Nessuno tocchi Caino - LA ‘WAR ON DRUGS’ VA A BRACCETTO COL BOIA

Nessuno tocchi Caino news

Anno 23 - n. 12 - 25-03-2023

Contenuti del numero:

1.  LA STORIA DELLA SETTIMANA : LA ‘WAR ON DRUGS’ VA A BRACCETTO COL BOIA
2.  NEWS FLASH: RISBATTUTO IN CELLA ANCHE SE IL CARCERE L'HA RESO CIECO
3.  NEWS FLASH: INDIA: CORTE SUPREMA COMMUTA CONDANNA A MORTE PERCHÉ È ‘POSSIBILE IL CAMBIAMENTO’ DEL REO
4.  NEWS FLASH: UGANDA: IL PARLAMENTO APPROVA LA PENA DI MORTE PER L’OMOSESSUALITA’
5.  NEWS FLASH: IRAQ: DUE CONDANNE A MORTE PER IL SEQUESTRO DI UN ATTIVISTA ANTIGOVERNATIVO
6.  I SUGGERIMENTI DELLA SETTIMANA :


LA ‘WAR ON DRUGS’ VA A BRACCETTO COL BOIA
Marco Perduca su Il Riformista del 24 marzo 2023

Chi chiama proibizionismo il “sistema internazionale di controllo delle droghe” sa che la guerra alla droga è da sempre una guerra contro le persone, persone che coltivano usano e, naturalmente, scambiano le sostanze contenute nelle Convenzioni Onu. Nell’introduzione al suo rapporto di quest’anno, l’International Narcotics Control Board, INCB, si scaglia contro quelle giurisdizioni che stanno legalizzando la cannabis ma non dedica altrettanta evidenza all’uso della pena di morte per reati “droga-correlati”.
La pandemia ci ha confermato la preferenza popolare dell’uso di sostanze psicoattive per lenire gli effetti dei lockdown senza che ci fosse un aggravamento della pressione penale. Il ritorno alla “normalità” dal 2022 ci restituisce un quadro di inaudita violenza di stato contro chi usa e traffica “droghe”
Secondo il rapporto di Harm Reduction International (HRI) relativo all’anno scorso, almeno 285 persone sono state giustiziate per reati di droga in Cina, Iran, Corea del Nord, Arabia Saudita, Singapore e Vietnam. Le esecuzioni per droga sono state circa il 30% di tutte le esecuzioni confermate a livello globale. L’aumento rispetto al 2021 è stato del 118% e dell’850% rispetto al 2020!
Dal 2007 HRI monitora l’uso della pena di morte per reati di droga in tutto il mondo offrendo una panoramica che fornisce aggiornamenti su legislazioni, politiche e pratiche relative alla lotta alla droga. L’uso della pena capitale da parte di decine di Paesi costituisce una chiara violazione degli standard internazionali, secondo i quali la pena di morte non può essere applicata a fattispecie, come il traffico di droga, che non raggiungono la soglia dei reati “più gravi”.
Non solo le esecuzioni, nel 2022, sono aumentate anche le condanne a morte confermate per reati di droga, con almeno 303 persone condannate in 18 paesi. Ciò segna un aumento del 28% rispetto al 2021. Secondo le stime di HRI, almeno 3.700 persone sono nel braccio della morte in tutto il mondo per “reati di droga”, cifre che non tengono conto delle esecuzioni extragiudiziali connesse alla lotta al narcotraffico che nell’estate del 2021 sono state chiaramente stigmatizzare dal Comitato Onu in materia.
Tanto l’Assemblea generale delle Nazioni unite del 2016 quanto la Commissione Onu sulle droghe e l’INCB – quando era a guida tedesca e olandese – si sono sempre dichiarati contrari all’uso della pena di morte come sanzione per le violazioni del “controllo internazionale delle droghe”, l’attenuamento della retorica anti-terrorismo ha fatto però tornare in auge altre preoccupazioni “securitarie” per giustificare un indiscriminato uso della violenza di stato per imporre il proprio controllo sulla società e le sue componenti “devianti”.
Il numero di esecuzioni è da sempre una stima per difetto perché, trattandosi di regimi che reprimono anche la circolazione delle informazioni, risulta difficile poter avere accesso a dati verificabili. Se alcuni paesi, come Iran, Indonesia, Vietnam o Laos pubblicizzano le esecuzioni per provare le loro politiche di “tolleranza zero”, nel Golfo l’interesse a far conoscere come la si pensa su alcune questioni è pari allo zero – si agisce e basta.
Significativa per esempio l’assenza di dati dall’Afghanistan dove si concentra quasi il 90% della produzione globale di oppio per eroina e dove dal 2021 sono tornati i talebani che, almeno a parole, si sono sempre dichiarati violentemente contro la coltivazione del papavero. Mancano all’appello anche i dati di Laos, Myanmar e Thailandia che da un paio di anni sono tornati a quantitativi di produzione di oppio talmente importanti da far parlare nuovamente di triangolo d’oro. Un altro “narco-stato” di cui non si parla mai è la Corea del Nord, luogo di raffinazione di sostanze psicoattive chimiche e centro di distribuzione di eroina verso i mercati asiatici.
Ma è il caso dell’Iran che da sempre resta il più grave: l’odio nei confronti delle donne si conferma anche in questo caso. Infatti, oltre un quarto delle esecuzioni hanno riguardato donne che, ragionevolmente, vista l’oppressione nei loro confronti della Repubblica islamica, non fanno parte dei vertici di organizzazioni criminali ma sono, eventualmente, l’ultimo anello della catena di piccolo spaccio o vittime di macchinazioni di uomini.
Quando alla fine degli anni Ottanta si tornò a evocare la necessità di una Corte penale internazionale la si ritenne indispensabile per processare il narco-traffico internazionale. Paradossalmente uno degli ultimi casi portati all’attenzione della Corte dell’Aia prima dell’aggressione russa dell’Ucraina è stata la situazione delle Filippine dove, sotto la direzione dell’allora Presidente Rodrigo Duterte, decine di consumatori sono stati uccisi da esercito, polizia e milizie. Se in quanto tale il proibizionismo non è un crimine, l’uso sproporzionato di sanzioni penali e punizioni lo è sicuramente e la pena di morte ne è la pistola fumante.

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NESSUNO TOCCHI CAINO - NEWS FLASH

RISBATTUTO IN CELLA ANCHE SE IL CARCERE L'HA RESO CIECO
Angela Stella su Il Riformista del 24 marzo 2023

Come si può far rientrare in carcere una persona diventata cieca proprio a causa della malasanità penitenziaria? È umano? È legittimo? Questa è la storia di Salvatore Giuseppe Di Calogero, classe 1975, condannato in via definitiva a 8 anni e 8 mesi per associazione mafiosa.
Nonostante che, contando i periodi trascorsi tra misura cautelare in carcere e ai domiciliari e considerando anche la liberazione anticipata, gli anni definitivi da scontare sarebbero sotto i quattro, lo scorso 9 marzo, quando la Cassazione ha rigettato il ricorso della difesa, la Procura Generale di Caltanissetta ha emesso l’ordine di esecuzione per la carcerazione dell’uomo prelevandolo con la febbre dalla sua abitazione, ove negli ultimi 3 anni ha trascorso la custodia cautelare in arresti domiciliari, proprio in ragione della sua grave e inaspettata disabilità. Infatti Di Calogero – affetto da ipertiroidismo con esoftalmo da “morbo di Basedow” – adesso è completamente e irreversibilmente cieco.
Un giorno del 2019 sua moglie Elisa apprende dal marito che è stata sospesa la terapia durante la custodia cautelare in carcere. Purtroppo non si è riusciti a evitare il peggio: la cecità del marito a soli 44 anni. Ora l’uomo si trova in una piccola cella della casa circondariale di Caltanissetta. Le numerose richieste sia scritte che telefoniche da parte dei legali Eliana Zecca e Michele De Stefani, per avere notizie in merito allo stato psicofisico del proprio assistito, sono rimaste inizialmente inevase. Si è deciso, così, il 13 marzo di interpellare il Garante dei diritti dei detenuti della Regione Sicilia, il professor Giovanni Fiandaca, il quale, attraverso un intervento determinante, ha sollecitato il Direttore Sanitario al deposito di una doverosa relazione sanitaria, già sollecitata dal Magistrato di Sorveglianza di Caltanissetta.
“Il silenzio e l’indifferenza manifestata nei nostri confronti – dicono i legali – appare sconcertante se si considera la straordinarietà della vicenda. In fondo abbiamo chiesto delle informazioni circa lo stato psicofisico del nostro assistito, a fronte della copiosa documentazione sanitaria depositata nel fascicolo del Magistrato di Sorveglianza e consegnata alla Polizia Giudiziaria durante l’arresto. È proprio in queste situazioni che si dovrebbe auspicare una maggiore collaborazione tra la Polizia penitenziaria e la difesa dei detenuti, soprattutto quando in gioco vi è la tutela di Diritti Costituzionali, quali la salute e la rieducazione di un condannato”.
Solo durante un colloquio visivo, che si è potuto organizzare nel sabato successivo, la difesa ha potuto costatare che al Di Calogero è stata fornita una sedia a rotelle e tutte le necessità quotidiane (quali cucinare, mangiare, lavarsi, vestirsi) sono state rese possibili con l’ausilio di un “improvvisato badante detenuto”. E solo in quello successivo, avvenuto con la moglie, il Di Calogero ha manifestato un forte imbarazzo, chiudendosi in un inevitabile e doloroso sconforto, per questa gestione ma, soprattutto, ha rappresentato l’umiliazione, come essere umano, di farsi assistere, anche nei gesti più intimi, da uno sconosciuto. Inoltre, senza l’ausilio del bastone non ha la possibilità di percepire gli spazi intorno a lui e, quindi, non può usufruire della cosiddetta ora d’aria.
“Non dimentichiamo – proseguano gli avvocati – che, con l’intervenuto arresto, Di Calogero non solo non ha potuto effettuare due importanti visite mediche programmate rispettivamente il 13 e 15 marzo presso l’Ospedale di Enna e di Caltanissetta, ma vi è stata la brusca interruzione del percorso psicologico-riabilitativo in corso presso l’Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti di Enna, unico luogo dove il Di Calogero si sente protetto, aiutato, stimolato nell’apprendimento delle tecniche necessarie per cercare di ritornare a lavarsi, vestirsi, mangiare, leggere, scrivere, salire e scendere le scale, passeggiare.
Proprio nella relazione dell’Unione Ciechi si legge chiaramente che “il Sig. Di Calogero ha estrema e urgente esigenza di proseguire il percorso riabilitativo e psicologico con continuità e costanza, pena la degenerazione in modo irreversibile della condizione fisica e psicologica dello stesso”. Per questo gli avvocati sono in attesa di una risposta da parte del magistrato di sorveglianza su una richiesta di differimento pena per motivi di salute.

INDIA: CORTE SUPREMA COMMUTA CONDANNA A MORTE PERCHÉ È ‘POSSIBILE IL CAMBIAMENTO’ DEL REO
La Corte Suprema dell’India il 21 marzo 2023 ha commutato la condanna a morte di un uomo che nel 2009 rapì e uccise un bambino di sette anni nel Tamil Nadu in 20 anni di reclusione, essendoci “possibilità di cambiamento” del reo nonostante la gravità del crimine commesso.
Osservando che non c'è motivo di dubitare della colpevolezza dell'uomo, il collegio della Corte Suprema presieduto dal giudice DY Chandrachud ha deciso che venga condannato all'ergastolo per non meno di 20 anni senza sospensione o remissione.
Il Collegio ha commutato la condanna capitale dopo aver preso atto che l'udienza sulla sentenza non è stata condotta separatamente nel tribunale di primo grado e le circostanze attenuanti non sono state considerate nelle corti d'appello prima di emettere la pena capitale.
La decisione della Corte Suprema è arrivata a seguito della richiesta di revisione presentata da Sundar alias Sundarrajan, che prelevò la vittima mentre tornava da scuola il 27 luglio 2009.
Nella stessa notte, la madre della vittima ricevette al cellulare una chiamata da Sundar, che chiedeva un riscatto di 500.000 rupie per il suo rilascio.
Il 30 luglio 2009, la polizia fece irruzione nella casa di Sundar e lo arrestò insieme a un coimputato che è stato poi assolto. Sundar ha confessato di aver strangolato il bambino, mettendo il suo corpo in un sacco di iuta abbandonato poi presso il villaggio di Meerankulam.
L'Alta Corte di Madras il 30 settembre 2010 ha confermato la colpevolezza e la condanna a morte, confermata anche dalla Corte Suprema il 5 febbraio 2013.
Sundar ha presentato un ricorso dinanzi alla Corte Suprema nel 2013 chiedendo una revisione della sua colpevolezza per il reato di omicidio e della condanna a morte sulla base della decisione di un Collegio Costituzionale nel caso Mohd. Arif contro Registrar, Corte Suprema dell'India.
Il Collegio Costituzionale ha ritenuto che le domande di revisione del giudizio di colpevolezza e dell'imposizione della condanna a morte dovessero essere esaminate in un’udienza pubblica.
Nel suo verdetto di 51 pagine, la Corte Suprema ha inoltre preso atto dell'affermazione dell'uomo secondo cui non ha potuto comunicare le circostanze attenuanti all'avvocato e ai suoi parenti, i quali, essendo poveri e ignoranti, non hanno potuto opportunamente difenderlo.
La Corte ha affermato che, sulla base di questi elementi, non si può affermare che non vi sia alcuna possibilità di riforma, anche se Sundar ha commesso un crimine orribile.
“Dobbiamo considerare diverse attenuanti: il ricorrente non ha precedenti, aveva 23 anni quando ha commesso il crimine e dal 2009 si trova in carcere, dove la sua condotta è stata soddisfacente, salvo un tentativo di evasione nel 2013.
“Il ricorrente soffre di ipertensione e ha tentato di acquisire un'istruzione di base sotto forma di un diploma in ristorazione. L'acquisizione di una competenza in carcere ha un impatto importante sulla sua capacità di condurre una vita autonoma.”
La Corte Suprema ha affermato che, sebbene il crimine commesso dall'uomo sia indiscutibilmente grave e imperdonabile, non sia appropriato confermare la condanna a morte che gli è stata inflitta.
“La dottrina del caso 'più raro tra i rari' richiede che la condanna a morte non venga imposta solo tenendo conto della natura grave del crimine, ma solo se non vi è alcuna possibilità di riforma del reo.
"Considerando i fatti del presente caso, siamo dell'opinione ponderata che il ricorrente debba scontare l'ergastolo per non meno di 20 anni senza remissione della pena", ha affermato il collegio, composto anche dai giudici Hima Kohli e PS Narasimha.
La Corte Suprema ha affermato che è dovere del tribunale indagare sulle circostanze attenuanti ed eventualmente precludere la possibilità di riforma e riabilitazione prima di imporre la pena di morte.
“Lo stato deve ugualmente mettere a verbale tutto il materiale e le circostanze che riguardano la probabilità di riforma. Molti di questi materiali e circostanze sono a conoscenza dello Stato che ha avuto in custodia l'imputato sia prima che dopo la condanna.
“Inoltre, il tribunale non può essere uno spettatore indifferente nel processo. Il processo e i poteri del tribunale possono essere utilizzati per garantire che tale materiale sia messo a sua disposizione per raggiungere una giusta decisione sulla sentenza, che tenga conto della probabilità di recupero", ha affermato il collegio.
(Fonti: PTI, 21/03/2023)

UGANDA: IL PARLAMENTO APPROVA LA PENA DI MORTE PER L’OMOSESSUALITA’
I parlamentari ugandesi hanno approvato il 21 marzo 2023 un controverso disegno di legge anti-LGBTQ+, che renderebbe gli atti omosessuali punibili con la morte.
Tutti tranne due dei 389 legislatori hanno votato per il disegno di legge anti-omosessualità, che introduce pena capitale ed ergastolo per il sesso gay e "reclutamento, promozione e finanziamento" di "attività" omosessuali.
“Una persona che commette il reato di omosessualità aggravata è passibile, in caso di colpevolezza, di subire la morte”, si legge nel disegno di legge presentato da Robina Rwakoojo, presidente della commissione Affari Legali e Parlamentari.
Solo due parlamentari del partito al governo, Fox Odoi-Oywelowo e Paul Kwizera Bucyana, si sono opposti alla nuova legislazione.
"Il disegno di legge è mal concepito, contiene disposizioni incostituzionali, annulla i progressi registrati nella lotta contro la violenza di genere e criminalizza gli individui invece dei comportamenti che contravvengono a tutte le norme legali conosciute", ha affermato Odoi-Oywelowo.
"Il disegno di legge non introduce alcun valore aggiunto ai codici e al quadro legislativo a disposizione", ha affermato.
Una versione precedente del disegno di legge ha suscitato diffuse critiche internazionali ed è stata successivamente annullata dalla Corte Costituzionale dell'Uganda per motivi procedurali.
Il disegno di legge approvato passa ora al presidente ugandese Yoweri Museveni, che può porre il veto o trasformarlo in legge.
In un recente discorso Museveni è sembrato esprimere sostegno al disegno di legge.
Un deputato, John Musila, indossava un abito con la scritta: "Say No To Homosexual, Lesbianism, Gay".
Il disegno di legge segna l'ultima di una serie di battute d'arresto per i diritti LGBTQ+ in Africa, dove l'omosessualità è illegale nella maggior parte dei paesi. In Uganda, un paese cristiano in gran parte conservatore, il sesso omosessuale era già punibile con l'ergastolo.
Il mese scorso il presidente Museveni ha dichiarato che l'Uganda non abbraccerà l'omosessualità, sostenendo che l'occidente stia cercando di costringere altri paesi a "normalizzare" ciò che ha definito una "deviazione".
"I paesi occidentali dovrebbero smettere di sprecare il tempo dell'umanità cercando di imporre le loro pratiche ad altre persone", ha detto Museveni il 16 marzo in un discorso al parlamento, trasmesso in Tv.
“Gli omosessuali costituiscono deviazioni dal normale. Perché? È dovuto alla natura o all’ambiente? Dobbiamo rispondere a queste domande. Abbiamo bisogno di un parere medico su questo", ha detto.
(Fonti: The Guardian, 21/03/2023)

IRAQ: DUE CONDANNE A MORTE PER IL SEQUESTRO DI UN ATTIVISTA ANTIGOVERNATIVO
Un tribunale iracheno ha condannato a morte in contumacia due uomini per il sequestro e la scomparsa nel 2020 di un attivista antigovernativo, ha reso noto la magistratura locale il 22 marzo 2023.
Un tribunale penale della provincia meridionale di Dhi Qar ha condannato all’impiccagione Idriss Kurdi e Ahmed Mohammed Aboud, "che hanno rapito l'attivista Sajjad al-Iraki", con una sentenza emessa il 16 marzo, ha comunicato il Consiglio Supremo dell'Iraq.
Attivista di spicco nelle proteste antigovernative che hanno scosso l'Iraq nell'ottobre 2019, Iraki, di età compresa tra 20 e 30 anni, non è stato più visto dal settembre 2020.
Testimoni e fonti delle forze di sicurezza affermano che uomini armati abbiano costretto la sua auto a fermarsi e lo abbiano rapito presso Nassiriya, capoluogo della provincia di Dhi Qar.
Kurdi e Aboud restano latitanti e gli avvocati che lavorano per loro conto hanno 30 giorni di tempo per impugnare le condanne, prima che il decreto di autorizzazione delle esecuzioni venga firmato dal presidente iracheno.
Nell'ottobre 2019 i giovani iracheni hanno guidato un movimento di protesta nazionale che ha espresso la frustrazione per un governo inetto, la corruzione endemica e l'interferenza dell'Iran, scatenando una sanguinosa repressione che ha causato più di 600 morti e decine di migliaia di feriti.
Alcuni attivisti sono stati obiettivi di omicidi mirati, tra cui l'ex consigliere del governo Hisham al-Hashemi, ucciso vicino casa sua nel luglio 2020.
Mustafa al-Kadhimi, primo ministro fino all'ottobre 2022, si era impegnato a dare la caccia agli autori degli omicidi.
Lo scorso ottobre un uomo è stato condannato a morte per l'omicidio di un attivista del movimento di protesta e nel novembre 2021 un altro uomo ha ricevuto la stessa condanna per aver ucciso due giornalisti durante le proteste a Bassora, nel sud dell'Iraq.
Nel giugno 2022 la missione delle Nazioni Unite in Iraq ha denunciato un "clima di paura e intimidazione" che ha soffocato la libertà di espressione nel Paese segnato dalle proteste.
Il rapporto delle Nazioni Unite ha rilevato "l'impunità persistente rispetto agli attacchi mirati contro i manifestanti" e contro le persone "che cercano le responsabilità di questi attacchi, e contro attivisti che esprimono opinioni critiche nei confronti di elementi armati e soggetti politici affiliati".
(Fonti: AFP, 22/03/2023)

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