Nessuno tocchi Caino - TRENTINO ALTO ADIGE E VENETO 2023, IL VIAGGIO DELLA SPERANZA: ‘VISITARE I CARCERATI

 Nessuno tocchi Caino news

Anno 23 - n. 27 - 15-07-2023

Contenuti del numero:

1.  LA STORIA DELLA SETTIMANA : TRENTINO ALTO ADIGE E VENETO 2023, IL VIAGGIO DELLA SPERANZA: ‘VISITARE I CARCERATI’
2.  NEWS FLASH: IL BOIA DEI MULLAH STRINGE IL CAPPIO E NASCONDE LA MANO
3.  NEWS FLASH: L’AVVOCATO? CHI E’ COSTUI? AL PAGLIARELLI IL DIRITTO DI DIFESA NON E’ DI CASA
4.  NEWS FLASH: USA: LE TORTURE DELLA CIA CONTAMINANO ANCHE LE CONFESSIONI FATTE ANNI DOPO A GUANTANAMO?
5.  NEWS FLASH: MYANMAR: DUE PRIGIONIERI GIUSTIZIATI SOMMARIAMENTE DALLA GIUNTA MILITARE
6.  I SUGGERIMENTI DELLA SETTIMANA : DESTINA IL TUO 5X1000 A NESSUNO TOCCHI CAINO


TRENTINO ALTO ADIGE E VENETO 2023, IL VIAGGIO DELLA SPERANZA: ‘VISITARE I CARCERATI’


TRENTO
Sabato 15 luglio 2023

Ore 10
Visita al Carcere di Trento

Ore 16 - 18
Conferenza
ALTERNATIVE AL CARCERE
Per una giustizia di comunità
Via Dordi n. 8

Presiede
Filippo FEDRIZZI, Presidente Camera Penale Trento, membro Osservatorio Carcere UCPI

Intervengono
Rita BERNARDINI, Presidente di Nessuno tocchi Caino | Veronica MANCA, Direttivo CP Trento, membro Oss. Carcere UCPI | Vanni CEOLA, Ordine degli Avvocati di Trento | Sergio D’ELIA, Segretario di Nessuno tocchi Caino | Antonia MENGHINI, Garante per i detenuti e Prof. Diritto penale Università di Trento | Maria COVIELLO, Presidente APAS ODV Trento | Fabio VALCANOVER, Nessuno tocchi Caino | Vincenza CARBONE, Presidente Conferenza Regionale Volontariato Giustizia | Carlo SCARAGLIO, Presidente Dalla Viva Voce | Elisabetta ZAMPARUTTI, Tesoriera di Nessuno tocchi Caino

Testimonianze dal carcere e dalle misure di comunità


BOLZANO
Lunedì 17 luglio 2023

Ore 16 - 19
Casa Kolping
Sala Grande

Conferenza
CARCERE E TOSSICODIPENDENZA: UNA DOPPIA PENA?

Modera
Angelo POLO, Vice Presidente Camera Penale di Bolzano

Intervengono
Rita BERNARDINI, Presidente di Nessuno tocchi Caino | Chiara NONES, Magistrato di Sorveglianza di Bolzano | Beniamino MIGLIUCCI, Past President UCPI | Sergio D’ELIA, Segretario di Nessuno tocchi Caino | Bettina MERANER, Direttrice Serd Bolzano | Roberto SENSI, Il Dubbio | Claudia ZANOLLI, Direttrice Uepe Bolzano | Andrea GNECCHI, Consigliere Ordine Avvocati Bolzano | Marco BOSCAROL, della Camera Penale di Bolzano | Pietro F. CALVISI, Medico | Elisabetta ZAMPARUTTI, Tesoriera di Nessuno tocchi Caino

Info: 335 6923204


BELLUNO
Mercoledì 19 luglio 2023

Ore 10
Visita al Carcere di Belluno

Ore 15:30 – 18:30
Conferenza
CARCERE: SORVEGLIARE O PUNIRE?
URBAN HUB Dolomiti
Via Ippolito Caffi, 11/B


Modera
Sonia SOMMACAL, Vicepresidente ADU, Osservatorio misure di prevenzione Fondazione Giuseppe Gulotta

Intervengono
Massimo MONTINO, Presidente Camera Penale Bellunese | Daniele TORMEN, Presidente Ordine Avvocati di Belluno | Rita BERNARDINI, Presidente di Nessuno tocchi Caino | Federico MONTALTO, Giudice Tribunale di Belluno | Mario MAZZOCCOLI, Referente Carceri Camera Penale Bellunese | Sergio D’ELIA, Segretario di Nessuno tocchi Caino | Erminio MAZZUCCO, membro dell’Organismo Congressuale Forense | Daniele TRABUCCO, Professore strutturato in Diritto Costituzionale italiano e comparato presso la SSML | Francesco SANTIN, Criminologo | Elisabetta ZAMPARUTTI, Tesoriera di Nessuno tocchi Caino

L'evento è accreditato dal Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Belluno con 3 crediti formativi
Iscrizioni su Sfera COA Belluno

Info: 328 4867142


TREVISO
Giovedì 20 luglio
Ore 10 - Visita al Carcere
Ore 16 - Conferenza “Aprire il carcere, reinserire i detenuti”
Tribunale di Treviso - Aula C

VENEZIA
Venerdì 21 luglio
Ore 10 - Visita al Carcere di Santa Maria Maggiore
Ore 15:30 - Conferenza “Morire di carcere” Tribunale - Aula Assise Piazzale Roma

PADOVA
Lunedì 24 luglio
Ore 10 - Visita alla Casa di Reclusione
Ore 16:30 - Conferenza “Carcere e società: preparare il rientro”
Centro Universitario Padovano (Sala Grande), Via Zabarella 82

ROVIGO
Martedì 25 luglio
Ore 10 - Visita al Carcere
Ore 13:30 - Conferenza stampa all’uscita dal carcere
Ore 17:30 - Conferenza “Una giustizia che ripara e non separa”
La Casa di Abraham
Via Stopazzine, 5 - Rovigo 

VICENZA
Mercoledì 26 luglio
Ore 10 - Visita al Carcere
Ore 15 - Incontro “Il diritto all'affettività in carcere” c/o Ordine degli Avvocati Palazzo Gualdo


VERONA
Giovedì 27 luglio
Ore 10 - Visita al Carcere   
Ore 16 - Conferenza “Carcere:
reinserire è meglio che punire” Chiesa di San Luca
Corso Porta Nuova 12


Il Viaggio della speranza in Trentino-Alto Adige e in Veneto è organizzato da Nessuno tocchi Caino in collaborazione con l’Osservatorio Carcere dell’UCPI e le Camere Penali di Trento, Bolzano, Belluno, Treviso, Venezia, Padova, Rovigo, Vicenza e Verona.


Info: 335 8000577

---------
NESSUNO TOCCHI CAINO - NEWS FLASH

IL BOIA DEI MULLAH STRINGE IL CAPPIO E NASCONDE LA MANO
Elisabetta Zamparutti su L’Unità del 9 luglio 2023

È notizia di questi giorni la pubblicazione del rapporto semestrale di Iran Human Rights sulle esecuzioni compiute in Iran. Ne hanno contate, dal 1° gennaio al 30 giugno, 354. Un aumento del 36% rispetto l’anno precedente. Sono state 206 le esecuzioni compiute per droga, il che segna un incremento del 126% rispetto al 2022. Il 20% (71) delle esecuzioni compiute in questa prima parte dell’anno riguarda, secondo IHR, appartenenti all’etnia baluci, tra le più coinvolte nelle manifestazioni esplose dopo la morte di Masha Amini. Cinque sono i partecipanti a manifestazioni giustiziati in questa prima parte del 2023.
Anche Nessuno tocchi Caino fa il suo conteggio. Per noi i numeri sono più elevati: almeno 387 le esecuzioni compiute in questo primo semestre. Un numero che diviso per i giorni complessivi ci dice che la media persiana è di due impiccagioni al giorno. Ma c’è un altro dato che fa riflettere. L’esiguità del numero di esecuzioni fatte conoscere dal regime attraverso le sue fonti ufficiali: 43. Mi viene allora in mente la parola vergogna che in persiano si scrive e si dice “Bisharaf”. Perché l’omertà sul reale numero di esecuzioni esprime, secondo me, la vergogna che lo stesso regime prova rispetto a ciò che fa. Vergogna come senso di fallimento, di madornale e irrimediabile errore, di inadeguatezza rispetto alle sfide del nostro tempo. La vergogna è qualche cosa di profondo, oserei dire di identitario.
Il regime si vergogna di ciò che fa, lo tiene nascosto, perché è vergognoso. Ma lo fa. Perseguita fasce socialmente deboli e reprime minoranze. Oltre ai baluci, quella araba, curda e azera. E poi, stato totalitario qual è, non sopporta il concetto di “doppia nazionalità”. Quest’anno ha giustiziato due uomini con doppia cittadinanza. Il primo, a gennaio: Alireza Akbari, inglese/iraniano, ex vice ministro alla Difesa, condannato a morte per essere stato ritenuto colpevole di "corruzione e di aver danneggiato la sicurezza interna ed esterna del Paese passando informazioni di intelligence"; il secondo in maggio, si chiamava Habib Chaab, era svedese/iraniano, accusato di “terrorismo” e “corruzione in terra”.
Però riesce a usare il sequestro di ostaggi stranieri come merce di scambio. L’ultima volta è accaduto circa un mese fa quando l’Iran ha liberato l’operatore umanitario belga Olivier Vandecasteele, che era stato condannato per spionaggio in cambio, da parte del Belgio, della consegna di Assadollah Assadi, condannato per terrorismo.
Assadi, diplomatico all’ambasciata iraniana in Austria, era stato arrestato nel 2018 in Belgio insieme ad altri due iraniani con l’accusa di aver organizzato un attentato terroristico durante un raduno a Parigi di un gruppo iraniano di opposizione in esilio, il Consiglio Nazionale della Resistenza Iraniana (CNRI) che comprende i Mojaheddin del Popolo Iraniano. Nel 2021 Assadi era stato condannato a 20 anni di carcere.
Su questo una riflessione si impone. Perché chi sia l’Iran lo sappiamo. Ne conosciamo la vergogna che ci viene raccontata dalle esecuzioni capitali che contiamo giorno dopo giorno, che ci racconta il rapporto semestrale di Iran Human Rights.
Il problema è se sappiamo chi siamo o cosa vogliamo essere noi, Paesi cosiddetti democratici. Penso a quanto di recente accaduto in Francia dove, dopo una lunga conversazione telefonica tra Macron e Raisi, suo omologo iraniano, viene deciso che una manifestazione indetta a Parigi per il primo luglio dal Consiglio Nazionale della Resistenza Iraniana, con migliaia di dissidenti provenienti da tutto il mondo, viene sospesa. La decisione è chiaramente politica. Il pretesto sono le ragioni di sicurezza.
La realtà è che un Presidente fa all’altro un favore nel momento in cui gli chiede di non fornire armi, droni alla Russia. Il divieto a manifestare arriva in un momento in cui non erano ancora esplose in Francia le rivolte dopo la morte del diciasettenne. Sta di fatto che 24 ore prima si pronuncia un tribunale amministrativo e dà ragione agli oppositori iraniani al regime. Secondo il tribunale, il diritto a manifestare prevale sulle paventate ragioni di sicurezza che avevano indotto le forze dell’ordine a porre il divieto.
La manifestazione si tiene senza alcun problema. Scoppia anche la rivolta a Parigi che quella sì ha posto dei problemi. Ed ecco che, domenica scorsa, di fronte ai disordini esplosi per le strade della Francia, l’Iran l’ha invitata a “porre fine al trattamento violento del suo popolo” e ha esortato i propri cittadini a evitare viaggi non essenziali in Francia. Mi viene da dire: che vergogna!
Per saperne di piu' :

L’AVVOCATO? CHI E’ COSTUI? AL PAGLIARELLI IL DIRITTO DI DIFESA NON E’ DI CASA
Vito Cimiotta* su L’Unità del 9 luglio 2023

Da qualche settimana ormai, i detenuti del Carcere Pagliarelli di Palermo devono fare i conti con una ulteriore e recentissima violazione di un principio costituzionalmente garantito: il diritto di difesa.
Quelle rare volte in cui viene consentito il colloquio telefonico con i propri difensori, spesso dopo due o tre richieste, il detenuto è obbligato a indicare per iscritto e con dovizia di particolari la motivazione e la necessità della telefonata all’avvocato. Non bastano nemmeno più i “motivi di giustizia” o altre simili locuzioni. NO! La motivazione deve essere specifica, deve essere convincente e solo così si potrà evitare che l’assistente di turno, che peraltro rimane sempre presente, ti vieti di telefonare.
Si instaura così una sorta di filtro di ammissibilità all’esercizio di un supremo diritto costituzionale che degrada a concessione discrezionale di un organo amministrativo inferiore.
Immaginate solo per un attimo il senso di frustrazione che può provare il detenuto, il quale dovrà trovare anche, al momento del colloquio telefonico, la lucidità per indicare in maniera precisa, i motivi giuridici per i quali vuole colloquiare con il proprio legale. Molti rinunciano, altri ci provano, ad altri ancora viene revocato il beneficio (che poi è un diritto sacrosanto).
Ed anche questa volta, anche per questa ennesima violazione, dopo la progressiva diminuzione della possibilità di chiamare telefonicamente i propri familiari, sono gli stessi detenuti a tentare di far sentire la propria voce fuori dal carcere.
Lo ha fatto Ludovico Collo, che ancora una volta porta fuori dal carcere le istanze di tanti detenuti come lui, attraverso un comunicato indirizzato al Presidente della Repubblica, al Garante per i detenuti della Regione Sicilia e al Tribunale di Sorveglianza di Palermo.
Perché un detenuto dovrebbe indicare specificatamente i motivi del proprio colloquio con il difensore? Perché anche questo diritto merita di essere calpestato?
Già lo stesso Ludovico Collo qualche mese addietro aveva interpellato tramite il sottoscritto, il Garante per i detenuti Siciliani, Prof. Fiandaca di altra questione relativa ai colloqui telefonici.
Finito il periodo emergenziale Covid, la direzione del Carcere Pagliarelli aveva riportato tutto alla “normalità”, consentendo una telefonata a settimana ai detenuti, quando invece nel periodo così detto d’emergenza, i detenuti avevano la possibilità di telefonare quotidianamente a familiari e difensori.
Con una petizione, Ludovico Collo è riuscito a raccogliere ben 793 firme dei detenuti del Carcere Pagliarelli, inviando il documento scritto di pugno e firmato sia al Dap che al Prof. Fiandaca, il quale si era in un primo momento interessato.
Oggi, questa nuova grave violazione si è abbattuta sui detenuti del Pagliarelli, i quali manifestano sentimenti di frustrazione e delusione, oltre che essere pronti a farsi sentire fuori dal carcere attraverso le proprie manifestazioni.
Non è più il caso di minimizzare il problema delle telefonate in carcere, perché per chi sta rinchiuso lì dentro, una semplice telefonata potrebbe essere speranza, potrebbe essere consolazione, potrebbe essere vita.
Non sono rari i casi di detenuti, spesso stranieri, che non fanno colloqui né in presenza né telefonici coi propri famigliari, perché semplicemente non li hanno o perché sono stati abbandonati da tutti. Allora, l’avvocato può essere oltre che arma di legittima difesa tecnica, anche l’unico significativo contatto umano che li farebbe uscire dall’isolamento carcerario.
Restringere in tale maniera la possibilità di confronto con i propri difensori appare veramente aberrante ed appare ultroneo rappresentare per iscritto i motivi della conversazione o della telefonata. Il detenuto con il proprio difensore non può parlare d’altro se non dei propri problemi giudiziari, delle udienze che si sono avvicendate, della propria posizione giuridica.
Oggi al Carcere Pagliarelli la difesa viene violata, la privacy anche, e se è avvenuto a Palermo, con ogni probabilità questo avverrà anche in altre carceri italiane. Il perché di tutto questo non se lo spiegano i detenuti ma non ce lo spieghiamo nemmeno noi avvocati che però conosciamo perfettamente la triste e disumana condizione in cui ogni giorno vivono i nostri assistiti.
* Direttivo Camera Penale di Marsala

USA: LE TORTURE DELLA CIA CONTAMINANO ANCHE LE CONFESSIONI FATTE ANNI DOPO A GUANTANAMO?
Nelle fasi ancora preliminari del processo contro Abd al-Rahim al-Nashiri, accusato di aver organizzato l’attentato kamikaze contro l’incrociatore statunitense U.S.S. Cole, il giudice colonnello Lanny J. Acosta Jr., che a settembre lascerà l’esercito, vuole almeno risolvere una importante questione preliminare: in che modo e in che misura si possono utilizzare, processualmente, le confessioni estorte sotto tortura agli imputati.
La questione è dirimente, e riguarda praticamente tutti i processi che sono stati incardinati a Guantanamo: gli imputati sono stati individuati attraverso informatori di cui non si vuole rivelare l’identità, e questo fa sì che in pratica contro di loro non esistano prove “convenzionali”, ma solo alcune ammissioni, spesso parziali, ottenute dalla CIA sotto tortura. I difensori d’ufficio degli imputati insistono molto sulla validità di queste confessioni, ed in effetti la questione crea molto imbarazzo in quanto potrebbe, un giorno, ritorcersi contro la stessa amministrazione statunitense, nel caso un suo militare o diplomatico venisse sequestrato all’estero e facesse “rivelazioni” sotto tortura. Nei mesi scorsi era trapelata, sotto forma di indiscrezione, una posizione dell’Amministrazione Biden contraria all’utilizzo delle confessioni “under duress”.
Il processo in questione è quello contro Abd al-Rahim al-Nashiri, che ora ha 58 anni, nato in Arabia Saudita, ritenuto il capo delle operazioni di al-Qaeda nell’area del Golfo Persico, catturato a Dubai nel 2002, e tenuto prigioniero dalla CIA per 4 anni nei suoi “siti neri” in Afghanistan, Thailandia, Polonia, Marocco, Lituania e Romania, e infine traferito a Guantanamo.
Nashiri è stato condannato a morte in contumacia nel 2004 in Yemen con l’accusa di aver organizzato l’attentato, con un motoscafo carico di esplosivo, contro l’incrociatore USS Cole, che il 12 ottobre 2000, nel porto di Aden, causò la morte di 17 militari statunitensi e il ferimento di altri 37.
Nashiri è anche ritenuto l’organizzatore di un attacco simile ad una petroliera francese, la Maritime Jewel, noleggiata dalla compagnia petrolifera indonesiana Petronas. L’attentato causò un morto nell’equipaggio, e la morte dei due attentatori suicidi, e lo spargimento in mare di molte tonnellate di petrolio.
Nashiri è sospettato di altri attenti simili, seppure meno gravi.
Come è noto, dopo gli attentati dell’11 Settembre 2001, gli Stati Uniti hanno creato un ibrido tra le corti marziali e i tribunali federali, e le hanno denominate “Military Commissions”, tutte basate all’interno della base di Guantanamo, in una zona dell’isola di Cuba che gli Stati Uniti hanno ricevuto in “locazione perpetua” nel 1903.
Le Military Commissions sono considerate un “ibrido perché, per limitare la circolazione di informazioni giudici e giurati sono scelti tra il personale militare, ma non volendo riconoscere ai militanti (o sospetti tali) di al-Qaeda lo status di “combattenti”, bensì quello di “terroristi”, vengono loro assegnati non degli avvocati difensori militari, come avverrebbe in una normale corte marziale, ma degli avvocati (d’ufficio) civili, così come “civili” sono i procuratori (pubblica accusa), assegnati al caso direttamente dal Dipartimento di Giustizia, quello che in Italia chiameremmo ‘Ministero della Giustizia’.
Il 30 giugno un giudice Acosta ha ascoltato le argomentazioni finali su una questione fondamentale nella fase preliminare del processo: può una confessione dell’imputato essere usata nel processo, considerato che l’uomo è stato per anni nelle mani della Cia?
Il colonnello Acosta si ritirerà dall'esercito a settembre ed è determinato a concludere una parte della fase preliminare concentrandosi sulla questione della tortura.
Nelle argomentazioni conclusive, ha affrontato direttamente diverse questioni, tra cui se ciò che la CIA ha fatto all'imputato - waterboarding, privazione del sonno, averlo tenuto nudo in isolamento - costituiva tortura e/o “trattamento crudele e disumano”, ossia un comportamento vietato dalla costituzione degli Stati Uniti ma anche dai principali trattati internazionali, come ad esempio l’articolo 3 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo.
"Non lo ammetto in questo momento", ha risposto Edward R. Ryan, uno dei procuratori del Dipartimento di Giustizia che rappresentano la Pubblica Accusa.
Alla fine della giornata, tuttavia, Ryan ha riconosciuto che il Dipartimento di Giustizia aveva già ammesso che ciò che il signor Nashiri ha detto durante gli interrogatori della CIA "dovrebbe essere trattata come 'dichiarazioni ottenute mediante l'uso della tortura o con trattamenti crudeli, inumani o degradanti'".
Tuttavia, Ryan ha sostenuto che, una volta trasferito a Guantánamo, Nashiri ha preso parte volontariamente a tre giorni di interrogatori da parte di agenti governativi nel 2007, ed ha parlato delle proprie responsabilità nell’attentato al cacciatorpediniere Cole.
Ryan ha dedicato gran parte della sua argomentazione alla lettura di un resoconto di 34 pagine dell'interrogatorio da parte degli agenti federali e delle comunicazioni intercettate dal prigioniero nei mesi successivi al suo arrivo a Guantánamo Bay che lo hanno presentato come un prigioniero presuntuoso e a volte arrogante che ha parlato liberamente con chi lo interrogava.
Per illustrare che Nashiri avesse ben compreso la situazione, Ryan ha citato una intercettazione ambientale in cui Nashiri consigliava ad un altro prigioniero di “negare tutto, che l'incontro con queste persone non è obbligatorio".
Ma piuttosto che negare tutto, ha detto Ryan, l'imputato ha ammesso di essere "Bilal", un uomo che ha affittato una casa e ha trasferito i soldi versati ai due attentatori suicidi.
Annie W. Morgan, un avvocato difensore, ha ritratto il prigioniero saudita come un uomo distrutto al momento dei suoi interrogatori del 2007. Era già stato interrogato 200 volte dalla C.I.A. e non aveva motivo di credere che "un altro americano con un'altra maglietta polo" che veniva ad interrogarlo non gli avrebbe fatto del male.
"Non c'è nulla di volontario quando si valuta la totalità delle circostanze", ha detto la signora Morgan.
Ha ricordato al giudice che l'interrogatorio di Nashiri da parte di diversi inquirenti - le cosiddette squadre pulite - a Guantánamo nel 2007 si è svolto a Camp Echo, la stessa struttura della base della Marina degli Stati Uniti che in precedenza era stata un “sito nero”, sito nero dove Nashiri era stato tenuto dal 2003 fino a quando "è stato espulso da Guantánamo Bay per problemi di comportamento", ha detto.
Per punizione è stato inviato in un altro ‘sito nero’ della CIA, questa volta in Europa, dove è stato violentato con l’inserimento di un ‘tubo di respirazione’ nel retto. Quattro mesi dopo il suo ritorno a Guantánamo nel settembre 2006, l'F.B.I. ha effettuato gli interrogatori a Camp Echo, che era stato nel frattempo riconvertito ad uso militare.
Il giudice ha chiesto informazioni su testimonianze e documenti del 2006 e del 2007 che descrivevano il prigioniero all'epoca come “gestore del suo libero arbitrio, a volte bellicoso, che controllava il ritmo degli interrogatori, e consapevole dei suoi diritti.
La Morgan ha sottolineato la recente divulgazione da parte del governo degli Stati Uniti di una serie di videoregistrazioni segrete di Nashiri prelevato a forza dalla sua cella nel 2006 e nel 2007.
"Questo è qualcuno che si è arreso", ha detto.
Alcuni dei video sono stati proiettati per il giudice venerdì in una parte riservata dell'argomentazione conclusiva che escludeva sia il pubblico che l'imputato.
Ha anche citato un documento della CIA del 2004 desecretato recentemente, intitolato "piano di sfruttamento" (‘exploitation plan’, termine che in inglese sottintende anche l’abuso) che descriveva Nashiri come incapace di impegnarsi in una conversazione, in difficoltà anche solo per rispondere a domande con un sì o un no, e che mostrava segni di dislessia.
Un punto cruciale della questione che deve affrontare il giudice è il ‘principio di attenuazione’, ossia come ottenere una confessione incontaminata dopo una confessione forzata.
Ryan ha affermato che gli "interrogatori delle squadre pulite" a Guantánamo nel 2007 hanno soddisfatto lo standard legale di un cambiamento di orario, cambiamento di luogo e cambiamento di identità dell'interrogante.
Il giudice Acosta sembrava scettico. Ha detto che i precedenti legali si basavano su episodi che non erano paragonabili a quanto accaduto al signor Nashiri nei siti neri. A un certo punto, ha spuntato questo elenco del resoconto dei trattamenti subiti da Nashiri: “Il waterboarding, la scatola, il muro, gli schiaffi, ecc., Il modo in cui è stato incatenato, isolamento, niente letti, pavimento di cemento, spogliato, rasato."
Dopo una pausa, ha aggiunto, "privazione del sonno".
Il giudice ha citato la testimonianza degli psicologi che, come contractors della C.I.A. hanno gestito Nashiri in Thailandia nel 2002. Avevano affermato che le loro "tecniche di interrogatorio potenziate" avevano lo scopo di creare un contratto sociale - fintanto che i prigionieri avessero collaborato, non sarebbero tornati ai "tempi brutti".
Il giudice ha riconosciuto questa settimana che i pubblici ministeri stavano ancora trovando e preparando prove riservate per il caso, inclusi altri video di Guantánamo che venivano ripuliti di alcuni segreti di sicurezza nazionale prima che il giudice e gli avvocati della difesa potessero vederli.
Il colonnello Acosta aveva precedentemente indicato che le tre settimane di udienze che si sono concluse venerdì sarebbero state per lui le ultime sul caso, e che prima di ritirarsi avrebbe emesso una sentenza chiave su questo argomento.
Nel frattempo, la professoressa Claudia Mazzuccato, un’amica di Caino, ci ha segnalato un articolo sul Guardian del 7 luglio, che fa seguito a quanto NtC aveva pubblicato il 3 aprile e il 2 giugno sul proprio sito, e il 29 maggio sull’Unità sull’eventualità che la chiusura definitiva del campo di prigionia di Guantanamo sia ormai al centro di reali trattative.
Dal Guardian apprendiamo che una “investigatrice delle Nazioni Unite” ha potuto visitare Guantanamo per quattro giorni nel febbraio di quest’anno. Come è noto, attualmente a Guantanamo sono detenuti ‘solo’ 30 uomini (in passato erano stati 779), 17 dei quali potrebbero essere rilasciati se si trovasse un paese disposto ad accoglierli.
Tredici sono ancora considerati ‘di alto interesse nazionale’, e dopo tanti anni di spese e di sforzi gli Stati Uniti ci terrebbero veramente tanto a poterli “esibire” in un processo. Ma è ormai evidente a tutti, e lo “stallo” del processo Nashiri ne è ulteriore testimonianza, che le regole dello ‘stato di diritto’ hanno insormontabili difficoltà a subentrare in una serie di casi legali affidati per troppi anni ai semplici strumenti della tortura.
Come dicevamo, una incaricata delle Nazioni Unite ha potuto visitare Guantanamo. Fionnuala Ní Aoláin, avvocatessa irlandese, 56 anni, esperta in diritti umani, professoressa alla University of Minnesota e alla Queens University di Belfast, dal 2017 ricopre anche l’incarico di Special Rapporteur sulla promozione e protezione dei diritti umani e delle libertà fondamentali nella lotta al terrorismo per il Consiglio dei Diritti Umani delle Nazioni Unite.
In una lunga intervista al Guardian evidenzia anche lei che la storia di tortura che contamina la “Guerra al Terrorismo” impostata dopo gli attentati dell’11 settembre 2001 si è rivelata del tutto controproducente, sia dal punto di vista del “danno morale” e di reputazione che ne hanno ricavato gli statunitensi, sia dal punto di vista della scarsità di informazioni così ottenute, e sia, soprattutto, per l’impossibilità ormai palese di celebrare i processi.
La tortura, sempre giustificata dagli statunitensi perché fatta “nell’interesse delle vittime”, si è rivelata essere un danno insormontabile proprio per quel “interesse delle vittime” che si proponeva di servire.
Ní Aoláin avanza la stessa proposta che aveva fatto a giugno uno degli avvocati di Nashiri, Sylvain Savolainen: a questo punto, Nashiri deve essere scarcerato, e anche risarcito. È una richiesta eccessiva, considerata la scarsa propensione degli statunitensi verso i gesti di clemenza, ma sappiamo da fonti informali ma credibili, che una trattativa è in corso, e pur non prevedendo la scarcerazione, sul tavolo c’è un notevole miglioramento delle condizioni carcerarie.
L’Amministrazione USA chiede che quei pochi prigionieri che proprio non vuole liberare si dichiarino colpevoli (in modo da aggirare il tema della validità delle confessioni estorte), e in cambio non saranno condannati a morte, e sconteranno la pena in un “normale” supercarcere federale, non in isolamento.
La trattativa non si chiude perché gli imputati vorrebbero che a carico del governo venisse messa la terapia psicologica per i postumi delle torture subite, e il governo cerca un modo traverso per non dichiararsene responsabile.
Ma i 13 detenuti “di alto interesse nazionale” a questo punto sono una vera spina nel fianco per il governo, e non è detto che i loro bravissimi avvocati difensori (americani) accettino con facilità una condanna all’ergastolo. È un braccio di ferro incredibile, fuori da qualsiasi logica dello stato di diritto, uomini arrestati 22 anni fa e ancora in attesa di processo. Difficile prevedere come finirà.
(Fonti: New York Times, 30/06/2023, The Guardian, 07/07/2023)

MYANMAR: DUE PRIGIONIERI GIUSTIZIATI SOMMARIAMENTE DALLA GIUNTA MILITARE
La giunta militare del Myanmar il 6 luglio 2023 ha giustiziato sommariamente due detenuti accusati di appartenere al movimento di resistenza armata anti-golpe, ha riportato il sito Myanmar Now.
I due uomini, identificati come Kaung Zarni Hein, 23 anni, noto anche come La Pyae, e Kyaw Thura, 30 anni, noto anche come E.T., erano rinchiusi nella prigione Insein di Yangon con l'accusa di aver ucciso una cantante pro-giunta.
Sembra che entrambi facessero parte della Special Task Force, un gruppo di guerriglia urbana. Erano stati arrestati dai militari poco dopo l'omicidio di Lily Naing Kyaw, cantante e propagandista pro-giunta, avvenuto alla fine di maggio.
La sera del 6 luglio, secondo quanto riferito, dei militari avrebbero portato i due uomini dalla prigione di Insein a Maungmakan Street, nel quartiere 20 della township di North Dagon, situata alla periferia di Yangon, dove sarebbero stati uccisi con armi da fuoco.
Diversi organi di informazione filo-militari, citando fonti della giunta, hanno affermato che i due uomini sono stati portati sul luogo per identificare delle prove, tuttavia sono stati uccisi perché "hanno tentato la fuga", una formula spesso utilizzata dal regime militare per giustificare esecuzioni arbitrarie di oppositori detenuti.
Trattandosi di persone con presunti legami con gruppi di resistenza armata e accusati di aver commesso un omicidio, un tentativo di fuga è altamente improbabile, poiché entrambi sono stati portati fuori dalla prigione in manette e catene.
Le pagine dei social media pro-giunta e i gruppi di Telegram hanno riferito che ciascun prigioniero è stato ucciso con tre colpi di pistola.
Lily Naing Kyaw, un'autoproclamata cantante "nazionalista" pro-giunta, fu attaccata il 30 maggio a Yangon. È deceduta poco dopo essere stata trasportata in ospedale.
L'omicidio ha colpito profondamente i gruppi filo-militari, che da allora hanno utilizzato piattaforme social e altri canali per chiedere ritorsioni.
Gli stessi gruppi hanno riferito che prima della sua uccisione, Lily Naing Kyaw stava lavorando a una versione birmana di una canzone militare russa, in collaborazione con l'ambasciata russa a Yangon e il ministero dell'informazione della giunta.
L'esecuzione sommaria di Kaung Zarni Hein e Kyaw Thura è stata ampiamente applaudita dai gruppi pro-giunta, che hanno anche esortato il regime a trattare allo stesso modo tutti gli altri prigionieri politici.
La verifica indipendente delle esecuzioni di Kaung Zarni Hein e Kyaw Thura da parte di Myanmar Now è ancora in corso. Tuttavia, se confermate, è probabile che la giunta abbia fatto ricorso a esecuzioni sommarie per evitare la condanna internazionale ricevuta nel luglio dello scorso anno, quando ha giustiziato quattro attivisti pro-democrazia nella prigione Insein di Yangon.
Inoltre, poco dopo l'arresto dei due sospetti, uomini armati ritenuti legati alla giunta militare hanno ucciso due parenti di uno dei detenuti.
L'esercito del Myanmar prende di mira regolarmente i parenti dei suoi oppositori con arresti e uccisioni.
Il mese scorso, Than Myint, fratello di Aung Kyaw Moe, uno dei vice ministri del Governo di Unità Nazionale, è stato assassinato a Yangon.
(Fonti: Myanmar Now, 10/07/2023)

---------------------------------------

I SUGGERIMENTI DELLA SETTIMANA


DESTINA IL TUO 5X1000 A NESSUNO TOCCHI CAINO
Firma nel riquadro “Sostegno alle organizzazioni non lucrative, delle associazioni di promozione sociale, delle associazioni riconosciute che operano nei settori di cui all’art. 10 c. 1, lett d, del D. Lgs. N. 460 del 1997 e delle fondazioni nazionali di carattere culturale” e riporta il codice fiscale di Nessuno tocchi Caino 96267720587

Commenti

Post più popolari