metà dei detenuti sono stranieri, e molti hanno enormi difficoltà culturali e linguistiche. Lo abbiamo visitato tutto. Dai blocchi nuovi a quelli più vecchi, i cui muri hanno visto passare più storie e più intrecci di vite. Sicuramente quello che colpisce sono le persone, il loro vissuto.
Non puoi fare a meno di riflettere sul perché non sei tu al loro posto. E ti senti sicuramente privilegiato. Perché sai che alla fine tu uscirai, e ad aspettarti ci sarà una casa con tutti i confort, che magari spesso sottovaluti.
Parli con i detenuti. Ti colpisce un ragazzo in particolare, della Repubblica Dominicana, che sta lì nella sua cella seduto e ti fissa con degli occhi pieni di rabbia. C’è tanta rabbia in carcere. Ma c’è anche tanta umanità. Parlando capisco che ha la mia stessa età e dice di essere dentro perché ha tentato due volte di compiere un omicidio. E li ti chiedi quali strade hai percorso tu così diverse rispetto a lui. E se magari potevi esserci tu al suo posto.
Ci sono varie sezioni super controllate. I lunghi corridoi vuoti che collegano le varie sezioni si chiamano tangenziali. Ho parlato con la direttrice e il capo degli agenti penitenziari. Ci hanno sottolineato tutti i problemi legati alla salute mentale che hanno i detenuti e le difficoltà e la carenza di personale per poter realizzare per loro delle terapie serie e con una prospettiva di lungo periodo. Il reparto psichiatrico è forse quello più emotivamente denso. Poche celle, singole, piccole e spoglie. Con persone dagli sguardi persi. Alcuni carcerati a un certo punto ci hanno con gentilezza fatto capire che era il momento per la loro partita a calcetto settimanale. Un momento magico.
A Monza alcuni detenuti possono partecipare a laboratori per imparare diversi lavori per reinserirsi un domani. Hanno un orto, possono lavorare con diverse aziende esterne per assemblare cartellette per la scuola e bulloni, lavorare i tessuti, scannerizzare gli Archivi storici della Cassazione di Milano e lavorare il legno per creare arredi in collaborazione con il Politecnico di Milano. Riguarda ancora troppo pochi, ma è una strada, fondamentale, importante.
Raccontare il carcere solo come un luogo di pazzi e di rivoltosi non aiuta a far entrare le aziende in questa realtà, ma credo che il Comune possa e debba implementare le reti con le aziende, contribuire a rilanciare progetti per rilanciare la serra e la sala della musica. E allora emergono gli sguardi. Sguardi di detenuti che hanno una prospettiva. Che vedono un orizzonte oltre i loro sbagli, quelle mura. Che vivono nelle celle più nuove nell’area dell’ex carcere femminile che è stato finito di ristrutturare a fine luglio. Sguardi. Sguardi di una speranza che chiama il nostro impegno.
E la necessità di far conoscere e far capire che se un detenuto in carcere riceve un trattamento umano e positivo, esce migliore; che ci sussurra che la paura crea solo odio e che quest’ultimo alimenta la contrapposizione; quella coscienza che ci sussurra che il diverso siamo noi e che il carcere è solo il modo per lavarci quella stessa coscienza nel momento in cui non è alimentata dalla conoscenza.
È molto facile l’appiattimento di tutto verso il basso, è facile dire che un delinquente deve andare in carcere e rimanerci, è facile schiacciare ancora più in basso chi striscia per terra. Di contro è facile anche scadere nel buonismo a prescindere, ci si sente redenti e fiduciosi del prossimo, unici. E quindi è anche facile e comodo mettere etichette e categorie, ci semplifica la vita, ci aiuta a mettere ordine nel nostro ragionamento. Ma non si può fare per gli esseri umani. Per gli esseri umani bisogna provare ad andare oltre, dare ad ognuno la possibilità di divenire, di essere diverso, di cambiare.

ASSEMBLEA A NAPOLI DI NESSUNO TOCCHI CAINO CON RITA BERNARDINI
Sabato 17 settembre 2022, a partire dalle 9:30, presso la PROODOS Cooperativa Sociale in Via Benedetto Brin 2 (Stazione Napoli Gianturco) si terrà un’Assemblea di Nessuno tocchi Caino dal titolo “Basta morte per pena!”.
All’evento prenderanno parte Sergio D’Elia, Elisabetta Zamparutti e Rita Bernardini che ha fatto 28 giorni di sciopero della fame per l’umanità e la civiltà nelle carceri italiane che sono tra le più affollate d’Europa e nelle quali quest’anno, al ritmo di uno ogni 5 giorni, sono avvenuti 59 suicidi, tanti quanti in tutto l’anno passato. La Presidente di Nessuno tocchi Caino ha interrotto lo sciopero tre giorni fa a seguito della decisione del capo del DAP Carlo Renoldi di emanare una circolare che consente un maggior numero di telefonate e di videochiamate tra i detenuti e le loro famiglie. Hanno aderito alla manifestazione l’Osservatorio Carcere dell’UCPI, le Camere penali di Napoli, di Aversa e di Torre Annunziata, il Movimento Forense, l’Associazione forense “Piero Calamandrei”, Riformismo oggi, Juris News e Il Carcere Possibile.

MALESIA: VERSO L’ABOLIZIONE DELLA PENA DI MORTE OBBLIGATORIA
Il governo malese ha deciso di sostituire la pena di morte obbligatoria con altri tipi di punizione per una serie di reati, ha ribadito il 14 settembre 2022 il ministro del Dipartimento del Primo Ministro Wan Junaidi Tuanku Jaafar.
Il dottor Wan Junaidi ha dichiarato che la decisione è stata presa dopo due serie di incontri, svolti il 6 settembre e il 14 settembre.
Le riunioni sono state tenute da una task force da lui presieduta, denominata Comitato Tecnico task force per le Sentenze Sostitutive della Pena di morte Obbligatoria.
Secondo l'agenzia di stampa Bernama, il governo ha approvato in linea di principio una proposta per sostituire le condanne relative a 11 reati che adesso prevedono la pena di morte obbligatoria.
Viene incluso uno relativo alla Sezione 39B del Dangerous Drugs Act, così come altri 22 reati che comportano una possibile condanna a morte a discrezione del tribunale, ha affermato il dottor Wan Junaidi.
La sezione 39B del Dangerous Drugs Act riguarda il traffico di droga.
Wan Junaidi ha anche annunciato una moratoria per 1.337 detenuti che sono stati precedentemente condannati a morte.
La decisione sarà sottoposta al Consiglio dei Ministri per essere poi presentata in seduta per l'approvazione. La prima lettura del disegno di legge è prevista per il 4 ottobre e la seconda lettura è prevista per il 22 novembre.
A giugno, il dottor Wan Junaidi aveva già reso noto che il governo malese aveva deciso di abolire la pena di morte obbligatoria e che sarebbe stata sostituita da altri tipi di punizione a discrezione del tribunale.
Questa decisione è stata raggiunta a seguito della presentazione di uno studio sulle condanne alternative alla pena di morte obbligatoria durante la riunione di Gabinetto dell'8 giugno.
Secondo Amnesty International, la condanna a morte è attualmente obbligatoria o possibile in Malesia per 33 reati.
I reati punibili con la morte nel Paese comprendono l'omicidio, traffico di droga, terrorismo, rapimento e possesso di armi da fuoco.
(Fonti: CNA, 14/09/2022)

EGITTO: GRAN MUFTI APPROVA LE CONDANNE A MORTE DEL GIUDICE CHE UCCISE LA MOGLIE E DEL SUO COMPLICE
Il Gran Mufti egiziano ha approvato le condanne a morte del giudice Ayman Haggag e di un suo collaboratore che sono stati riconosciuti colpevoli dell'omicidio della moglie di Haggag, nota presentatrice televisiva, ha riportato il quotidiano governativo al-Ahram l'11 settembre 2022.
Haggag e l'uomo d'affari al-Gharabli dovrebbero essere giustiziati mediante impiccagione dopo che la massima autorità religiosa del Paese ha approvato le condanne capitali emesse dal tribunale ad agosto.
La moglie di Haggag, Shaimaa Gamal, che presentava uno spettacolo sulla TV LTC di Giza, fu uccisa a giugno.
Il suo corpo fu trovato in una villa su indicazione di al-Gharabli, che avrebbe confessato il suo ruolo nel crimine.
Haggag aveva denunciato la scomparsa della moglie tre settimane prima.
Secondo l’accusa, il giudice avrebbe attirato la moglie in una villa in cui lui aveva già scavato la fossa.
Poi l'ha colpita alla testa e l'ha strangolata a morte, con l'aiuto di al-Gharabli.
Hanno deposto il suo corpo nella fossa versando sopra materiale corrosivo per renderlo irriconoscibile agli esperti forensi.
I pubblici ministeri sostengono che Gamal avesse ricattato suo marito, dandogli motivo per commettere l’omicidio.
Haggag ha affermato di aver ucciso sua moglie per legittima difesa dopo essere stato attaccato da lei con un coltello.
I Pubblici ministeri hanno tuttavia evidenziato che nessun coltello è stato trovato sulla scena del crimine, inoltre Haggag non aveva parlato di autodifesa nella sua confessione.
Hanno anche sottolineato che la confessione del complice, al-Gharabli, non ha confermato la tesi dell’autodifesa.
La sentenza può essere impugnata davanti alla Corte di Cassazione egiziana entro 60 giorni.
(Fonti: Al-Arabiya, 12/09/2022)

 


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