Nessuno tocchi Caino - MBS E LA PENA CAPITALE, TANTE PROMESSE ZERO FATTI
Nessuno tocchi Caino news
Anno 23 - n. 8 - 25-02-2023
Contenuti del numero:
1. LA STORIA DELLA SETTIMANA : MBS E LA PENA CAPITALE, TANTE PROMESSE ZERO FATTI
2. NEWS FLASH: LA VIOLENZA È UNA MALATTIA. IL CARCERE NON È LA CURA
3. NEWS FLASH: SICILIA 2023, IL VIAGGIO DELLA SPERANZA: ‘VISITARE I CARCERATI’
4. NEWS FLASH: SOMALIA: FUCILATI SEI MILITARI
5. NEWS FLASH: PENNSYLVANIA (USA): IL GOVERNATORE JOSH SHAPIRO CONFERMA LA MORATORIA E CHIEDE L'ABROGAZIONE
6. I SUGGERIMENTI DELLA SETTIMANA :
MBS E LA PENA CAPITALE, TANTE PROMESSE ZERO FATTI
Elisabetta Zamparutti su Il Riformista del 24 febbraio 2023
Reprieve è una organizzazione non governativa britannica, fondata dal
celebre avvocato Clive Stafford Smith. Il nome significa “tregua”, nel
senso di sospensione riferita a un’esecuzione o condanna capitale.
Naturale che ci incontrassimo. E l’incontro con Nessuno tocchi Caino,
l’associazione che ha concepito la “tregua” universale delle esecuzioni
capitali, è avvenuto sulla battaglia per porre fine alla produzione in
Italia di un farmaco, il pentotal, utilizzato in America nei protocolli
dell’iniezione letale. Avemmo successo nel bloccarla, con ricadute
mondiali. Era il 2010 e da allora siamo rimasti in contatto.
Di recente ho ricevuto il loro rapporto sulla pena di morte in Arabia
Saudita, realizzato in partnership con la European Saudi Organisation
for Human Rights. Si documenta che da quel 2010 al 2021 i giustiziati,
che in Arabia Saudita vuol dire decapitati, sono stati 1.243. Sono
invece 147 quelli del 2022, macabro anno che ha visto l’esecuzione di
massa di ben 81 persone in un solo giorno. Era il 12 marzo 2022. Ma è
nel regno di Salman, salito al trono nel 2015, con suo figlio Mohammed
bin Salman divenuto due anni dopo Principe ereditario e Primo Ministro,
che la morte ha inondato il tavolo della giustizia. Con loro, le
esecuzioni sono infatti aumentate dell’82%: se la media delle esecuzioni
tra il 2010/14 era di 70,8 esecuzioni all’anno, tra il 2015/22 questa è
salita a 129,5. I sei anni orribili per numero di esecuzioni nella
storia recente ricadono tutti sotto il regno dei Salman, padre e figlio.
Sotto il loro regno, hanno fatto mozzare la testa ad almeno 11
minorenni al momento del reato, sei dei quali in un solo anno, nel 2019.
Mohammed bin Salman si è presentato al mondo come un riformatore che
intendeva fare progredire i diritti del gentil sesso come parte
importante della sua Agenda 2030. Ora le donne possono effettivamente
guidare e sono più presenti negli uffici pubblici, ma le attiviste
vengono arrestate, minacciate di morte e torturate. I dati, non
pubblici, faticano a raccontarci cosa accade veramente alle donne che
finiscono nel braccio della morte. Certo è che 31 sono state giustiziate
dal 2010, 23 delle quali erano straniere, per lo più lavoratrici
domestiche, una perfino minorenne al momento del fatto. Quel sistema che
si chiama kafala nel quale queste straniere sono inserite ha i tratti
di una forma moderna di schiavitù. Insomma, c’è una compressione dei
diritti che come niente ti può portare con la testa sul ceppo e lì
perderla per un colpo di spada.
E questo vale anche per gli uomini. Sui 1.243 giustiziati dal 2010 al
2021, almeno 490 erano stranieri. Le nazionalità maggiormente colpite
sono quelle dei pachistani, degli yemeniti e dei siriani. Gli stranieri
sono una considerevole percentuale di quelli giustiziati per droga. Il
74% delle 386 esecuzioni per droga nel decennio considerato, riguarda
infatti cittadini non sauditi. Parliamo per lo più di corrieri della
droga. In questo salto nel buio del diritto e dei diritti, possiamo
immaginare come il diritto alla difesa – poter contare sull’assistenza
di un interprete, di un avvocato o del proprio consolato – sia un lusso
che non si possono permettere gli ultimi ed emarginati del regno.
Quando parliamo di droga, parliamo di reati non letali, per i quali, non
solo il diritto internazionale vieta la pena di morte, ma lo stesso
Principe ci aveva indotti a credere, dalle pagine di Time nel 2018, che
di lì a poco non sarebbero stati più considerati reati capitali. Un
impegno ribadito due anni dopo da un alto funzionario saudita al
Washington Post. Con addirittura la Commissione saudita per i diritti
umani che nel 2021 si era sbilanciata su Twitter a spiegare che il calo
nel numero di esecuzioni per quell’anno era dovuto a una moratoria delle
esecuzioni per droga che sarebbe stata introdotta. Una moratoria di cui
però nessuno ha visto traccia. Tant’è che delle 81 esecuzioni compiute
in un unico giorno dell’anno scorso, ben 58 erano per fatti non letali.
Cambiare l’abitudine di essere se stessi è quanto di più difficile si
possa fare. Vale per i singoli individui, vale per i sistemi di potere.
Figurarsi per i regimi. Continuo a pensare che le promesse di Mohammed
Bin Salman fatte sulle pagine patinate di Time avessero una loro
autenticità. Ma resistere ai richiami delle forze conservatrici,
finanche ancestrali, richiede una elevazione della coscienza che non è
da tutti. Certamente non di questo Principe. Però tutti possiamo aiutare
a cambiare. Tutti possiamo aiutare a far capire, anche all’Arabia
Saudita, che i diritti umani sono un patrimonio universale e che, come
dice la Risoluzione approvata anche quest’anno dall’Assemblea generale
dell’ONU a stragrande maggioranza, una moratoria sull’uso della pena di
morte contribuisce al rispetto della dignità umana, al rafforzamento e
al progressivo sviluppo dei diritti umani. Reprieve, appunto!
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LA VIOLENZA È UNA MALATTIA. IL CARCERE NON È LA CURA
Diego Mazzola su Il Riformista del 24 febbraio 2023
Gli studi portati avanti dalla medicina, dalla moderna psichiatria e dalla sociologia, hanno dimostrato che il “cattivo”, il mostro che uccide senza motivo, non esiste. Sarà bene che i forcaioli se ne facciano una ragione, anche perché chi non ha ucciso non si immagina neppure quante volte i cosiddetti “assassini” si dichiarano incapaci di darsi una spiegazione razionale per quello che hanno fatto. Molto spesso, pur ritenendosi persone intelligenti e ragionevoli, si dichiarano vittime di pensieri irrazionali e insoliti. È dimostrato che la paura, l’essere immersi in una cultura violenta, la stessa mancanza del controllo del sé, minano profondamente le ragioni che ci parlano della volontarietà nel compiere un atto di violenza. Del resto, Hilary e Steven Rose, autori di “Geni, cellule e cervelli”, si domandano: «Se le azioni umane sono il prodotto di specifici processi cerebrali, che ne è del concetto giuridico di responsabilità?». Sorge vago il sospetto che i si
stemi penali, che operano nel mondo, del concetto giuridico di responsabilità ne sappiano proprio poco, visto che bastano loro anche le pur semplici confessioni o ammissioni di colpa.
Queste persone, come il “sociopatico violento” (che uccide per il proprio piacere), il terrorista islamico (convinto di doverlo essere in adempimento a una volontà divina) o il pedofilo (divenuto tale dopo aver conosciuto la sessualità tanto temuta da chi a sua volta ne fu vittima prima di lui), sono da considerarsi persone malate: ma non risulta su nessun prontuario medico che il carcere possa essere un luogo di cura.
Ciò che risulta, al contrario, è che la violenza intraspecifica deve essere considerata come il frutto di una incapacità di porsi nello stato d’animo o nella corretta relazione con un’altra persona con nessuna o una debole partecipazione emotiva.
In poche parole si parla di una mancata educazione al vivere sociale e civile, dell’ignorato concetto di ‘empatia’ e, molto spesso, di una non appresa capacità di amare. E queste non possono essere imposte da un regime, ma ricercate con il massimo impegno fin dalle “scuole piccole” nell’applicazione più coerente con il rispetto dei diritti dell’individuo.
Dato che ci siamo: che cosa impedirebbe all’Istituzione scolastica di verificare se, a ciclo di studi concluso, il cittadino “non più studente” sia riuscito a trovare un lavoro legale nel quale cominciare la propria vita nella società civile? E se ciò non fosse, perché non si potrebbe dare un senso più completo ai programmi degli uffici del collocamento? Perché mai di ciò che riguarda la felice relazione di un cittadino con la propria gente dovrebbe occuparsi solo il carabiniere o il magistrato?
Perché dico ciò? Per dichiararmi pronto a seguire chi decida, finalmente, di costruire un progetto politico per l’abolizione del carcere e il superamento del sistema penale. “No Prison” ne è un esempio, così come ne è un esempio il libro “Abolire il carcere” di Luigi Manconi, Stefano Anastasia, Valentina Calderone e Federica Resta. Tra le molte osservazioni preziose che compaiono nel libro, sono senza dubbio molto rilevanti quelle in postfazione di Gustavo Zagrebelsky, quando definisce che «il carcere è prima di tutto segregazione», oppure quando riferisce che «il Cristo vuole la conciliazione integrale, ma la società degli onesti non la vuole. Il carcere è nato, più che come sanzione, come pulizia della società dai suoi scarti: poveri, vagabondi, mendicanti, sbandati, irregolari d’ogni genere, da offrire in sacrificio all’ordine sociale». D’altra parte la parola “carcere” deriva dall’aramaico “carcar” che vuol dire sotterrare, tumulare. È que
l che avviene per i rifiuti tossici, gli scarti nocivi della società dei consumi.
Solo per essere chiaro fino in fondo, dirò con Michael Zimmerman che di fatto la “punizione” ovvero la “pena” diventa lo strumento più ambito nei progetti di chi crede, spesso in modo inconsapevole, nell’illusione totalitaria. Zimmerman sostiene che a ciò serve il proibizionismo, che si vuole far condividere partendo da chi ti vuole punire per l’uso di sostanze psicoattive (volgarmente note come “droghe”). Di fatto l’Antiproibizionismo e l’Abolizionismo del carcere e del sistema penale sono da intendersi come facce di una stessa medaglia.
Mi auguro che un giorno la violenza potrà essere riconosciuta come una malattia sociale da contrastare con mezzi più adeguati della galera. Se poi facessimo lo sforzo di evitare la “delazione di Stato”, come previsto dall’art. 4 bis, potremmo impedire che l’Ordinamento possa definire come imperdonabili molti dei comportamenti umani, e faremmo un deciso passo avanti nel precetto cristiano – e modernamente laico – del “non giudicare”.
Per saperne di piu' :
SICILIA 2023, IL VIAGGIO DELLA SPERANZA: ‘VISITARE I CARCERATI’
Sabato 25 febbraio ad ACIREALE ultima tappa del Viaggio della Speranza in Sicilia.
Ore 15:30 – Assemblea di Nessuno tocchi Caino “30 anni di lotta a pena di morte, pena fino alla morte, morte per pena”
Hotel Maugeri
Il Viaggio della Speranza in Sicilia è organizzato da Nessuno tocchi Caino in collaborazione con l’Osservatorio Carcere dell’UCPI e le Camere Penali di Termini Imerese, Caltanissetta e Gela.
Info: 335 80005770
SOMALIA: FUCILATI SEI MILITARI
Sei militari sono stati giustiziati di recente in Somalia, in casi distinti.
Due dei sei sono stati fucilati il 18 febbraio 2023 a Mogadiscio, ha comunicato il tribunale militare, identificando i due soldati come Hassan Juule Shakir e Khasim Duale Abdi, che erano stati riconosciuti colpevoli lo scorso 10 gennaio di aver ucciso dei civili con armi da fuoco.
Abdi avrebbe ucciso Abukar Mohamed Sheikh Nourani (Abirimo), che aveva una piccola impresa nel distretto di Hamarweyne della regione di Banadir.
L’omicidio, avvenuto a Hamarweyne, sarebbe avvenuto in seguito a una lite su una somma di 5.000 Scellini somali.
Hassan Juulle Shakir avrebbe ucciso Ali Taliye Arif, che guidava una motocicletta Tuk-Tuk, a Bal'ad.
Nelle intenzioni del tribunale militare, i soldati sono stati giustiziati come monito nei confronti di quegli elementi che stanno colpendo la gente la cui sicurezza dovrebbero invece garantire.
Gli altri quattro militari sono stati fucilati per omicidio il 2 febbraio, sempre a Mogadiscio.
“Oggi, 2 febbraio 2023, il tribunale militare ha fatto giustiziare Bukhari Awil Mohamud dell'Agenzia nazionale di intelligence e sicurezza (NISA), Ali Mohamud Hussein delle Forze armate, Abdirisaaq Ahmed Mukhtar delle Forze di polizia e Mohamed Nur Sheikh Warre, anch'egli membro della polizia, dopo averli giudicati colpevoli di aver ucciso dei commilitoni”, ha dichiarato a Dolow Mohamed Abdullahi Khalif, vice procuratore delle Forze armate somale.
(Fonti: Halbeeg News, 18/02/2023; Shabelle media network, 18/02/2023; AA, 02/02/2023)
PENNSYLVANIA (USA): IL GOVERNATORE JOSH SHAPIRO CONFERMA LA MORATORIA E CHIEDE L'ABROGAZIONE
Il neoeletto governatore democratico della Pennsylvania Josh Shapiro, 49 anni, bianco, Democratico, ha dichiarato il 16 febbraio 2023 di voler prorogare la moratoria delle esecuzioni messa in atto nel 2025 dal suo predecessore, Tom Wolf, invitando inoltre i legislatori ad abolire la pena di morte dello stato "una volta per tutte".
“Il Commonwealth non dovrebbe occuparsi di mettere a morte le persone. Punto. Lo credo nel mio cuore”, ha detto in un discorso.
“Questa è una dichiarazione fondamentale di moralità. Di ciò che è giusto e sbagliato. E credo che la Pennsylvania debba essere dalla parte giusta di questo problema.”
Wolf, Democratico, nel 2015 aveva disposto una serie di provvedimenti individuali di rinvio delle esecuzioni per una serie di condannati, preannunciando che avrebbe continuato a rinviare le esecuzioni in attesa che il parlamento abolisse la pena di morte. L’associazione dei procuratori distrettuali ha contestato la pratica del “rinvio sistematico”, che stava “incostituzionalmente trasformando quello che era stato inteso come uno strumento temporaneo in uno strumento permanente”, ma la Corte Suprema dello stato ha confermato la legittimità della decisione dell’ex governatore. Nel frattempo però il parlamento non sta votando l’abolizione, e oggi Shapiro ha confermato che la moratoria rimarrà in vigore.
Shapiro è stato procuratore generale dello stato dal 2017 fino al mese scorso, ed ha ammesso che la sua posizione sull'argomento si è "evoluta" nel corso degli anni, e una volta giunto all’incarico più importante per un pubblico accusatore, ha detto, non è mai riuscito a chiedere la pena capitale per nessuno.
Poi, ha detto, ha incontrato le famiglie di 11 vittime uccise durante il massacro della sinagoga Tree of Life vicino a Pittsburgh nel 2018.
Proprio i parenti delle vittime lo hanno incoraggiato a rivedere il suo “sostegno istintivo” alla pena di morte. Shapiro ha ricordato che furono i parenti delle vittime a dirgli che "Robert Bowers dovrebbe passare il resto della sua vita in prigione, hanno detto, ma lo stato non dovrebbe togliergli la vita come punizione per aver tolto la vita ai loro cari". "Questo mi ha commosso e questo è rimasto con me."
Tra il 1978 e il 2015, la Pennsylvania ha speso circa 816 milioni di dollari per tenere in piedi il sistema penale capitale, che ha portato a circa 400 condanne a morte e solo 3 esecuzioni, tra l’altro tutte di persone che avevano rinunciato volontariamente ai ricorsi e avevano chiesto di accelerare le loro esecuzioni. L'esecuzione più recente dello Stato è avvenuta nel 1999.
Nello stesso arco di tempo, 11 dei 400 condannati a morte sono stati prosciolti, ed oltre la metà ha ottenuto commutazioni della pena. Sottratti quelli che sono morti per cause naturali, oggi nel braccio della morte della Pennsylvania ci sono 101 persone.
(Fonte: The Daily Beast, 16/02/2023)
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