leggendo "Andarsene" di Peter Stamm (Edizioni Casagrande, traduzione di Riccardo Cravero) + Eydís Evensen
Ho sempre avuto una gran voglia di andarmene piuttosto che di andare da qualche parte. Di lasciar perdere piuttosto che impegnarmi in qualcosa. Ricordo quando mollai di punto in bianco l'università. Tornai a casa e dissi ai miei genitori: Da domani non vado più a Milano. Così come quando mollai il lavoro in Cooperativa. Chiesi le dimissioni immediate e mi furono concesse e se non le me avessero concesse non mi sarei presentato al lavoro. Ma anche quando mollo all'improvviso feste, concerti, cene, funerali, matrimoni. Come al matrimonio di mia sorella. A un certo punto non ne ho davvero potuto più di chiacchiere, piatti, parenti, persone che non conoscevo e dopo un breve saluto siamo tornati a Lugano. I primi in assoluto ad andarsene.
Anche quando ho lasciato per la prima volta la mia attuale compagna. Uscii dall'albergo dov'eravamo e le dissi Addio.
Il giorno che tornammo a frequentarci mi diede uno schiaffo che mi fece sanguinare il naso.
Ho letto con partecipazione e commozione il romanzo di Peter Stamm "Andarsene" (Edizioni Casagrande, traduzione di Riccardo Cravero) che racconta di un marito e padre che una sera, di ritorno in Svizzera dalle vacanze in Spagna con moglie e i due figli, si alza dalla panchina fuori casa e comincia a camminare per i campi, poi per i boschi, poi per le montagne fino a girovagare (dato per morto) per tutta Europa e tornare a casa dopo vent'anni, coi figli divenuti grandi e la moglie che non ha mai smesso di aspettarlo. L'autore tedesco restituisce in maniera limpida e con uno spledido equilibrio stilistico lo stato d'animo di chi a un certo punto non ne può più della vita che sta conducendo, anche se tutto va bene e non ci sono particolari contrasti e motivi di disagio. Semplicemente un giorno quella vita ci sta troppo stretti e bisogna andare via alla ricerca di qualcosa che magari non esiste o è lì che ci aspetta a due metri di distanza o dopo una ricerca durata vent'anni. Tutto quello che stiamo facendo ha perso di senso, sempre che ne abbia avuto uno. I giorni si susseguono come in una catena di montaggio e non sappiamo nemmeno se stiamo amando la persona che ci sta affianco.
Anche io sento spesso questo disagio. E ne parlo spesso con la mia compagna. Ieri per esempio, di ritorno a casa, le ho chiesto: "Ma perché non ci prendiamo due libri, Emma e molliamo tutto, guidiamo e ci fermiamo in un posto che ci piace e ricominciamo da capo?" Lei ha sorriso perché la pensa come me.
Qualche mese ancora e poi chissà.
Un estratto:
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