Ma dopo aver letto Mašen'ka di Nabokov come cazzo faccio a leggere altro per un po' ?


Sto invecchiando, lo so.
Ma ci sono scrittori morti o viventi e che amo che spazzano via tutte le novità possibili.
Non lo avevo mai letto questo romanzo di Nabokov.
Quando lui aveva 27 anni.
Era il 1926.
E miseria che roba. 
E la nostalgia che permea tutte queste pagine e insieme la voglia di andarsene, di cancellare tutto, di rifarsi una vita mi ha distrutto.
Nel profondo.

Trascrivo interamente il capitolo Tre:
 
"Quella sera, come ogni sera, un uomo vecchio e basso con una mantellina nera arrancava sul bordo del marciapiede del lungo viale deserto, premendo sull'asfalto la punta di un bastone nodoso alla ricerca di cicche di sigaretta - di oro, di sughero, o di semplice carta- e di sfogliati mozziconi di sigaro. Di quando in quando, bramendo come un cervo, un'automobile passava veloce oppure accadeva una cosa che nessuno che cammini in città nota mai: cadeva una stella, più rapida del pensiero e più silenziosa di una lacrima. Più brillanti e più allegre delle stelle erano le lettere di fuoco che zampillavano una dopo l'altra sopra un tetto nero, sfilando in fila indiana, per poi svanire all'improvviso nel buio.
"È - davvero - possibile -" dicevano discrete le lettere in un sussurro al neon, ed ecco che la notte le cancellava con un sol colpo vellutato. Poi ricominciavano ad arrampicarsi nel cielo:" È - davvero -".
E di di nuovo scendeva il buio; ma le parole, insistenti, si accendevano ancora una volta, e infine, invece di scomparire di colpo, rimanevano accese per cinque minuti buoni, secondo gli accordi tra l'agenzia pubblicitaria e l'azienda produttrice.
Ma, in fondo, chi può dire cos'è che veramente brilla lassù, nel buio, sopra le case: il nome luminoso di un prodotto o il bagliore del pensiero umano; un'insegna, un appello simbolico; una domanda scagliata nel cielo che riceve una risposta immediata, estasiata, scintillante come un gioiello?
E in quelle strade, adesso vaste come mari neri e luccicanti, a quell'ora tarda quando anche l'ultima birreria ha chiuso, e un esule russo, abbandonato il sonno, senza cappello né giacca sotto il vecchio impermeabile, cammina come un chiaroveggente in trance; a quell'ora tarda le vaste strade erano percorse da mondi totalmente estranei l'uno all'altro: non più un gaudente nottambulo, una donna, o semplicemente un passante, ma ciascuno un mondo completamente isolato, ciascuno un complesso di meraviglie e di male. Cinque vetture di piazza erano ferme sul viale accanto alla grande sagoma a tamburo di un pissoir pubblico: cinque mondi assonnati, caldi, grigi, in livrea da cocchiere; e cinque ulteriori mondi su zoccoli doloranti, addormentati, sognando nient'altro che avena che fluisce dal sacco con un lieve crepitio.
È in momenti come questo che tutto diventa favoloso, insondabilmente profondo, e la vita appare terrificante, e ancor più la morte. Ma poi, mentre si cammina a passo svelto per la città notturna, guardando le luci attraverso le lacrime, cercando in quelle una reminescenza fulgida e abbacinante della felicità passata - un viso di donna, risorto dopo molti anni di monotono oblio - tutt'a un tratto, nel proprio folle procedere, si è garbatamente fermati da un passante che chiede come arrivare a una certa strada; e la domanda è fatta con voce normale, una voce che tuttavia non si udrà mai più."
 
...
 
 




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