Nessuno Tocchi Caino - CARCERE DURO, L’ITALIA FA SCUOLA ANCHE IN BELGIO

Nessuno tocchi Caino news

Anno 23 - n. 6 - 11-02-2023

Contenuti del numero:

1.  LA STORIA DELLA SETTIMANA : CARCERE DURO, L’ITALIA FA SCUOLA ANCHE IN BELGIO
2.  NEWS FLASH: HA UN TUMORE AGGRESSIVO MA FAZZALARI RESTA AL 41 BIS
3.  NEWS FLASH: UMBRIA, IL VIAGGIO DELLA SPERANZA: ‘VISITARE I CARCERATI’
4.  NEWS FLASH: IRAN: PROVVEDIMENTI DI CLEMENZA PER MIGLIAIA DI CONDANNATI
5.  NEWS FLASH: GUYANA: DUE PIRATI CONDANNATI A MORTE PER ATTACCHI DEL 2018
6.  I SUGGERIMENTI DELLA SETTIMANA :


CARCERE DURO, L’ITALIA FA SCUOLA ANCHE IN BELGIO
Marco Perduca su Il Riformista del 10 febbraio 2023

Esploso come scandalo di annacquamento di documenti del Parlamento europeo relativi a violazioni di diritti umani, il Qatargate sta mettendo a nudo gravi violazioni dello Stato di Diritto in Belgio. Ma in pochi lo denunciano.
Malgrado il ferreo segreto istruttorio belga si ha notizia sulla pessima qualità della detenzione dei coinvolti, della custodia cautelare in carcere e dell’applicazione della normativa sui collaboratori della giustizia ricalcata sulle leggi antimafia italiane.
Ma ricapitoliamo i fatti: il 9 dicembre 2022 vengono arrestati l’ex eurodeputato Antonio Panzeri, il suo ex-assistente Francesco Giorgi, Eva Kaili, all’epoca vice-presidente dell’europarlamento e Niccolò Figà-Talamanca, segretario dell’Ong “Non c’è pace senza giustizia” accusati di associazione per corruzione e riciclaggio. Il 3 febbraio Figà-Talamanca è stato liberato senza condizioni, gli altri restano dentro.
Il 17 gennaio è emerso che Panzeri ha iniziato a collaborare con la giustizia firmando un memorandum che prevede un anno di reclusione, 80.000 euro di sanzione e la confisca dei proventi dalle attività criminali (circa 1 milione di euro). Nel 2018 il Belgio ha modificato alcuni articoli del codice di procedura penale che “riguardano sospetti che si sono pentiti”. Il patto sarebbe stato siglato a 24 ore dall’arresto.
La legge belga sui collaboratori di giustizia si rifà talmente tanto alla nostra che si usa l’espressione italiana “pentiti” per riferirsi a chi se ne avvale. Il Qatargate è la seconda volta che queste norme vengono applicate, la prima fu il cosiddetto “Footbelgate” del 2017-19 nel corso delle cui indagini 23 persone furono accusate di uno o più reati ma 17 furono rilasciate su condizioni, sei senza.
L’uso dei “pentiti” in Belgio è autorizzato a due condizioni cumulative: “che le esigenze dell’indagine lo richiedano e che altri mezzi non siano sufficienti alla manifestazione della verità”. La misura riguarda reati di una certa gravità. L’avvocato di Panzeri s’è affrettato a chiarire che il suo assistito ha firmato in stato di shock; indipendentemente dal fatto che si sia di fronte a una reale volontà di revisione delle proprie condotte, l’inchiesta ora si baserà su quelle dichiarazioni non occorre cercare prove di colpevolezza, il Procuratore Claise ha usato le confessioni di chi è stato scioccato dalla detenzione per cancellare l’immunità euro-parlamentare a Marc Tarabella e Andrea Cozzolino. Anche Giorgi ha iniziato a parlare ma non si sa se da “pentito”.
Chi invece continua a proclamare la propria estraneità ai fatti è Kaili.
Il giorno del suo arresto Eva Kaili è stata rinchiusa in una camera di sicurezza senza poter andare in bagno malgrado avesse le mestruazioni e privata del cappotto malgrado la stanza fosse gelida. Cosa ancora più disumana e traumatizzante, dalla sua “traduzione” al carcere di Haren continua a essere tenuta separata dalla figlia di due anni. È eccessivo parlare di tortura in questo caso? Rileggiamo l’art. 1 della Convenzione ONU che definisce la tortura come “qualsiasi atto mediante il quale sono intenzionalmente inflitti a una persona dolore o sofferenze forti, fisiche o mentali, al fine segnatamente di ottenere da essa o da una terza persona informazioni o confessioni…”
La legge belga prevede che le detenute madri possano avere con sé prole fino a tre anni di età, dopodiché i bambini non possono restare in carcere.
A febbraio 2023 in Belgio le madri detenute con figli sono sei. Perché non si rispetta la legge nei confronti di una persona che, tra l’altro, si trova in regime di custodia cautelare? Possibile che, tranne la deputata italiana Deborah Bergamini che, nella sua veste di membro della delegazione italiana presso l’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa, ha formalmente interrogato Maria Buric, Segretaria Generale del Consiglio, sulle condizioni di detenzione di Kaili, le istituzioni europee stiano zitte?
A dicembre 2022 un giudice olandese ha richiamato una recente relazione del Comitato europeo per la prevenzione della tortura del Consiglio d’Europa sulle carceri in Belgio per negare un’estradizione. A oggi in Belgio sono ristrette 11.199 persone per una capienza regolamentare di 9.739 posti in strutture spesso vecchie anche di 150 anni. La carenza di agenti penitenziari ha fatto scattare
scioperi che per settimane hanno impedito che i detenuti ricevessero biancheria o visite. La moglie di Figà-Talamanca è stata rimandata a casa un paio di volte.
Il Belgio non ha ratificato il Protocollo opzionale alla Convenzione contro la tortura – un accordo per prevenire pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti che consente la visita di autorità internazionali nelle carceri dello Stato dell’Onu.
Anche in mancanza di obblighi internazionali, però, parlamentari nazionali o europei possono far richiesta di visita ispettiva a istituti di pena in Europa. Possibile che nessuno ci abbia provato? Neanche tentare l’impresa rende conniventi a queste patenti violazioni di diritti umani.

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NESSUNO TOCCHI CAINO - NEWS FLASH

HA UN TUMORE AGGRESSIVO MA FAZZALARI RESTA AL 41 BIS
Luigi Longo su Il Riformista del 10 febbraio 2023

«La tutela della salute di ogni detenuto costituisce un’assoluta priorità», questo è il pensiero del Ministro della Giustizia Carlo Nordio. E così, in effetti, dovrebbe essere perché il diritto alla salute, che discende dal più generale diritto alla dignità, è un bene fondamentale per l’uomo, ancor prima di quello retributivo, teso a infliggere una sofferenza al reo quale compenso per il male commesso. Diritto, quello alla salute, che – come sostenuto da G. Silvestri – «non si acquisisce per meriti né si perde per demeriti».
Da mesi Ernesto Fazzalari, detenuto al 41 bis presso il carcere di Parma ed ex numero due – dopo Matteo Messina Denaro – tra i ricercati più pericolosi d’Italia e arrestato il 26 giugno 2016, è sottoposto a cicli di chemioterapia in quanto affetto da adenocarcinoma duttale di tipo a cellule chiare: una forma di tumore al pancreas aggressiva e dalla prevedibile prognosi infausta. Il suo generale stato di salute appare già molto compromesso, rilevandosi dall’analisi della cartella clinica la vascolarizzazione della neoplasia unitamente alla presenza di metastasi linfonodali.
Ciò nonostante, il Tribunale di Sorveglianza di Bologna ha rigettato l’istanza di differimento pena. Secondo i magistrati, fuori dal circuito carcerario, Fazzalari non potrebbe ricevere cure diverse o migliori di quelle praticate in regime detentivo attraverso il continuo monitoraggio effettuato dai sanitari e la ininterrotta vigilanza del personale di Polizia penitenziaria, in grado di allertare in qualunque momento l’ausilio medico occorrente.
Orbene, è innegabile che il regime speciale al quale è sottoposto Fazzalari limiti in maniera significativa l’indispensabile sinergia che dovrebbe sussistere tra divisione inframuraria e strutture sanitarie esterne, così compromettendo la tempestività delle cure e l’efficacia di quegli interventi che, nel suo caso, potrebbero rivelarsi perfino salva-vita.
La mancata concessione del differimento di pena lede, infatti, il diritto alla salute del condannato, nella misura in cui gli nega la facoltà di scegliere di curarsi presso la struttura sanitaria da lui ritenuta più conforme alle sue esigenze e alla sua specifica condizione individuale. Infatti, è costretto a curarsi presso l’ospedale di Parma mentre non ha la facoltà di scegliere, in maniera libera e consapevole, il tipo di terapia a cui sottoporsi (ad esempio scegliere un metodo sperimentale praticato nei centri IRSSC o il metodo Di Bella) o finanche di rinunciare alle cure per essere accompagnato, attraverso apposite pratiche del dolore, verso una morte dignitosa e umana né è garantito alcun sostegno psicologico.
Il difensore del Fazzalari, l’avvocato Antonino Napoli, ha più volte chiesto la nomina di un perito che valuti la compatibilità con il regime carcerario e persino l’accesso in carcere di un consulente di parte non viene autorizzata nonostante è stata da tempo chiesta al magistrato di sorveglianza e al direttore del carcere.
Non vi è dubbio che una persona affetta da cancro non curabile può morire da solo in una cella in regime di 41 bis, lontano dall’affetto e dal sostegno dei propri cari, e che la chemioterapia può essere praticata in regime di Day Hospital, ma questa impostazione culturale è insensibile e disumana, oltre che di tipo vendicativo.
Se ai carcerati, al pari di ogni altro soggetto, debbano essere riconosciuti il diritto alla salute, alla vita e alla dignità personale – che, in un ideale bilanciamento, prevalgono financo rispetto alle esigenze repressive dello Stato democratico-costituzionale – appare evidente che costringere Fazzalari a curarsi presso il CDT di Parma e l’Unità Operativa Complessa di Oncologia Medica dell’Azienda Ospedaliera della medesima città, non accordandogli il diritto di sottoporsi a cure e trattamenti, anche sperimentali, praticati presso centri d’eccellenza, presenti in altri luoghi del territori nazionale, costituisce una grave lesione del suo diritto alla salute, al consenso informato e all’autodeterminazione terapeutica.
Così agendo lo Stato si trasforma in un dispotico, feroce e insensibile leviatano, che impone a un suo cittadino – in nome di una medievale concezione di giustizia retributiva, che rasenta la vendetta – una sofferenza che varcando i confini dell’umana tollerabilità, diviene, eticamente e giuridicamente, inaccettabile e non condivisibile.
Per saperne di piu' :

UMBRIA, IL VIAGGIO DELLA SPERANZA: ‘VISITARE I CARCERATI’
SPOLETO
Lunedì 13 febbraio
Ore 11 – Visita al Carcere
Ore 15 – Conferenza “Percorsi di Giustizia Riparativa”
Biblioteca Comunale (Palazzo Mauri)

TERNI
Mercoledì 15 febbraio
Ore 11 – Visita al Carcere di Terni
Ore 15:30 – Conferenza “Mai dire mai: il diritto alla speranza nelle pene”
Sala Consiglio Ordine Avvocati Via Cesare Bazzani 18

PERUGIA
Giovedì 16 febbraio
Ore 11 – Visita al Carcere di Capanne
Ore 16 – Conferenza “Carcere: luogo di privazione non solo della libertà”
Provincia di Perugia – Sala del Consiglio Piazza Italia 11

Il Viaggio della Speranza in Umbria è organizzato da Nessuno tocchi Caino in collaborazione con l’Osservatorio Carcere dell’UCPI e le Camere Penali di Spoleto, Terni e Perugia.

Info: 335 80005770

IRAN: PROVVEDIMENTI DI CLEMENZA PER MIGLIAIA DI CONDANNATI
Il leader supremo dell'Iran, l'Ayatollah Ali Khamenei, il 5 febbraio 2023 ha approvato la grazia e la commutazione delle condanne di "decine di migliaia" di prigionieri, con la magistratura del paese che ha affermato che l'amnistia sarà estesa solo ai manifestanti detenuti che hanno firmato un impegno scritto di rimorso.
L'Iran concede spesso la grazia ai prigionieri durante le festività nazionali e religiose, in conformità con l'articolo 110 della costituzione iraniana. La recente decisione arriva in occasione del 44° anniversario della rivoluzione islamica in Iran.
Il numero esatto di quelli inclusi nell'amnistia non è stato annunciato, con una dichiarazione ufficiale che afferma che si applica a "decine di migliaia". L'amnistia non includerà coloro che sono accusati di aver commesso "spionaggio" per conto di potenze straniere o di avere contatti diretti con servizi di intelligence stranieri, omicidio o lesioni intenzionali e distruzione e incendio doloso di strutture governative.
Inoltre, i manifestanti arrestati durante le ultime proteste non sono inclusi poiché, secondo Khamenei, non hanno mostrato rimorso per le loro azioni.
Non è chiaro quanti degli arrestati nelle recenti proteste saranno inclusi nella grazia, ma Sadegh Rahimi, alto esponente della magistratura iraniana, ha affermato che solo i manifestanti che sono “disgustati dalle loro azioni passate e si impegnano a non ripeterle” beneficeranno dell'amnistia.
Khamenei aveva approvato la grazia o la riduzione della pena per 2.272 prigionieri a luglio, in occasione della celebrazione dell'Eid al-Ghadir.
L'Iran è stato oggetto di pesanti critiche da parte della comunità internazionale e dei gruppi per i diritti umani per violazioni e abusi dei diritti umani nelle carceri, sollevando preoccupazioni per le cattive condizioni, gli abusi sui prigionieri e l'uso della tortura nel sistema penale del paese.
Il Corpo delle Guardie rivoluzionarie islamiche (IRGC) e il suo corpo paramilitare, i Basij, hanno condotto una violenta repressione delle proteste scatenate dalla morte della giovane donna curda Mahsa Amini mentre era sotto la custodia della polizia morale lo scorso settembre.
(Fonte: rudaw.net)
Per saperne di piu' :

GUYANA: DUE PIRATI CONDANNATI A MORTE PER ATTACCHI DEL 2018
Un tribunale della Guyana il 31 gennaio 2023 ha emesso condanne a morte per due uomini ritenuti colpevoli di attacchi di pirateria in alto mare, uccidendo sette pescatori al largo della costa nel 2018.
Allo stesso tempo le autorità hanno affermato di aver spezzato la schiena a un gruppo che ha depredato i pescatori per anni.
Nakool Manohar, 45 anni, e Premnauth Persaud, 48 anni, sono stati condannati a morte per aver architettato un attacco a un gruppo di pescherecci nelle acque vicino al Suriname per aver accesso a importanti aree di pesca. Sette pescatori sono morti, mentre una dozzina di altri sono stati salvati dopo essere rimasti alla deriva per diversi giorni.
La polizia ha detto che alcuni degli uomini sono stati gettati in mare con le mani legate o appesantiti con le batterie della barca. Altri sarebbero stati fatti a pezzi con machete o bruciati con olio motore bollente e gettati nelle acque dell'Oceano Atlantico.
Condannando a morte gli uomini il 31 gennaio dopo che una giuria ha emesso verdetti di colpevolezza, il giudice Navindra Singh ha descritto gli attacchi come atroci, dicendo di non aver trovato "alcun motivo per non imporre la condanna capitale".
"Sarebbe sconsiderato e irresponsabile da parte del tribunale consentire loro di essere rilasciati nella società in qualsiasi momento", ha affermato il giudice, definendo le loro azioni "raccapriccianti, atroci e a sangue freddo".
I due uomini possono presentare ricorso contro la sentenza alla corte d'appello locale e poi alla Corte di Giustizia dei Caraibi con sede a Trinidad, che è la massima corte della Guyana. Il loro avvocato il 2 febbraio ha rifiutato di parlare delle loro intenzioni.
Pur essendo la condanna capitale mediante impiccagione ancora nelle leggi del Paese, nessuno è stato giustiziato in Guyana dal 1997 e le autorità non hanno fatto alcuno sforzo per far applicare le condanne a morte emesse dai tribunali. Più di una dozzina di persone sono nel braccio della morte in Guyana, alcune condannate una ventina di anni fa.
Le autorità hanno finora resistito alle richieste da parte dell'Unione Europea e di gruppi internazionali per i diritti umani di eliminare la pena di morte dai codici del Paese. In alcuni casi, le corti d'appello hanno commutato le condanne capitali in ergastolo.
(Fonti: AP, 02/02/2023)

 

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