Nessuno tocchi Caino - CAMPANIA: IL 13 MAGGIO A SALERNO ULTIMA TAPPA DEL ‘IL VIAGGIO DELLA SPERANZA: VISITARE I CARCERATI’

Nessuno tocchi Caino news

Anno 23 - n. 18 - 13-05-2023

Contenuti del numero:

1.  LA STORIA DELLA SETTIMANA : CAMPANIA: IL 13 MAGGIO A SALERNO ULTIMA TAPPA DEL ‘IL VIAGGIO DELLA SPERANZA: VISITARE I CARCERATI’
2.  NEWS FLASH: IRAN: GIUSTIZIATE 118 PERSONE IN 10 GIORNI
3.  NEWS FLASH: MYANMAR: LA GIUNTA RILASCIA PIÙ DI 2.100 PRIGIONIERI POLITICI E COMMUTA 38 CONDANNE A MORTE
4.  NEWS FLASH: KENYA: RICONOSCIUTO INNOCENTE DALL’ALTA CORTE
5.  NEWS FLASH: PAKISTAN: ALTA CORTE COMMUTA DUE CONDANNE CAPITALI IN UN CASO DI OMICIDIO
6.  I SUGGERIMENTI DELLA SETTIMANA : DESTINA IL TUO 5X1000 A NESSUNO TOCCHI CAINO


CAMPANIA: IL 13 MAGGIO A SALERNO ULTIMA TAPPA DEL ‘IL VIAGGIO DELLA SPERANZA: VISITARE I CARCERATI’
“Il viaggio della speranza: visitare i carcerati” ha preso il via in Campania l’8 maggio e prosegue fino al 13 maggio, così come già fatto e programmato in altre regioni d’Italia.

L’iniziativa, che ha previsto la visita di una delegazione di avvocatura e associazionismo negli istituti di pena di Arienzo, di Santa Maria Capua Vetere, di Benevento, di Sant’Angelo dei Lombardi e di Avellino, è stato promosso dal Garante delle persone private della libertà personale della Campania, dall’Osservatorio Carcere dell’Unione Camere Penali Italiane, dall’associazione Nessuno tocchi Caino e dal Movimento Forense-Dipartimento Carceri. Resta l’appuntamento di Salerno del 13 maggio, che chiude il ‘Viaggio della speranza’ nella Regione.
Dopo la visita nelle carceri si sono svolte conferenze aperte al pubblico di resoconto della visita e di dibattito sulle questioni più generali attinenti alla amministrazione della giustizia e del sistema penale nel nostro paese.

SALERNO
Sabato 13 maggio
Ore 10 -Visita al Carcere
Ore 15:30 -Conferenza Stampa
c/o Gran Caffè Moka
Corso Vittorio Emanuele, 108

Info: 335 8000577

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NESSUNO TOCCHI CAINO - NEWS FLASH

IRAN: GIUSTIZIATE 118 PERSONE IN 10 GIORNI
Sono almeno 118 le persone giustiziate in Iran dal 29 aprile all’8 maggio 2023, tra cui due donne.
Ogni anno, durante il mese sacro del Ramadan (quest’anno dal 22 marzo al 21 aprile), le esecuzioni vengono tradizionalmente sospese. È normale che alla fine del Ramadan si registri un forte aumento delle esecuzioni, quasi si dovesse recuperare il tempo perso. Mai prima però si era raggiunto un livello così alto, 118 esecuzioni in 10 giorni, quasi 12 al giorno.
Una straordinariamente alta percentuale di queste esecuzioni riguarda cittadini e cittadine di etnia baluca: 24 uomini e 2 donne.
I Baluchi, o Beluci, sono l’etnia preponderante che vive nella regione del Belucistan (Balucistan, Baluchistan), una regione arida dell’Asia sud-occidentale, politicamente suddivisa tra Pakistan, Iran e Afghanistan.
Gli abitanti di questa regione sono circa 15 milioni, divisi al 60% tra Pakistan, 25% Iran, e la restante parte in Afghanistan, nella zona di Kandahar.
Sono prevalentemente musulmani sunniti.
Le città più importanti della ragione iraniana denominata amministrativamente ‘Sistan e Balucistan’ sono Zahedan e Zabol. Nonostante la regione iraniana, che nel complesso ha circa due milioni e mezzo di abitanti, sia nota per la sua ricchezza di minerali, gas, petrolio, oro e risorse marine, il Balucistan iraniano resta una delle province più povere e meno sviluppate dell'Iran, la cui popolazione ha in un certo senso una ‘tradizione’ di traffico internazionale di droga. Da questo punto di vista, i Baluchi sono paragonabili alle minoranze curde, anche loro tenute volutamente in condizioni di sottosviluppo nella regione che occupano al confine tra Iran, Iraq, Siria e Turchia.
I curdi, attraverso il fenomeno dei ‘Kolbar’, praticano il contrabbando di merci e prodotti petroliferi (non di droga) sui sentieri montuosi della loro regione, e subiscono ogni anno diverse decine di uccisioni da parte delle pattuglie di frontiera iraniane, che cercano di arginarli anche utilizzando mine antiuomo.
(Fonte: Nessuno tocchi Caino)

MYANMAR: LA GIUNTA RILASCIA PIÙ DI 2.100 PRIGIONIERI POLITICI E COMMUTA 38 CONDANNE A MORTE
Le autorità militari del Myanmar hanno dichiarato il 3 maggio 2023 che è in corso il rilascio di più di 2.100 prigionieri politici come gesto umanitario.
Altre migliaia di persone restano incarcerate con accuse che in genere riguardano proteste non violente o critiche alla giunta militare, iniziate quando l'esercito ha preso il potere dal governo eletto di Aung San Suu Kyi nel febbraio 2021.
La televisione statale MRTV ha riferito il 3 maggio che il capo del consiglio militare del Myanmar, il generale Min Aung Hlaing, ha graziato 2.153 prigionieri in occasione del giorno sacro buddista più importante dell'anno, che segna la nascita, l'illuminazione e la morte di Buddha.
In un resoconto separato, l’emittente ha anche detto che Min Aung Hlaing ha commutato in ergastolo le condanne a morte di 38 prigionieri. La notizia non fornisce ulteriori dettagli.
Secondo l'Associazione di Assistenza ai Prigionieri Politici, al 2 maggio erano 112 i prigionieri nel braccio della morte di Myanmar. Il gruppo tiene conteggi dettagliati degli arresti e delle vittime legati alla repressione del governo militare.
Almeno quattro esecuzioni sono state praticate nel Paese da quando i militari hanno preso il potere.
I rilasci dei prigionieri sono iniziati il 3 maggio, ma potrebbero essere necessari alcuni giorni per il loro completamento. Le identità delle persone liberate non sono state ancora rese note, ma non includono Aung San Suu Kyi, che sta scontando una pena detentiva di 33 anni per diverse accuse che i suoi sostenitori dicono essere state inventate dai militari.
Secondo un annuncio ufficiale sui media statali, tutti i prigionieri a cui è stata concessa la grazia il 3 maggio erano stati condannati ai sensi di una sezione del codice penale che vieta la diffusione di commenti col fine di creare disordini o paura nell'opinione pubblica, o diffondere notizie false, e comporta una sanzione fino a tre anni di reclusione.
I termini del provvedimento di grazia avvertono che se i detenuti liberati violano nuovamente la legge, dovranno scontare il restante delle pene originarie oltre a qualsiasi pena loro comminata per il nuovo reato.
Due prigionieri liberati dalla famigerata prigione Insein di Yangon hanno dichiarato all'Associated Press che continueranno a sostenere le attività politiche dell'opposizione.
Un arrestato nel 2021 ha affermato che i termini in base ai quali sono stati rilasciati significano che sono stati inseriti in una lista di controllo del governo.
“Ma sappiamo cosa dobbiamo fare. E abbiamo imparato molto dal carcere. Usando quanto appreso, continueremo a lottare per la rivoluzione”, ha detto l'ex prigioniero, che ha chiesto di non essere identificato per motivi di sicurezza.
Amnesty International ha ribadito in una e-mail che "chiunque sia stato imprigionato per essersi opposto pacificamente al colpo di stato militare in Myanmar non avrebbe mai dovuto essere incarcerato".
Il vicedirettore regionale per le campagne del gruppo, Ming Yu Hah, ha aggiunto: “Questo rilascio, che era dovuto da tempo, dovrebbe segnare il primo passo verso il rilascio immediato di tutte le persone che sono state arbitrariamente detenute per aver esercitato i loro diritti fondamentali alla libertà di espressione e di riunione pacifica o altri diritti umani”.
I rilasci di massa dei prigionieri sono comuni durante le principali festività in Myanmar. L'ultimo rilascio di così tanti prigionieri politici è avvenuto nel luglio 2021, quando sono stati liberati 2.296 prigionieri.
A novembre, diversi prigionieri politici di alto profilo, tra cui un accademico australiano, un regista giapponese, un ex ambasciatore britannico e un americano, sono stati rilasciati nell'ambito di un'ampia amnistia che ha anche portato alla liberazione di molti cittadini locali incarcerati per aver protestato contro la presa del potere da parte dell'esercito.
(Fonte: Ap, 03/05/2023) 

KENYA: RICONOSCIUTO INNOCENTE DALL’ALTA CORTE
Un’Alta Corte del Kenya il 27 aprile 2023 ha annullato la condanna all’ergastolo di un uomo che era stato giudicato colpevole di far parte di una banda di pirati che uccisero un turista britannico 12 anni fa.
Ali Kololo, della contea di Lamu, era stato condannato per rapina con violenza in relazione all'attacco del 2011 che causò la morte di David Tebbutt, mentre sua moglie Judith fu tenuta prigioniera in Somalia per sei mesi.
L'Alta Corte di Malindi ha stabilito che la sua colpevolezza non è sicura e ha annullato la sentenza.
Judith e David Tebbutt furono attaccati da uomini armati nel settembre 2011 mentre erano in vacanza in un resort sulla spiaggia nella regione settentrionale di Lamu, in Kenya, lungo il confine tra Kenya e Somalia. Un gruppo armato fece irruzione nella loro abitazione, uccidendo David e rapendo Judith, che fu portata in Somalia, dove è stata tenuta in ostaggio fino a quando, secondo quanto riferito, suo figlio ha pagato un riscatto di 800.000 sterline per il rilascio.
Kololo, che dichiarava la propria innocenza, era stato condannato a morte nel 2013.
La sua condanna era stata in seguito commutata in ergastolo ed era stato rinchiuso nel carcere di massima sicurezza di Shimo la Tewa, noto per ospitare alcuni dei criminali più pericolosi del Kenya.
Lo scorso febbraio, Kololo era stato liberato su cauzione dopo un'udienza d'appello, in attesa della sentenza dell'Alta Corte.
In quell'udienza, il direttore della pubblica accusa (DPP) del Kenya ha affermato che Kololo non avrebbe mai dovuto essere ritenuto colpevole poiché le conclusioni del giudice "non erano basate su prove registrate".
Il DPP ha osservato che la testimonianza di un alto ufficiale della polizia metropolitana e l'impronta di scarpa che presumibilmente lo collegava alla scena del crimine erano "prove puramente per sentito dire".
Reprieve, l'organizzazione non-profit di avvocati e investigatori internazionali che ha condotto una campagna per il rilascio di Kololo, ha affermato che l'ex taglialegna è stato torturato al fine di ottenere una confessione. Non aveva un avvocato o un interprete al processo e non capiva la maggior parte dei documenti e dei procedimenti dell'accusa, che erano in inglese e kiswahili, lingue che non comprendeva bene essendo membro della tribù Boni.
"È difficile parlare di giustizia quando un giovane innocente ha perso 11 anni della sua vita a causa di un'indagine montata e di un processo iniquo, ma oggi i tribunali kenioti hanno finalmente iniziato a riparare a questo terribile torto", ha affermato l'avvocato di Kololo, Alfred Olaba.
"Mi congratulo con il direttore della pubblica accusa per aver riconosciuto tardivamente che Ali non avrebbe mai dovuto essere condannato e ringrazio il tribunale per la sua sentenza".
La direttrice di Reprieve, Maya Foa, ha aggiunto: “Il processo di Ali Kololo è stato uno dei più ingiusti che si possano immaginare. Lo squilibrio di potere in aula era sbalorditivo, tra il detective anziano della polizia metropolitana che testimoniava per l'accusa e l'imputato analfabeta processato in una lingua che non capiva, senza l'aiuto di un avvocato per la maggior parte del processo... È una tragedia che ci sia voluto così tanto tempo per raggiungere questo punto dal momento che l'ingiustizia era evidente fin dall'inizio.
Judith Tebbutt ha sempre sostenuto che Kololo non facesse parte della banda che ha ucciso suo marito e l'ha tenuta prigioniera, e si è battuta perché avesse un processo equo. Ha detto di ritenere che Kololo fosse diventato un "capro espiatorio".
Ha detto di essere "felicissima" di vedere Kololo libero, aggiungendo che è stato "scioccante e triste" pensare a ciò che quell’uomo ha dovuto sopportare.
(Fonte: The Guardian, 27/04/2023)

PAKISTAN: ALTA CORTE COMMUTA DUE CONDANNE CAPITALI IN UN CASO DI OMICIDIO
L'Alta corte della provincia pakistana di Sindh l'8 maggio 2023 ha commutato in ergastolo le condanne a morte di due uomini riconosciuti colpevoli in un caso di omicidio.
Un tribunale antiterrorismo aveva condannato a morte Mohammad Qasier e Mohammad Sohail nel settembre dello scorso anno per il rapimento e l'omicidio del quindicenne Junaid, avvenuti nel marzo 2019.
Entrambi i condannati, attraverso i loro avvocati, avevano contestato la decisione del tribunale di primo grado davanti all'Alta corte e dopo aver ascoltato entrambe le parti ed esaminato le prove, il collegio dell’Alta corte presieduto dal giudice K. K. Agha ha commutato le condanne a morte in ergastolo.
Pur riconoscendo che l’accusa ha dimostrato la propria tesi, l’Alta corte ha osservato che si tratta di una tesi basata su prove indiziarie in quanto non c’è alcun testimone oculare né un testimone che abbia visto gli imputati insieme alla vittima.
Ha inoltre osservato che entrambi i ricorrenti hanno registrato le loro confessioni davanti a un magistrato e che le confessioni risultano essere state rese volontariamente.
Il collegio ha affermato che entrambi i ricorrenti hanno lavorato e vissuto insieme, vicini l'uno all'altro e hanno pianificato di rapire il ragazzo per chiedere un riscatto a suo padre. In seguito, lo avrebbero ucciso perché temevano che il ragazzo potesse identificarli se liberato.
Per quanto riguarda i reati ai sensi della Legge Antiterrorismo, l’Alta corte ha osservato che non vi sono prove per dimostrare che il crimine sia stato commesso con un disegno, intenzione o scopo di creare terrore, ma piuttosto per estorcere denaro come riscatto, per cui le disposizioni della Legge Antiterrorismo non sono applicabili a questo caso.
"Sebbene le prove suggeriscano che il motivo alla base del rapimento fosse quello di ottenere un riscatto in cambio della liberazione di Junaid, osserviamo che nessuna effettiva richiesta di riscatto è stata dimostrata dall'accusa attraverso prove visive o altre forme di prova, ad esempio registrazioni audio, per cui assolviamo i ricorrenti rispetto al reato previsto dalla sezione 365-A del Codice penale pakistano", ha stabilito la Corte.
Per quanto riguarda la condanna, il collegio ha osservato che poiché il caso è basato su prove indiziarie e considerato il bisogno di mostrare maggiore cautela, la pena di morte viene ridotta all'ergastolo.
Secondo l'accusa, la vittima scomparve l'11 marzo 2019 e il 6 aprile il suo cellulare fu attivato. La polizia ha rintracciato l'uomo, Waseem Nadir, che stava usando il telefono, il quale ha detto agli investigatori di aver acquistato il cellulare da un certo Sohail. La polizia arrestò allora Sohail e il suo complice Qaiser ed entrambi avrebbero confessato di aver rapito e ucciso il ragazzo. La polizia recuperò parti del corpo della vittima su indicazioni fornite dai due uomini.
(Fonte: Dawn, 09/05/2023)

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I SUGGERIMENTI DELLA SETTIMANA


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