Nessuno tocchi Caino - COSÌ PANNELLA ACCOLSE FRANCESCA MAMBRO E VALERIO FIORAVANTI

Nessuno tocchi Caino news

Anno 23 - n. 22 - 10-06-2023

Contenuti del numero:

1.  LA STORIA DELLA SETTIMANA : COSÌ PANNELLA ACCOLSE FRANCESCA MAMBRO E VALERIO FIORAVANTI
2.  NEWS FLASH: IN IRAN GIUSTIZIATI PER IL REATO DI AMORE: IL DRAMMA DI MEHRDAD E FARID
3.  NEWS FLASH: FERMIAMO IL CAVALLO IMBIZZARRITO CHIAMATO ‘SISTEMA PENALE’
4.  NEWS FLASH: NAPOLI: 14 GIUGNO, ‘DELLE ELITE E DELLE PENE’
5.  NEWS FLASH: ARABIA SAUDITA: QUATTRO UOMINI GIUSTIZIATI PER TERRORISMO E OMICIDIO
6.  I SUGGERIMENTI DELLA SETTIMANA : DESTINA IL TUO 5X1000 A NESSUNO TOCCHI CAINO


COSÌ PANNELLA ACCOLSE FRANCESCA MAMBRO E VALERIO FIORAVANTI
Sergio D’Elia su L’Unità del 3 giugno 2023

Caro Piero, sono sempre più convinto che abbiamo fatto bene a seguirti anche sull’Unità. Perché su Fioravanti hai scritto, che meglio non si poteva, cosa vuol dire il nostro “Nessuno tocchi Caino”. Il tuo discorso su Valerio, “il Caino, l’uomo, il sapiente” marchiato dai “militanti del bene” col “fine pena mai”, è un saggio del pensiero – tu diresti – socialista, cristiano, liberale e – aggiungerei io – nonviolento del Diritto e della Giustizia.
Il tuo discorso su Valerio è un inchino grandioso al principio cristiano “non giudicare” da cui solo può originare il fine a cui dobbiamo tendere del disarmo unilaterale della violenza propria del diritto e della giustizia penali. La giustizia che brandisce una spada, in nome di un popolo in animo di lanciare pietre, nella prospettiva penitenziaria della privazione non solo della libertà ma di tutto: della salute, della dignità, della vita…
Ecco, tutto ciò, in un momento, sarebbe dissuaso dalla semplice domanda: chi giudica chi? Questa straordinaria istanza della sospensione del giudizio, mai pensata, poco sentita e per nulla praticata dai primi agli ultimi sedicenti seguaci di Cristo, vive oggi – grazie a te – su un giornale fondato, guarda caso, proprio da un carcerato. Non poteva che essere così. E ai patiti della pena, ai cultori delle manette, delle sbarre e dei chiavistelli suggerirei un breve momento di “rieducazione”, la pratica di un giorno in quella straordinaria opera di misericordia corporale che è “visitare i carcerati”.
Opera che continuiamo a incarnare nel nostro “viaggio della speranza” che da gennaio ha fatto tappa già in sessanta istituti di pena. A proposito, caro Piero, lancio qui una proposta. A settembre, nell’anniversario della morte di Mariateresa Di Lascia, la fondatrice di Nessuno tocchi Caino, facciamo insieme una visita a Turi ed entriamo nella cella dove è stato carcerato Antonio Gramsci, il fondatore de l’Unità.
Nell’andare a Turi, magari, facciamo tappa a Nola, dove è nato Giordano Bruno, per onorare l’eretico e l’eresia di un pensiero letteralmente “religioso”, cioè volto all’armonia, al dialogo, all’unione di cose e storie diverse. Perché così funziona l’universo, su questo si regge il mondo: sulla legge e l’ordine, sull’amore e la nonviolenza. Questo vale anche per noi, credo, nel nostro piccolo mondo associativo, politico, editoriale.
Scusami, se nel parlare di te e del tuo amico Valerio parlerò un po’ anche di me. Forse, sarà più accettabile, essendo la mia storia di matrice “politicamente corretta” in quanto opposta a quella di Valerio. Anche se in realtà è la stessa storia, perché il destino tragico della violenza che uccide con il prossimo anche se stessi e la maledizione senza scampo dei mezzi che prefigurano e pregiudicano i fini, sono gli stessi. Allora, mi ricordo che quando, mezzo secolo fa, la mia prima vita fu bruscamente interrotta dall’arresto ed è iniziato il mio ininterrotto – per una dozzina d’anni – peregrinare nelle patrie galere, all’ingresso di una di esse molto speciale c’era una scritta: “qui entra l’uomo, il reato resta fuori”.
Anni dopo, un grande capo del Dap, Nicolò Amato, concepì una visione diversa del carcere che definì il “carcere della speranza”. Grazie a lui uscii dal “carcere duro” e l’anno dopo entrai nel Partito Radicale. Con un permesso premio andai al Congresso per consegnare al partito della nonviolenza la mia prima vita violenta. Marco Pannella l’accolse, tutta, la mia vita, non la fece a pezzi come un quarto di bue sul bancone di macelleria: da una parte quella buona, nonviolenta, dall’altra quella cattiva, violenta. “Violenti e nonviolenti sono fratelli”, diceva Marco. Nemici sono i rassegnati, gli indifferenti. La differenza, aggiungeva, è che i violenti sono rivoluzionari per odio, i nonviolenti lo sono per amore.
È qui, nel nome, nella visione e nel metodo di Pannella, che la mia vita si intreccia con quella di Valerio (e di Francesca). Per contrappasso Marco affidò a me la missione contro la pena di morte nel mondo, l’omicidio politico, l’errore capitale dello Stato che nel nome di Abele diventa esso stesso Caino. Per amore della semplice verità che l’uomo della pena può essere diverso da quello del delitto, Marco accolse anche Valerio Fioravanti di cui pensava e ripeteva spesso: “Se avessi dei figli non esiterei un attimo ad affidargliene la cura e l’educazione”.
Così, quando Francesca e Valerio sono usciti da Rebibbia, ad attenderli c’erano i senza potere, gli inermi, i radicali nonviolenti, pannelliani di Nessuno tocchi Caino. Convinti della loro diversità dai tempi del delitto e anche della loro estraneità al più orribile dei delitti. Credenti nella supremazia dei valori costituzionali e universali della persona sui sentimenti popolari di vendetta. Osservanti il diritto-dovere di accoglienza degli ultimi tra gli ultimi: i carcerati.
È qui che la storia di Nessuno tocchi Caino si intreccia con quella de l’Unità. A Nessuno tocchi Caino può iscriversi chiunque, su l’Unità può scrivere chiunque, anche Valerio Fioravanti. Sono luoghi dove entra l’uomo e il reato resta fuori, dove è possibile essere sé stessi, cioè identificarsi col diverso, difendere l’opposto.

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NESSUNO TOCCHI CAINO - NEWS FLASH

IN IRAN GIUSTIZIATI PER IL REATO DI AMORE: IL DRAMMA DI MEHRDAD E FARID
Elena Baldi su L’Unità del 4 giugno 2023

Quando sono andati ad arrestarli hanno capito. Hanno capito ma non si sono lasciati, sono rimasti abbracciati, come erano prima. Sono stati poi gli aguzzini a separarli, a sostituire con il freddo metallico delle manette il calore delle loro mani.
Mehrdad Karimpou e Farid Mohammadi, questi erano i loro nomi, hanno avuto immediatamente un regolare processo. “Regolare” nell’accezione del diritto vivente islamico: con un giudice, un giudice vero nominato secondo quelle leggi, con un regolare capo d’imputazione ispirato agli articoli 114-119 del codice penale iraniano che così recita: “sono puniti con la pena di morte coloro che, raggiunta l’età adulta, compiono atti ‘sodomitici’ per la quarta volta consecutiva”.
Si trattava di persone che dovevano conoscere la legge, dovevano conoscere il Corano e seguire le sue regole. Avevano stravolto le regole primarie della natura, partecipando a turpi pratiche. Avrebbero dovuto essere perdonate? essere lasciate andare? Hanno avuto il permesso di rispondere alle accuse e difendersi: gli è stato concesso; potevano parlare nel corso del processo, replicare ciò che volevano. Una volta però che era accertata la loro colpevolezza, non c’era certo bisogno dell’avvocato e men che meno dell’appello. Questo è ciò che stabilisce il loro incontestato codice di procedura: niente eccezioni, niente opposizioni, c’è il diritto divino che vede e provvede, la difesa come la interpretiamo noi è un semplice orpello. E così è andata a quei giovani innamorati, condannati a morte e portati al patibolo, nella prigione di Maragheh, dopo sei anni trascorsi nel braccio della morte. Trascinati davanti al boia, avvolti nella corda e poi impiccati, fino a quando lâ
 �™ultimo alito di vita se ne era andato via.
In una celeberrima intervista di Oriana Fallaci all’Iman Khomeini la giornalista italiana chiese “È giustizia, secondo lei, fucilare una povera prostituta o una donna che tradisce il marito o un uomo che ama un altro uomo?” Il capo religioso Iraniano, Sua Eccellenza Santissima e Reverendissima Ruhollah Khomeini, dopo aver sbirciato con sguardo severo quell’impertinente donna rispose: “Le cose che portano corruzione a un popolo devono essere sradicate come erbe cattive che infestano un campo di grano. Lo so, vi sono società che permettono alle donne di regalarsi in godimento a uomini che non sono loro mariti, e agli uomini di regalarsi in godimento ad altri uomini. Ma la società che noi vogliamo costruire non lo permette. Nell’Islam noi vogliamo condurre una politica che purifichi. E affinché questo avvenga bisogna punire coloro che portano il male corrompendo la nostra gioventù. Sì, i malvagi vanno eliminati: estirpati come le erbacce”.
Ecco Mehrdad e Farid rappresentavano un’erbaccia nel campo di grano e per l’interesse del popolo Iraniano dovevano essere uccisi. E così è stato. Esser giustiziati con la morte per amore, non servirà però di esempio, non sarà mai un monito per gli innamorati… per gli innamorati degli uomini o per gli innamorati della giustizia. Solo chi non ha mai amato potrà pensare che l’amore possa essere ucciso.
Nel mio giardino ho piantato molti fiori: ci sono le rose, ci sono i gerani e in casa ho le orchidee. Li curo con pazienza e dedizione. Poi un giorno, dalla pietra che costeggia il prato è sbucato un rosmarino, un rametto. Mi son chiesta come avesse fatto e poi, senza indugio, l’ho tagliato. Ma dopo poco tempo è sbucato ancora e io, lesta, l’ho tagliato un’altra volta: non potevo permettere che quella pianta diversa potesse turbare l’armonia del mio giardino. Non è servito a nulla, il rosmarino è nuovamente sbucato dalla pietra. E allora ho capito e l’ho lasciato. Ora è una pianta grande, bella e profumata e, nella stagione giusta, fa i fiori.
Chissà cosa pensava Mehrdat quando con gli occhi pieni di pianto veniva trascinato davanti al boia. Chissà qual è stata l’ultima immagine che Farid ha potuto osservare prima che il sipario della morte calasse sul suo viso. Certamente quel giorno con loro non è morto il sentimento, certo è che la loro storia continuerà ad ardere sotto l’apparente grigiore della cenere. Se ne parlerà a voce bassa nelle case, sarà rievocata da qualche operaio nelle fabbriche e poi dagli studenti nelle università. Certo è che in un giorno vicino un Giudice Iraniano entrerà in aula e pensando a loro farà veramente giustizia. E quel giorno per il popolo Iraniano comincerà la rivoluzione, quella vera.

FERMIAMO IL CAVALLO IMBIZZARRITO CHIAMATO ‘SISTEMA PENALE’
Diego Mazzola su L’Unità del 4 giugno 2023

Un poco alla volta, come quelle poche stelle che si vedono sbucare da un cielo nero in tempesta, si fa strada l’ipotesi abolizionista del sistema penale e con esso del modello retributivo/punitivo. Che sia la fine della vendetta di Stato intesa come Giustizia? Stiamo forse pensando di rottamare la legge “dell’occhio per occhio e dente per dente”, che risale a 1750 anni a. C. e che è conosciuta come Codice di Hammurabi?
Le coscienze si aprono all’ipotesi della nonviolenza nella costruzione della società aperta, moderna e liberalmente intesa, se non fosse per l’incedere del populismo penale e non solo. E siccome pare proprio che ti credano solo se dici qualcosa di negativo, ecco il ritorno dell’idea di chiudersi alla solidarietà con il blocco dei porti e con la messa in atto di nuovi restringimenti. Intendiamo, cioè, negare ad altri popoli ciò che ci è garantito dalla nostra Costituzione. Aspettiamo, dunque, i tempi migliori, come quelli in cui ci farà di nuovo orrore il veder marcire in galera degli esseri umani o quello di trattenere in galera anche dei bambini innocenti e così via.
Ma quando le cose potranno cambiare? Solo quando il Parlamento e la “politica” avranno conosciuto il pensiero di Nils Christie, di Louk Hulsman, di Thomas Mathiesen e soci. Essi auspicavano un rapporto molto più sano tra Stato e cittadino e una più morale attenzione delle Istituzioni. Ricordo che, durante una delle mie visite a San Vittore, un detenuto me ne indicò un secondo, che era appena stato ri-carcerato e al quale “avevano lasciato” il posto nella stessa cella dalla quale era uscito solo due giorni prima. L’uomo in questione era sulla settantina, molto modestamente vestito, barba incolta, vecchia camicia col colletto sporco di sangue, insomma il ritratto più vero di un nullatenente. La persona in questione non aveva casa, lavoro, parenti. Il carcere era la sua famiglia, il luogo in cui vivere.
Un doveroso ricordo va dato anche a Ruth Wilson Gilmore, “abolizionista” convinta, che nel 1998 insieme ad Angela Davis e uno sparuto gruppo di persone fondarono la “Critical Resistance”, un’organizzazione con sede negli Stati Uniti che si è posto in testa di smantellare quello che chiama il complesso carcerario-industriale. Oggi quelle attiviste riescono perfino a fermare, legalmente e in modo nonviolento, la costruzione di nuove carceri.
Forse quando ci si troverà tra le mani un progetto transnazionale per l’affermazione di quel benedetto Diritto, soprattutto quello dei soggetti più emarginati, quando si sarà capito che bisogna prendersela con i motivi che inducono al fatto/reato più che con la persona, le cose potranno cambiare.
Che cosa accadrà, allora, dei tanti magistrati e dei tanti avvocati, che oggi traggono la propria ragion d’essere dal casino in cui versano l’Ordinamento ed il sistema giustizia? Essi temono, forse, di perdere il lavoro? Il compianto professor Hulsman dall’Olanda ci disse, largamente motivando, che: «Se dunque si abolisse il sistema penale, la maggior parte di quelli che partecipano attualmente al suo funzionamento continuerebbero ad avere assicurata un’attività, con uno statuto morale più elevato. Fermiamo dunque il cavallo imbizzarrito… Nella mia mente, abolire il sistema penale significherebbe riconsegnare alla vita comunitaria, istituzioni e uomini». Qual è il rischio: che si facciano meno processi? Intanto siamo ancora in attesa di una vera riforma del lavoro, che adempia senza esitazione al dettato costituzionale che ne ha sancito il Diritto e al ripristino delle Borse Lavoro.
Parafrasando Hulsman si dirà che «È giunta l’ora di abolire il giochetto del crimine e della punizione e sostituirlo con un paradigma di restituzione e responsabilità. L’obiettivo non è solo la civilizzazione del trattamento di chi infrange le regole, ma anche quello di dare un significato più profondo e più proficuo al rapporto tra le Istituzioni e i cittadini».
Che fare, dunque, per fermare il “cavallo imbizzarrito”? E affermare la Riforma del Sistema Giustizia coerente sotto le bandiere della nonviolenza? Perché escludere a priori la via “rivoluzionaria” della ricerca – che fu di Gustav Radbruch e di Aldo Moro – “non di un diritto penale migliore ma di qualcosa di meglio del diritto penale”?
Pena è ciò che si prova di fronte alla sofferenza di animali o persone, per l’appunto sofferenti, ma se è provocata a terzi è solo “tortura”. Perché confidare nella sofferenza e nella punizione – in qualche modo nella tortura legale – di coloro che hanno trasgredito alle regole, quando si può far leva sul concetto di “dignità personale” in un progetto di reinserimento consapevole nel tessuto sociale, magari mettendo finalmente a tacere la Bossi-Fini e la Fini-Giovanardi?
Perché non dedicare molta più attenzione verso il mondo della cultura violenta, contrastandola con una più completa informazione sulle possibilità che hanno le legalizzazioni e la politica della riduzione del danno, per riconsegnare alla vita comunitaria istituzioni e uomini?

NAPOLI: 14 GIUGNO, ‘DELLE ELITE E DELLE PENE’
Mercoledì 14 giugno 2023
Ore 15:30-18:30
Istituto Italiano per gli Studi Filosofici
Via Monte di Dio 14

DELLE ELITE E DELLE PENE
storie di antipolitica giudiziaria

Presiede
Vincenzo MAIELLO
Presidente d’Onore di Nessuno tocchi Caino

Saluti
Rita BERNARDINI, Presidente di Nessuno tocchi Caino
Francesca SCOPELLITI, Presidente della Fondazione Enzo Tortora
Riccardo POLIDORO, Co¬-responsabile Osservatorio Carcere UCPI

Intervengono
Raffaele LOMBARDO, già Presidente della Regione Sicilia
Mario OLIVERIO, già Presidente della Regione Calabria
Vito GAMBERALE, già Amministratore delegato di Telecom Italia Mobile
Rocco FEMIA già Sindaco di Marina di Gioiosa Jonica
Amedeo LABOCCETTA, già Deputato
Ferdinando MACH DI PALMESTEIN, Analista strategico
Marco SORBARA, già Assessore Comune di Aosta e Consigliere regionale della Valle d'Aosta

Conclude
Sergio D'ELIA, Segretario di Nessuno tocchi Caino

L’evento è stato organizzato da Alessandro Gargiulo, Vincenzo Improta e Manuela Palombi

ARABIA SAUDITA: QUATTRO UOMINI GIUSTIZIATI PER TERRORISMO E OMICIDIO
Quattro uomini sono stati giustiziati nei giorni scorsi in Arabia Saudita, in due casi distinti.
Tre di questi sono stati messi a morte nella Provincia Orientale per "adesione a una cellula terroristica, possesso di armi e aggressione armata a sedi e personale della sicurezza", hanno reso noto il 4 giugno le autorità di Riad.
Le condanne a morte sono state eseguite nei confronti di Hussein bin Ali bin Muhammad al-Mohishi, Fazel bin Zaki bin Hossein Ansif e Zakaria bin Hassan bin Muhammad al-Mohishi, tutti e tre sciiti.
La Provincia Orientale dell'Arabia Saudita, ricca di petrolio e prevalentemente sciita, è stata teatro di manifestazioni dal febbraio 2011.
I dimostranti chiedono riforme, libertà di espressione, il rilascio dei prigionieri politici e la fine della discriminazione economica e religiosa nei confronti della Provincia.
Le manifestazioni sono state accolte con una dura repressione, con le forze del regime che hanno aumentato le misure di sicurezza in tutta la Provincia.
Il 1° giugno è stato giustiziato un cittadino nepalese che era stato riconosciuto colpevole di aver accoltellato a morte un saudita.
L'agenzia di stampa statale saudita ha riferito che l’esecuzione di Santa Bahadur Pune ha avuto luogo nella regione di Al-Jawf del Regno.
(Fonti: AP, 01/06/2023; presstv.ir, 04/06/2023)

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I SUGGERIMENTI DELLA SETTIMANA


DESTINA IL TUO 5X1000 A NESSUNO TOCCHI CAINO
Firma nel riquadro “Sostegno alle organizzazioni non lucrative, delle associazioni di promozione sociale, delle associazioni riconosciute che operano nei settori di cui all’art. 10 c. 1, lett d, del D. Lgs. N. 460 del 1997 e delle fondazioni nazionali di carattere culturale” e riporta il codice fiscale di Nessuno tocchi Caino 96267720587

 

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