Nessuno tocchi Caino - DELITTI, DETENUTI, PENE: LO STUDIO È SUL KENYA MA SEMBRA L’ITALIA Posta in arrivo

Nessuno tocchi Caino news

Anno 23 - n. 7 - 18-02-2023

Contenuti del numero:

1.  LA STORIA DELLA SETTIMANA : DELITTI, DETENUTI, PENE: LO STUDIO È SUL KENYA MA SEMBRA L’ITALIA
2.  NEWS FLASH: STORIA DI PIERDONATO, DALLA PRIGIONE ALLA ‘CATTEDRA’
3.  NEWS FLASH: SICILIA 2023, IL VIAGGIO DELLA SPERANZA: ‘VISITARE I CARCERATI’
4.  NEWS FLASH: ZAMBIA: IL PRESIDENTE HICHILEMA COMMUTA IN ERGASTOLO 390 CONDANNE CAPITALI
5.  NEWS FLASH: ARABIA SAUDITA: DUE SCIITI CONDANNATI A MORTE PER TERRORISMO
6.  I SUGGERIMENTI DELLA SETTIMANA :


DELITTI, DETENUTI, PENE: LO STUDIO È SUL KENYA MA SEMBRA L’ITALIA
Sergio D’Elia su Il Riformista del 17 febbraio 2023

La terribilità e la certezza della pena non possono costituire un deterrente, se neanche i condannati sanno cosa prevede il codice penale. È questa la conclusione di una ricerca condotta in Kenya nel 2022 tra i prigionieri del braccio della morte. Lo studio s’intitola “Vivere con una condanna a morte in Kenya…”, è stato commissionato dal Death Penalty Project del Regno Unito e dalla National Commission on Human Rights (KNCHR) del Kenya ed è stato condotto da Carolyn Hoyle e Lucrezia Rizzelli dell’Università di Oxford.
Le due ricercatrici hanno intervistato 671 persone, di cui 33 donne, detenute nel braccio della morte in 12 carceri del Paese. Il 44% del totale era condannato per omicidio, il 56% per rapina violenta. Secondo lo studio, solo un detenuto su cento sapeva che la pena di morte era una punizione prevedibile per il reato commesso. Inoltre, ha rilevato la ricerca, nel braccio più duro e isolato del carcere non erano reclusi i più pericolosi e i peggiori tra i peggiori.
Lo studio è stato condotto in Kenya. Fosse stato fatto in Italia, i numeri non sarebbero stati diversi. La ricerca ha riguardato la pena di morte. Fosse stata la pena fino alla morte, il risultato non sarebbe cambiato. I detenuti intervistati erano tutti nel braccio della morte. Fossero stati detenuti al 41 bis, le risposte sarebbero state le stesse. Quindi, continua a leggere questo articolo e dove vedi scritto Kenya puoi anche tradurre Italia. Dove è scritto “pena di morte” leggi pure “pena fino alla morte”. Dove è scritto “braccio della morte” pensa al “41 bis”.
Molti detenuti nelle carceri keniote hanno affermato che gli sono stati negati i diritti che dovrebbero essere garantiti a tutti gli indagati e imputati di un reato, come il diritto a non essere costretti a fare una confessione. Più della metà non ha potuto comunicare con un avvocato. Il diritto al silenzio di poco meno della metà non è stato rispettato. Oltre la metà ha dichiarato di essere stata sottoposta a forme psicologiche di tortura, più di un terzo (37%) ad abusi fisici e a quasi un quarto (23%) è stata negata l’assistenza medica. In condizioni coercitive di detenzione, molti potrebbero quindi aver rilasciato dichiarazioni incriminanti su sé stessi. È quasi scontato che le prove ottenute in questo modo dalla polizia siano inaffidabili, abbiano portato a condanne errate nei tribunali e persone innocenti nel braccio della morte.
Per quanto riguarda il luogo comune sul valore deterrente della pena, i dati della ricerca non lasciano margini a dubbi: mancano i presupposti necessari. Per essere scoraggiati dalla pena di morte, le persone devono sapere che la pena di morte è la punizione prevista per il loro reato. E devono sapere anche che è probabile che saranno giudicate colpevoli e condannate a morte. Quindi, devono essere consapevoli che gli eventuali vantaggi derivanti dal crimine possono essere vanificati dal potenziale castigo.
Invece, secondo la rilevazione effettuata nel braccio della morte, solo l’uno per cento dei detenuti intervistati ha detto di essere stato a piena conoscenza prima del crimine che la pena di morte era una punizione a disposizione dei tutori della legge. E solo il quattro per cento dei condannati per rapina e l’otto per cento per omicidio avevano pensato alla possibilità di essere condannati a morte. Se non erano certi di correre questo rischio, come potevano essere scoraggiati da una pena che sarebbe arrivata inesorabile e certa come la morte.
Uno può pensare che la legge del taglione sia giustificata per i colpevoli più atroci e contemplata per i reati più gravi. Invece, la ricerca dell’Università di Oxford mostra che coloro che sono nel braccio della morte del Kenya non sono necessariamente i peggiori dei peggiori, perché oltre la metà di loro era stata condannata per un reato non mortale. Quasi tutti avevano poca o nessuna istruzione di base ed erano di basso status sociale ed economico – i più svantaggiati e vulnerabili. Di conseguenza, si sono trovati invischiati in un sistema di giustizia penale che chiaramente offriva una protezione legale inadeguata, esponendoli a un alto rischio di essere condannati ingiustamente.
Se ciò è molto preoccupante in uno Stato che mantiene la pena di morte, non è meno preoccupante in uno Stato che prevede la pena fino alla morte.

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NESSUNO TOCCHI CAINO - NEWS FLASH

STORIA DI PIERDONATO, DALLA PRIGIONE ALLA ‘CATTEDRA’
Alessandro Gargiulo e Manuela Palombi su Il Riformista del 17 febbraio 2023

Pierdonato Zito è nato a Montescaglioso, è stato condannato all’ergastolo ed è rimasto in carcere ininterrottamente per 25 anni, di cui 8 al 41 bis. Dal 2020 è in regime di semilibertà. Pierdonato è la rappresentazione vivente del fine rieducativo della pena, quello sancito dalla nostra Costituzione, e che si sposa malissimo col “fine pena mai” e il “carcere duro”. Anche se in un’ottica machiavellica, nel belpaese, il fine – quello rieducativo – non giustifica mai i mezzi della detenzione italiana, anzi, proprio questi finiscono, troppo spesso, per cancellare del tutto le previsioni costituzionali.
Grazie al percorso didattico nel carcere di Secondigliano, Pierdonato è riuscito a fare di se stesso e con se stesso un esperimento di auto-etnografia penitenziaria, dimostrando come ci si possa tras-formare e prendere cura del sé rifuggendo senza evadere l’assoggettamento dell’istituzione carceraria per costruire una nuova e diversa soggettività.
La sua tesi di laurea con lode in sociologia è diventata un libro: “Lo studio negli istituti penitenziari: Education and Imprisonment”, collana Carcere e Società. Specialmente, con la sua vita (tra le mura del carcere e fuori da quelle mura), Pierdonato ha confessato, cioè ha testimoniato e ha detto il vero su se stesso; ha fatto penitenza, cioè ha portato, prima ai suoi compagni di carcere e, poi, anche nelle scuole, se stesso come esempio. Certo, viene a mente un tal Foucault, proprio quello delle tecnologie del sé, ma Pierdonato ce lo abbiamo davanti, è vicino a noi, di fianco, trasformatosi, quindi, in un delizioso e gentile grillo parlante di collodiana memoria.
Viene da chiedersi come sia stato possibile tutto questo, tenuto conto che Pierdonato Zito non è solo (e non è il solo) in questo percorso di tras-formazione. Ovviamente ci sono per lo mezzo gli uomini e le donne che costellano il panorama carcerario italiano, i magistrati di sorveglianza, gli agenti di polizia penitenziaria, gli operatori, i direttori, gli insegnanti, i docenti dell’Università “Federico II” di Napoli - Polo Universitario Penitenziario di Secondigliano. Ed è sempre vero che l’uomo ha continuativamente bisogno di un Maestro, è sempre allievo senza mai superarlo, perché il Maestro, quello vero, non si supera, semplicemente si sostituisce con la presenza di un nuovo allievo; ma allievo e Maestro, nel loro personalissimo rapporto, a un certo punto, possono sostituirsi a vicenda, trasformando in poesia un antico rapporto di subalternità.
Questo è quello che accade con Pierdonato. Da detenuto aveva necessità di trovare maestri e li ha trovati, ma, poi, le tecnologie del sé hanno funzionato bene e negli anni molti compagni hanno trovato in lui un Maestro, molti maestri hanno trovato in lui un esempio, fino ad arrivare alle scolaresche che spesso lo ascoltano, fino ad arrivare a Papa Bergoglio che lo ha ricevuto, lo ha ascoltato nell’evento “Francesco e gli Invisibili, il Papa incontra gli ultimi”.
Il suo libro serve perché troppo spesso chi parla del carcere, anche in punto di scienza, in carcere non c’è mai stato e in tal senso Pierdonato Zito con la sua opera va ad inserirsi in quel panorama internazionale oggi definito col termine di Convinct Criminology ove “i reclusi sono al contempo testimoni individuali delle criticità del sistema penale e attori sociali che reagiscono consapevolmente al processo di stigmatizzazione di cui sono stati oggetto o destinatari e continuano ad esserlo”; non a caso, “l’istituzione carceraria è sociologicamente interessante poiché è la rappresentazione dell’intera società e dei conflitti che in essi si agitano”, nella specie, siamo di fronte ad una conoscenza empirica antropologica che si trasforma in vera e propria analisi sociologica.
Insomma, le contraddizioni, le incongruenze, le s-torture che caratterizzano la materialità dell’esecuzione penale prendono forma con e in Pierdonato Zito, il quale, con la sua attività di Convinct Criminology va a riempire un vuoto, tenuto conto che nelle carceri italiane la sociologia non trova albergo, nemmeno in funzione rieducativa e risocializzante, facendola da padroni la psicologia e l’assistenza sociale.
Pierdonato e la ‘sua’ Convinct Criminology ci porta testimonianze dirette, contrasta gli stereotipi negativi della cultura dominante che vuole i detenuti come ‘mostri’, che nega e calpesta, senza nascondersi, il fine rieducativo della pena.
Pierdonato, proprio come Victor Hugo, con la sua detenzione, il suo studio, la sua tras-formazione, apre una scuola e chiude una prigione, del che c’è stata effettiva testimonianza il 27 gennaio scorso quando alla Federico II, alla presenza di insigni giuristi, mentre si presentava altro libro – quello di Elio Palombi, “Magistratura e Giustizia in Italia. Dal 1970 alla riforma Cartabia” – si è visto cedere la sedia di relatore da Vincenzo Maiello e per qualche minuto ha intrattenuto una platea decisamente interessata.


SICILIA 2023, IL VIAGGIO DELLA SPERANZA: ‘VISITARE I CARCERATI’
FAVIGNANA
Lunedì 20 febbraio
Ore 11 – Visita al Carcere

TRAPANI – ALCAMO
Martedì 21 febbraio
Ore 11 – Visita al Carcere di Trapani
Ore 15:30 – Conferenza “Il processo sommario al patrimonio nel sistema delle misure di prevenzione”
Collegio dei Gesuiti
Piazza Ciullo – Alcamo

TERMINI IMERESE
Mercoledì 22 febbraio
Ore 11 – Visita al Carcere
Ore 15 – Conferenza “La funzione della pena”
Tribunale di Termini Imerese

CALTANISSETTA
Giovedì 23 febbraio
Ore 11 – Visita al Carcere
Ore 15:30 – Conferenza “Fare a meno della necessità del carcere”
Biblioteca Comunale Scarabelli

GELA
Venerdì 24 febbraio
Ore 11 – Visita al Carcere
Ore 15:30 – Conferenza “Pene sostitutive, non solo alternative”
Ex Chiesetta di San Giovanni
Via di San Giovanni

ACIREALE
Sabato 25 febbraio
Ore 15:30 – Assemblea di Nessuno tocchi Caino “30 anni di lotta a pena di morte, pena fino alla morte, morte per pena”
Hotel Maugeri

Il Viaggio della Speranza in Sicilia è organizzato da Nessuno tocchi Caino in collaborazione con l’Osservatorio Carcere dell’UCPI e le Camere Penali di Termini Imerese, Caltanissetta e Gela.

Info: 335 80005770

ZAMBIA: IL PRESIDENTE HICHILEMA COMMUTA IN ERGASTOLO 390 CONDANNE CAPITALI
Il presidente dello Zambia Hakainde Hichilema ha commutato in ergastolo 390 condanne a morte, sei settimane dopo aver abolito la pena capitale, ha dichiarato un ministro del suo gabinetto l'8 febbraio 2023.
"Ora non abbiamo nessun detenuto che sta scontando una condanna a morte a seguito dell'abolizione della pena di morte", ha detto in una conferenza stampa il ministro degli Interni Jack Mwiimbu.
I 390 prigionieri, tra cui 11 donne, tutti detenuti nel carcere di massima sicurezza di Mukobeko a Kabwe, una città a circa 150 Km a nord della capitale Lusaka, sconteranno ora l'ergastolo.
Hichilema, il cui partito è stato all'opposizione per oltre due decenni, aveva promesso che avrebbe abolito la pena capitale se eletto alla carica più alta.
Ha abolito la legge che prevedeva la condanna a morte appena due giorni prima del giorno di Natale dello scorso anno.
Lo Zambia, che ha ottenuto l'indipendenza dal dominio britannico nel 1964 e ha 18 milioni di abitanti, è diventato il 5° paese dell'Africa sub-sahariana ad abolire la pena di morte negli ultimi 10 anni.
(Fonti: Afp, 08/02/2023; Lusakatimes, 08/02/2023)

ARABIA SAUDITA: DUE SCIITI CONDANNATI A MORTE PER TERRORISMO
Due cittadini sciiti sono stati condannati a morte in Arabia Saudita il 7 febbraio 2023 per presunta collaborazione con gruppi terroristici.
Il tribunale penale specializzato del Regno ha emesso le due condanne a morte nei confronti di Ali Muhammad al-Rabi e Ali Hassan al-Safwani, secondo un rapporto dell'Organizzazione Saudita Europea per i Diritti Umani.
L'ufficio del procuratore saudita aveva precedentemente chiesto una pena detentiva di 20 anni e un divieto di espatrio per impedire loro di lasciare il Paese.
Ali Muhammad, che proviene da una comunità sciita che subisce discriminazioni sistematiche da parte delle autorità saudite, è stato accusato di essere un membro di un'organizzazione terroristica, di sostenere un'ideologia terroristica, di aiutare e proteggere un certo numero di terroristi e di fornire loro cibo, usando reti di informazione e social network e piani per contattare i terroristi.
Ali Muhammad era stato arrestato il 7 febbraio 2021, dopo che le forze di sicurezza saudite hanno attaccato la sua casa senza mandato. È stato tenuto in isolamento per tre mesi e durante questo periodo gli è stato negato ogni contatto con la famiglia.
Anche Ali Hassan è stato accusato di essere un membro di un'organizzazione terroristica, di sostenere l'ideologia terroristica e di aver aiutato un certo numero di terroristi.
Entrambi avevano respinto le accuse in tribunale e sono stati costretti a confessare senza poter disporre di un avvocato, ha affermato l'Organizzazione.
(Fonti: Tasnim, 08/02/2023)

 


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