Nessuno tocchi Caino - BERLUSCONI. NESSUNO TOCCHI CAINO LO RICORDA PER IMPEGNO PRO MORATORIA ESECUZIONI CAPITALI ALL'ONU

 Nessuno tocchi Caino news

Anno 23 - n. 23 - 17-06-2023

Contenuti del numero:

1.  LA STORIA DELLA SETTIMANA : BERLUSCONI. NESSUNO TOCCHI CAINO LO RICORDA PER IMPEGNO PRO MORATORIA ESECUZIONI CAPITALI ALL'ONU
2.  NEWS FLASH: SUL ‘RINASCIMENTO’ SAUDITA SCORRONO FIUMI DI SANGUE
3.  NEWS FLASH: TRATTAMENTI DISUMANI NEL CARCERE DI RIMINI: PAROLA DI GIUDICE
4.  NEWS FLASH: EGITTO: GIUSTIZIATO L’OMICIDA DELLA STUDENTESSA UNIVERSITARIA NAIYERA ASHRAF
5.  NEWS FLASH: FLORIDA (USA): DUANE OWEN GIUSTIZIATO
6.  I SUGGERIMENTI DELLA SETTIMANA : DESTINA IL TUO 5X1000 A NESSUNO TOCCHI CAINO


BERLUSCONI. NESSUNO TOCCHI CAINO LO RICORDA PER IMPEGNO PRO MORATORIA ESECUZIONI CAPITALI ALL'ONU
Roma, 12 giugno 2023

L'associazione Nessuno tocchi Caino ricorda Silvio Berlusconi e il suo rapporto con Marco Pannella. In particolare ricorda la forza e il coraggio che ebbe quando, nel 1994, presentò per la prima volta la Risoluzione per la moratoria universale delle esecuzioni capitali all'Assemblea generale delle Nazioni Unite. Allora perdemmo per 8 voti, prevalentemente quelli dei paesi fondamentalisti dell'abolizione tout-court della pena capitale e perciò contrari al “mera moratoria delle esecuzioni”.
Grazie a quel voto innescammo un processo che nel 2007 (Governo Prodi) portò al successo dell'approvazione della Risoluzione pro-moratoria al Palazzo di Vetro che fece conoscere l'Italia nel mondo per la battaglia contro la pena di morte che grazie al “compromesso” della “mera moratoria” fu abolita in decine di Paesi.
Per saperne di piu' :

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NESSUNO TOCCHI CAINO - NEWS FLASH

SUL ‘RINASCIMENTO’ SAUDITA SCORRONO FIUMI DI SANGUE
Sergio D’Elia su L’Unità dell’11 giugno 2023

Il 2022 passerà alla storia della dinastia saudita come l’anno della spada. Nella terra delle due sacre moschee, la giustizia ha squilibrato la stessa bilancia del delitto e del castigo, superato anche l’arcaico, tremendo principio dell’occhio per occhio che pur fissa un limite, comunque impone una misura nella aberrante pratica della pena di morte.
La dea bendata dei Saud ha sferrato colpi alla cieca con il suo braccio armato.
La legge è stata letteralmente quella del taglione: ha tagliato vite in nome di Dio, ha decapitato esseri umani a un ritmo umanamente insostenibile anche per il più allenato e inumano tagliatore di teste. In tutto il corso dell’anno, almeno 196 persone sono state passate per le armi. In un solo giorno, il 12 di marzo, ne sono state decollate 81. È impossibile solo immaginare come sia potuto accadere, come abbia potuto un boia “normale” compiere l’opera “straordinaria” di “lavorare” senza respiro e senza pietà dall’alba al tramonto.
Il rinascimento saudita del principe ereditario, Mohammad bin Salman, è svanito in un giorno nel mare di sangue versato sulla sabbia dorata davanti alla moschea più vicina al luogo del delitto dove i condannati sono stati messi in ginocchio con le mani legate dietro la schiena e la testa posata sul ceppo, il boia ha sguainato la spada e inferto il taglio mortale, la folla ha urlato “Allahu Akbar!” (Dio è grande). Nel 2022, il macabro rito della decapitazione è stato rappresentato almeno 196 volte. In alcuni casi, sarebbero stati uccisi “uomini, donne e bambini innocenti”; in altri, non era stata versata una goccia di sangue; in altri ancora i decapitati erano accusati di avere “credenze devianti”, una formula omnicomprensiva che accomuna fedi religiose opposte, dal fanatismo islamico violento dei sunniti appartenenti ad Al-Qaeda alla versione sciita dell’Islam propria degli Houti.
Nel 2023, il regime saudita non ha cambiato verso. Nei primi mesi di quest’anno il braccio violento della legge ha “giustiziato” altre 47 persone. Le ultime tre sono state decapitate domenica scorsa nella regione orientale popolata da sciiti, la minoranza religiosa del regno vittima di abusi, persecuzioni e discriminazioni di ogni genere. L’annuncio è stato dato dal ministero dell’Interno che ha comunicato i nomi dei condannati: Hussein bin Ali bin Muhammad al-Mohishi, Fazel bin Zaki bin Hossein Ansif e Zakaria bin Hassan bin Muhammad al-Mohishi. Secondo il ministero dell’Interno i tre erano colpevoli di “adesione a una cellula terroristica, possesso di armi e aggressione armata a centri e uomini della sicurezza”. Due di loro sono stati accusati anche di stupro e adulterio, uno schema in Arabia Saudita quello di mescolare reati comuni e reati politici, “una deliberata confusione per far accettare alle persone l’esecuzione e ridurre al minimo la simpatia” nei co
 nfronti dei rivoltosi della provincia orientale del regno, ha detto Ali Adubisi, il direttore dell’Organizzazione europea saudita per i diritti umani (ESOHR). Il mese scorso, altri tre giovani della regione di Qatif, popolata da sciiti, erano stati giustiziati per simili accuse di “sicurezza”.
La provincia orientale dell’Arabia Saudita, ricca di petrolio e prevalentemente sciita, è stata teatro di manifestazioni pacifiche dal febbraio 2011. I manifestanti hanno chiesto riforme, libertà di espressione, il rilascio dei prigionieri politici e la fine della discriminazione economica e religiosa contro la regione. Il regime ha risposto aumentando le misure di sicurezza e il numero delle decapitazioni. Studiosi musulmani sciti sono stati giustiziati e attivisti per i diritti delle donne sono stati messi dietro le sbarre e torturati mentre la libertà di espressione, associazione e credo continua a essere negata.
Era apparso al mondo come una stella cometa che annuncia e guida verso una rinascita, una nuova era di vita, luce, libertà nella terra dei Saud. Da quando Mohammed bin Salman è diventato il leader de facto dell’Arabia Saudita nel 2017, invece, il regno è precipitato nelle tenebre. Le teste illuminate del paese – di attivisti, blogger, intellettuali e altri percepiti come oppositori politici – sono state tagliate.
L’illuminismo arabo di bin Salman si è spento subito, l’età dei lumi non è durata neanche un lustro. La visione religiosa di un Islam progressista, tollerante e misericordioso è stata profanata da un potere oscurantista votato solo a conservare sé stesso, un ordine odioso costituito sul terrore e una legge spietata come quella del taglione.

TRATTAMENTI DISUMANI NEL CARCERE DI RIMINI: PAROLA DI GIUDICE
Enrico Amati su L’Unità dell’11 giugno 2023

Pochi chilometri separano Rimini dalla Repubblica di San Marino. Eppure la distanza è abissale sul piano della situazione delle carceri. A San Marino attualmente non c’è nemmeno un detenuto e si ragiona addirittura sulla possibilità di abolire il sistema carcerario. La prima sezione della Casa circondariale di Rimini riflette invece (purtroppo) la drammatica, e inevitabilmente più complessa, situazione in cui versano le carceri italiane, di recente fotografata anche dall’ultimo rapporto di Antigone.
Il tema è stato oggetto di discussione presso il Palazzo Pubblico di San Marino in occasione della tappa romagnola del “Viaggio della speranza” di Nessuno tocchi Caino, al quale hanno partecipato anche alcuni componenti dell’Osservatorio carcere della Camera penale di Rimini e il Garante dei detenuti.
Le criticità della prima sezione, più volte segnalate dalla Camera penale e dai radicali riminesi, derivano dall’inadeguatezza della struttura e non possono essere superate dalla grande professionalità e umanità degli agenti e operatori penitenziari.
Già nel novembre del 2021 le verifiche dell’Ausl avevano evidenziato condizioni igieniche «molto scadenti», non risolvibili con interventi di ordinaria manutenzione, tali da rappresentare «un rischio sanitario per i detenuti». Non giunge pertanto inaspettata l’ordinanza del Magistrato di Sorveglianza di Bologna del febbraio di quest’anno che, accogliendo il reclamo di un detenuto, ha riconosciuto che parte del periodo di detenzione subito all’interno della sezione configura un trattamento inumano e degradante in violazione dell’art. 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (Cedu). Le problematiche riscontrate – angolo cottura affianco al wc, presenza di insetti, condizioni scadenti dei locali docce – rappresentano purtroppo situazioni ricorrenti nelle carceri italiane, che evidenziano lo “scandalo” della pena carceraria in Italia. Scandalo, per usare le parole del Prof. Tullio Padovani, «è tutto ciò che suscita reazione di sdegnata meraviglia per l’assurdità del suo stesso accadere […] Sostanzialmente si fa perno sulla constatazione che il carcere realizza una situazione di fatto che è in contrasto con tutti i parametri normativi dettati per disciplinarla» (La pena carceraria, Pisa, 2014).
La buona notizia, per quanto riguarda Rimini, è che finalmente sembra siano stati sbloccati i fondi per la ristrutturazione della prima sezione. Bisognerà però attendere i tempi della burocrazia. Nel frattempo? Nel frattempo è ragionevole prevedere che i detenuti continueranno a fare ricorso agli strumenti compensativi che l’ordinamento mette loro a disposizione, probabilmente ottenendo riduzioni di pena e irrisori ristori patrimoniali.
Tutto bene, dunque?
Personalmente ritengo che, in attesa della auspicata ristrutturazione e sempre che sussistano le condizioni per farlo, la sezione dovrebbe essere chiusa. Un ordinamento democratico-liberale non può tollerare che all’interno di una struttura detentiva si assuma violato l’art. 3 della Cedu.
Se poi si volge lo sguardo “oltre il giardino” del carcere romagnolo, si deve prendere atto che occorre superare la visione carcerocentrica della pena. La Costituzione, riferendosi alle “pene”, nega la pigra equivalenza tra pena e carcere. La riforma Cartabia, con l’introduzione delle “nuove” pene sostitutive, esprime – almeno sul piano culturale – un mutamento di passo nell’ottica della pena carceraria quale extrema ratio. Occorre tuttavia una revisione profonda del sistema sanzionatorio nell’ottica del superamento della centralità del carcere, intervenendo sullo stesso “catalogo” delle pene principali. Si deve poi tornare a ragionare in termini di diritto penale ‘minimo’, attraverso politiche di depenalizzazione e il recupero degli strumenti di clemenza.
A San Marino si riflette addirittura sulla possibilità di fare a meno del carcere. Un’utopia per l’Italia? Può darsi. Ma, forse, richiamando il pensiero dello storico delle idee Isaiah Berlin, si tratta davvero dell’”utopia della decenza”.

EGITTO: GIUSTIZIATO L’OMICIDA DELLA STUDENTESSA UNIVERSITARIA NAIYERA ASHRAF
Le autorità egiziane il 14 giugno 2023 hanno giustiziato l’uomo che era stato riconosciuto colpevole dell’omicidio della studentessa universitaria Naiyera Ashraf, avvenuto lo scorso anno.
Mohamed Adel, che all'epoca si era dichiarato colpevole dell'omicidio, è stato giustiziato nella prigione di Gamasa.
La condanna è stata eseguita dopo il rigetto degli appelli presentati dai legali dell'imputato.
Ashraf, 21 anni all’epoca del suo omicidio, fu uccisa il 20 giugno 2022 da Adel all'ingresso della sua università in Egitto dopo aver rifiutato la proposta di matrimonio avanzata dal ragazzo.
Adel era stato condannato il 28 giugno 2022 in un processo di due giorni, molto coperto dai media, dopo la diffusione virale di un video che mostrava l’accoltellamento della vittima fuori dall’ università a Mansoura, 150 Km a nord del Cairo, commesso appena otto giorni prima.
In precedenza, la ragazza aveva denunciato alle autorità di temere un’aggressione e i pubblici ministeri hanno dichiarato che sul suo telefono sono stati trovati messaggi dell'imputato "che minacciavano di tagliarle la gola".
Il tribunale penale di Mansoura aveva emesso la condanna a morte per Adel, ritenendo l’omicidio premeditato.
La Corte di Cassazione aveva confermato la condanna il 9 febbraio di quest’anno.
I pubblici ministeri hanno presentato la testimonianza di 15 persone, tra studenti, personale di sicurezza universitario e dipendenti di negozi, i quali hanno confermato di aver visto l'imputato aggredire la vittima.
Una serie di femminicidi avvenuti in Egitto lo scorso anno hanno scatenato una diffusa rabbia e paura nel Paese.
Alcuni utenti dei social media hanno chiesto la condanna a morte dei colpevoli, mentre altri hanno affermato che gli uomini devono "imparare ad accettare un rifiuto".
L'omicidio è un reato capitale in Egitto, che lo scorso anno ha effettuato il quarto maggior numero di esecuzioni al mondo, secondo Amnesty International.
(Fonti: Al Arabiya, 14/06/2023; Egyptian Streets, 14/06/2023)

FLORIDA (USA): DUANE OWEN GIUSTIZIATO
Duane Owen, 62 anni, bianco, è stato giustiziato il 15 giugno 2023 mediante iniezione letale nella prigione di Stark.
Uno dei detenuti più longevi nel braccio della morte della Florida, Owen aveva 23 anni al momento dei reati e 62 quando è stato giustiziato.
Owen ha rifiutato di rilasciare una dichiarazione finale.
La procedura è iniziata alle 18:01, con le braccia di Owen che si contraevano e il suo respiro diventava più pesante mentre il sedativo faceva effetto. Il direttore si è assicurato che Owen fosse privo di sensi prima che venissero somministrati i farmaci letali. È stato dichiarato morto alle 18:14
Era accusato, ed aveva confessato, di aver violentato e ucciso Karen Slattery, 14 anni, il 24 marzo 1984, e Georgianna Worden, 38 anni, il 28 maggio 1984.
Owen venne condannato a morte in due processi separati nel 1985 e 1986, e a sei ergastoli per altre due aggressioni, non mortali, contro altrettante donne.
Nel 1999 ottenne di ripetere il processo per l’omicidio Slattery, sostenendo che non erano stati approfonditi i suoi problemi mentali, la sua difficile infanzia, e i suoi problemi che oggi rientrano nello spettro della ‘disforia di genere’, in quanto, secondo Owen, i reati li aveva compiuti nel tentativo di procurarsi denaro per acquistare ormoni ed effettuare una transizione di genere.
Nel 1999 venne di nuovo condannato a morte.
La sua difesa ha continuato a sollevare la questione delle sue condizioni mentali, che però sono state anche in seguito giudicate ‘compromesse’, ma non al punto da escluderne la validità della condanna a morte.
Quanto alla questione sessuale, gli psichiatri dello stato hanno detto che Owen aveva una buona memoria, non sembrava presentarsi come una donna e che la disforia di genere non rende le persone più aggressive o causa pensieri deliranti. Hanno invece definito Owen come ‘sessualmente sadico’.
La Corte Suprema dello stato ha respinto il suo ultimo appello su questi argomenti la scorsa settimana e la Corte Suprema degli Stati Uniti lo ha respinto il 14 giugno.
È stata la quarta esecuzione in Florida quest'anno. Il governatore DeSantis, un repubblicano, ha firmato ciascuno dei mandati di esecuzione nei mesi che hanno preceduto l’annuncio di candidatura per la Presidenza degli Stati Uniti.
Owen diventa la quarta persona giustiziata in Florida quest'anno, la 103a da quando la Florida ha ripreso le esecuzioni nel 1979, la 13a persona giustiziata negli USA nel 2023 e la 1.571a in totale da quando gli Stati Uniti hanno ripreso le esecuzioni nel 1977.
(Fonte: Associated Press, 15/06/2023)

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I SUGGERIMENTI DELLA SETTIMANA


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