Due righe intorno a "Metodi per sopravvivere" di Guðrún Eva Mínervudóttir (Iperborea, traduzione di Silvia Cosimini)

 


 Secondo giorno libero ma piove, fa freddo e sono stanco e con poche ore di sonno. Avrei voluto stare sul lago e soprattutto dormire ma già conto le ore che mi restano prima di tornare al lavoro. L'ansia che mi prende alla gola e che tengo a bada con qualche birra. Le gatte mi gironzalano intorno e mi saltano addosso quando alle 5 di stamattina comincio a leggere questo libro islandese che sin dalle prime pagine mi sorprende, irretisce, infonde di pace, tenerezza, speranza, comprensione e lacrime. 

Un romanzo di una delicatezza straordinaria che intreccia la storia di quattro anime sole, disperate, abbandonate, silenti, incomprese in un sobborgo di Reykjavik: Aron, un ragazzo con la madre depressa che lo lascia solo dopo aver tentato il sucidio e il conseguente ricovero in un reparto psichiatrico; Hanna, un'adolescente solitaria che vive il cibo come un problema e che non corrisponde alle aspettative della madre e della società che la circonda e che finirà per diventare la referente di Aron; Arni che lasciato il lavoro guarda con sfiducia al lavoro insieme a un labrador e fingendo di avere una storia d'amore; Borghildur, una vedova con l'anima che sta andando in pezzi, che gestisce delle case vacanze e che per puro caso finisce per offrire un approdo  temporaneo ma sicuro a Aron. 

Un romanzo che colpisce al cuore per come, senza alcun bisogno di artifici, descrive donne, uomini, bambini, adolescenti  alla deriva e che vivono in mondo dove tutto è "troppo", dove porgere la mano e aiutare chi ti sta vicino ed è difficoltà è visto come opportunismo o possibilità di mostrarsi a beneficio di qualche telecamera o applauso e non invece come atto di compassione, empatia, di condivisione, di apertura alla diversità altrui.

Bastano una carezza, offrire un caffè a dei bambini, l'opportunità di accarezzare un cane o di mangiare un hamburger, offrire dei panni puliti, raccontare di quanto ci si senta diversi e sbagliati  scrivere bellissimi romanzi come questo per cambiare il mondo?

Forse no ma non farlo non ci priva di quel briciolo di umanità che in un modo o nell'altro continua a respirare dentro i nostri cuori stanchi, disillusi, feriti?

Perchè lo sappiamo che in questo universo contiamo meno di zero e la sofferenza, il dolore, il male, la morte non smetteranno mai di circondarci ma meglio una carezza che un pugno, meglio una passeggiata insieme a chi si mette in ascolto delle nostra fragilità piuttosto che autodistruggersi, meglio rimanere soli che rovinarsi il cuore per un amore senza speranze.

Anche se le lacrime ci saliranno dallo stomaco piantandosi in gola e lasciandoci senza fiato mentre siamo alla disperata ricerca del metodo giusto per sopravvivere.

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