Nessuno tocchi Caino - Nelle carceri del Congo si muore anche di fame

Nessuno tocchi Caino news

Anno 23 - n. 30 - 05-08-2023

Contenuti del numero:

1.  LA STORIA DELLA SETTIMANA : NELLE CARCERI DEL CONGO SI MUORE ANCHE DI FAME
2.  NEWS FLASH: MISURE DI PREVENZIONE: L’ITALIA FINISCE DAVANTI ALLA CEDU
3.  NEWS FLASH: SINGAPORE: TERZA ESECUZIONE IN UNA SETTIMANA
4.  NEWS FLASH: MAROCCO: IL RE CONCEDE LA GRAZIA A 2.052 CONDANNATI
5.  NEWS FLASH: BANGLADESH: DUE IMPICCATI PER L’OMICIDIO DI UN DOCENTE UNIVERSITARIO NEL 2006
6.  I SUGGERIMENTI DELLA SETTIMANA :


NELLE CARCERI DEL CONGO SI MUORE ANCHE DI FAME
Luigi Mazzufferi su L’Unità del 30 luglio 2023

Due morti di fame in due giorni nelle carceri del Congo. Detenuti mai processati, i cosiddetti “dimenticati dalla giustizia”. Sempre assenti dalla stampa italiana le notizie relative alle carceri del Congo. Fino a che non ne ha scritto Padre Giovanni Pross, domenica 25 giugno, sulla pagina dell’Unità curata da Nessuno tocchi Caino. Che mi ha portato a raccogliere qualcosa, tra le poche notizie disponibili, per tentare di completare il quadro di una situazione ancor più disperata delle carceri in un paese di per sé già disperato.
Qualche mese fa, nella prospettiva della visita di Papa Francesco in Congo, abbiamo visto con una certa evidenza quanto diffuso dalla Fondazione Bill Clinton per la Pace. Dati che riferiscono di almeno 70 morti, in tre mesi, nelle prigioni di Makala, cioè nel più importante penitenziario di Kinshasa, la capitale. Qui esiste da sempre un sovraffollamento cronico. È un carcere costruito ai tempi della dominazione belga, con capacità di accoglienza dichiarata di 1.500 detenuti. Oggi ve ne sono oltre 8000! Qui “i dimenticati della giustizia” evidenziano macroscopiche responsabilità dei magistrati, ai quali mai, neppur timidamente, si accenna.
Del tutto similare è la situazione a Goma, nel nord Kivu, una città con oltre due milioni di abitanti. Un carcere, con oltre 2000 detenuti, ristretti in una struttura che avrebbe potuto ospitarne 150 persone.
Notizie più frammentarie, sempre molto imprecise, ma terrificanti, giungono da Matadi, il “porto” per antonomasia che si trova a circa 150 chilometri dalla foce del fiume Congo. Anche da Tshela, nella Provincia del Congo Centrale, dove la situazione è riconducibile a quella di un altro carcere che si trova nel Kasai, a Kananga, sul fiume Lulua. Anche questa una città di oltre un milione di abitanti. Qui addirittura un funzionario della “divisione provinciale di giustizia” ha denunciato che il denaro necessario per l’acquisto del cibo non arriva più da almeno tre mesi.
Ecco che pertanto diviene determinante l’aiuto in generi alimentari, fornito da non pochi missionari. Sappiamo, anche per esperienza personale, che costoro hanno assicurato l’impossibile, dai tempi passati fino ad oggi.
Radio Okapi (rete radiofonica che opera da oltre 20 anni nella Repubblica Democratica del Congo) ci consente di recuperare altre notizie sulle carceri: così sappiamo che a Walikale, nel nord del Kiwu, altra città che sfiora il milione di abitanti, due detenuti sono morti di fame. Morti che si sommano ancora alla pietosa lista di 16 decessi qui registrati dal 31 marzo scorso. Tutto questo in una prigione, dove – come espressamente ammesso da un “funzionario” – la carcerazione preventiva può durare ben due anni prima che il soggetto arrestato compaia di fronte ai giudici.
Del tutto similare sembra sia anche la situazione nelle carceri militari. Per queste, più volte, è stata segnalata la enorme difficoltà di far comparire, di fronte ai tribunali competenti, gli accusati. Ciò si verifica, in particolare, quando il giudizio comporta il trasferimento dell’imputato in altre città, o addirittura in altre regioni.
Infine aggiungo se ci siamo mai chiesti cosa abbia significato il clamore mediatico per l’arresto dei cinque congolesi, accusati dell’imboscata e dell’omicidio dell’Ambasciatore Attanasio, della guardia del corpo e dell’autista. Questo evento, molto inusuale per un sistema giudiziario africano, avrà giovato o meno ad assicurare un regolare giudizio agli imputati? Per quel poco che abbiamo visto questo processo è risultato certo più veloce e formale rispetto ai tanti altri riservati ai loro concittadini.
Però la spettacolarizzazione, in questi ambienti, non è purtroppo garanzia di maggior equità. Ho visto e vissuto di persona, ne conservo tutt’oggi indelebile memoria, alcuni fatti accaduti in Congo molto tempo fa. L’occasione, quasi banale, della cattura di un ladruncolo che suscita furor di popolo e stravolge ogni pur minima garanzia. Nei fatti in questi eventi si è sempre ad un passo dal linciaggio per il presunto colpevole.
È triste che non sia possibile dar conto di qual è la situazione della giustizia in questo immenso, meraviglioso, ma comunque terribile paese.

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NESSUNO TOCCHI CAINO - NEWS FLASH

MISURE DI PREVENZIONE: L’ITALIA FINISCE DAVANTI ALLA CEDU
Baldassarre Lauria su L’Unità del 30 luglio 2023

La prima sezione della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha dichiarato ammessa la causa promossa dai fratelli Cavallotti contro la Repubblica italiana. Gli imprenditori siciliani sono stati al centro di una singolare vicenda processuale che li ha visti, prima, assolti in sede penale dal reato di associazione mafiosa e, poi, destinatari di un provvedimento di confisca dei rispettivi patrimoni personali, emesso nel 2011 dal Tribunale di Palermo, durante la “chiacchierata” presidenza di Silvana Saguto, recentemente condannata dalla Corte d’appello di Caltanissetta per la gestione illegale dei beni sequestrati e confiscati alla mafia.
“Quella dei Cavallotti è la madre di tutte le confische”, diceva la stessa Saguto in una delle conversazioni intercettate. In effetti, per l’importanza delle questioni giuridiche, il caso Cavallotti è adesso il “punto di svolta” del sistema italiano di contrasto all’arricchimento illecito.
I fratelli Cavallotti, Salvatore Vito, Gaetano e Vincenzo, attivi nel settore della metanizzazione in Sicilia nella metà degli anni 90, furono arrestati perché ritenuti associati a Cosa Nostra. Secondo i ROS di Palermo gli stessi avevano intrattenuto rapporti di affari con il sodalizio criminale per ripartirsi gli appalti pubblici. Ma, con sentenza della Corte di Appello di Palermo, gli stessi venivano definitivamente assolti: non v’era l’ipotizzato “patto sinallagmatico” con Cosa Nostra, al contrario si accertava lo stato di soggezione alle vessazioni mafiose.
La confisca di prevenzione, è noto, viaggia su un binario parallelo al processo penale, al di fuori delle regole del “giusto processo” presidiate dalla Costituzione per l’accertamento penale. Una vera e propria “dimensione spirituale”, dove non c’è un fatto da accertare e/o una colpa da addebitare. Una misura non sanzionatoria, ancorché afflittiva per la perdita definitiva del patrimonio, dunque estranea alla “materia penale”, un tertium genus, di chiara matrice autoctona, anticipatrice di un nuovo e ambizioso corso penale, la confisca senza condanna.
Così, per i giudici della prevenzione le imprese dei Cavallotti erano cresciute grazie all’appoggio della mafia nella spartizione degli appalti pubblici, sotto l’egida di Cosa Nostra. Un vero proprio ossimoro giuridico. In effetti, la confisca di prevenzione è una storia di contraddizioni giuridiche, che si è sempre mossa sull’onda emotiva della legislazione emergenziale dell’ormai “atavica” lotta alla criminalità mafiosa.
Il codice antimafia del 2011, che ha messo ordine alla frammentaria legislazione in materia, prevede una specifica fattispecie di pericolosità sociale – l’appartenenza all’associazione mafiosa – concetto diverso dalla partecipazione prevista dall’art. 416 bis del codice penale. La semantica non è di facile intelligibilità logica, nel senso che si può appartenere alla mafia senza farne parte. Così, immane è stato lo sforzo della giurisprudenza italiana nel cercare di dare un contenuto uniforme alla norma che non valicasse il limite dell’arbitrio e del pudore intellettuale.
Risultati eccezionali sul piano “quantitativo”, ma con effetti devastanti sul piano dei diritti delle persone, senza contare i negativi effetti macroeconomici della pessima gestione pubblica. Gli appartenenti alla mafia sono i “nuovi dannati”, difficilmente collocabili in alcuno dei gironi dell’Inferno di Dante, molto spesso colpevoli di nulla, assolti in sede penale ma contigui o vicini alla mafia. Evidente il rischio di trasmodare nella mera “prevenzione culturale”.
Una spirale di presunzioni, espressione di un paradigma giuridico fascista, fondato sulla presunzione di colpevolezza, un terreno estraneo al diritto, coltivato con il pre-giudizio ambientale e con dati empirici di creazione giurisprudenziale. Ora, la Corte Europea vuole vederci chiaro. Nei giorni scorsi la cancelleria della prima sezione ha chiesto al Governo Italiano di argomentare sulle plurime critiche rilevate dalla stessa Corte, con invito a una risoluzione amichevole che eviti il processo.
Si assume la violazione del principio di presunzione di innocenza del giudizio di pericolosità sociale, dedotta dagli stessi fatti oggetto dell’assoluzione in sede penale. Si chiedono spiegazioni sulla determinatezza della fattispecie legale di appartenenza mafiosa, alla luce del significativo contrasto giurisprudenziale all’epoca esistente, nonché sulle garanzie difensive assicurate ai proposti.
La “palla” adesso è nel campo di un “altro diritto”, quello della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo. Sotto processo c’è il sistema della presunzione di pericolosità. Sovviene l’anatema di Leonardo Sciascia: “Quando tutto diventerà mafia nulla sarà più mafia”.

SINGAPORE: TERZA ESECUZIONE IN UNA SETTIMANA
Singapore il 3 agosto 2023 ha giustiziato un uomo di 39 anni per traffico di eroina, la quinta impiccagione nella città-stato quest'anno e la terza in poco più di una settimana.
Mohamed Shalleh Adul Latiff era stato condannato a morte nel 2019 per il possesso di circa 55 g di eroina "a scopo di traffico".
Secondo i documenti del tribunale, Mohamed Shalleh aveva lavorato come fattorino prima del suo arresto, avvenuto nel 2016.
Durante il processo, ha affermato di aver creduto di consegnare sigarette di contrabbando per conto di un amico a cui doveva dei soldi.
Si tratta del sedicesimo prigioniero mandato al patibolo da quando il governo ha ripreso le esecuzioni nel marzo 2022, dopo una pausa di due anni durante la pandemia di Covid-19.
L'esecuzione arriva meno di una settimana dopo che Singapore ha giustiziato la prima donna in quasi 20 anni, per traffico di droga, nonostante la condanna dei gruppi per i diritti.
La donna si chiamava Saridewi Binte Djamani, 45 anni, ed è stata giustiziata il 28 luglio per il traffico di circa 30 g di eroina.
Un uomo, Mohd Aziz bin Hussain, 57 anni, era stato impiccato due giorni prima per il traffico di circa 50 g di eroina.
La scorsa settimana le Nazioni Unite hanno denunciato le impiccagioni e chiesto a Singapore di introdurre una moratoria sulla pena di morte.
Nonostante la crescente pressione internazionale sulla questione, Singapore insiste sul fatto che la pena di morte costituisca un efficace deterrente contro il traffico di droga.
(Fonti: AFP, 03/08/2023)

MAROCCO: IL RE CONCEDE LA GRAZIA A 2.052 CONDANNATI
In occasione della Giornata del Trono, Re Mohammed VI del Marocco ha concesso la grazia a 2.052 persone condannate da diversi tribunali del Paese, si legge in una dichiarazione rilasciata dal Ministero della Giustizia il 29 luglio 2023.
Della grazia hanno beneficiato 1.769 detenuti, 133 dei quali non dovranno scontare il restante periodo di detenzione.
A 1.632 detenuti è stata ridotta la pena e a uno di loro è stata commutata la condanna a morte in ergastolo.
Inoltre, tre detenuti hanno ricevuto la commutazione della condanna all’ergastolo in pena detentiva a termine.
Il provvedimento riguarda anche 283 persone attualmente libere, 80 delle quali hanno ottenuto la cancellazione delle pene detentive o del periodo rimanente.
Inoltre, 14 detenuti hanno ottenuto la grazia per le loro pene detentive mentre le loro multe sono state mantenute, mentre 180 persone hanno ricevuto la cancellazione delle multe.
Otto persone hanno beneficiato della grazia per la pena detentiva oltre all’annullamento delle multe, mentre una persona ha beneficiato della grazia per la pena detentiva rimanente oltre all’annullamento della multa.
La grazia reale è consuetudine in Marocco per celebrare festività nazionali e religiose come la Giornata del Trono, che celebra l'ascesa al trono del Re.
(Fonte: Morocco world news, 29/07/2023)
Per saperne di piu' :

BANGLADESH: DUE IMPICCATI PER L’OMICIDIO DI UN DOCENTE UNIVERSITARIO NEL 2006
Le autorità della Prigione Centrale di Rajshahi, in Bangladesh, il 27 luglio 2023 hanno impiccato due detenuti in relazione all'omicidio nel 2006 del professor S Taher Ahmed, un insegnante del dipartimento di geologia e miniere dell'Università di Rajshahi.
I giustiziati sono Miah Mohammad Mohiuddin, collega del Prof Taher, e Jahangir Alam, assistente dell'insegnante.
Sono stati giustiziati alle 22:01 del 27 luglio, ha dichiarato l'ispettore generale delle carceri Brig Gen ASM Anisul Haque.
Mohiuddin avrebbe pianificato l'omicidio del Prof Taher mentre Jahangir e altri due avrebbero eseguito il piano di Mohiuddin in cambio di soldi, secondo le indagini della polizia.
Il prof Taher sparì il 1° febbraio 2006. All'epoca i figli di Taher vivevano a Uttara, presso Dhaka, per i loro studi e la madre era andata a trovarli, lasciando il professore a casa da solo.
Il corpo della vittima fu recuperato da un canale fognario vicino alla sua residenza due giorni dopo. Il figlio di Taher, Sanjid Alvi Ahmed, presentò una denuncia per omicidio alla stazione di polizia di Motihar il 3 febbraio 2006.
La polizia ha sporto denuncia contro sei sospetti il 18 marzo 2007.
Si trattava di Mohiuddin, un ex studente di Taher che in seguito divenne suo collega, dell'ex presidente della RU Shibir, Mahbubul Alam Salehi, e di suo padre Ajumuddin Munshi, dell’assistente Jahangir Alam, di suo fratello e attivista del Chhatra Shibir, Abdus Salam, e un parente di Salam, Nazmul.
Durante il processo, Jahangir, Nazmul e Salam dichiararono che Mohiuddin li avesse persuasi ad uccidere Taher con promesse di denaro, computer e lavoro all'università. Mohiuddin respinse le accuse.
L'indagine della polizia ha scoperto che Mohiuddin aveva fatto domanda per una promozione all'università. Taher faceva parte del comitato che ha esaminato la sua domanda. Taher avrebbe evidenziato alcuni degli inganni di Mohiuddin alla giuria e le sue accuse sarebbero state successivamente dimostrate in un'indagine.
Mohiuddin avrebbe quindi pianificato l'omicidio di Taher, facendo in modo che venisse ucciso a casa sua e che il suo corpo fosse gettato in un canale.
Il 22 maggio 2008, un tribunale di Rajshahi aveva condannato a morte quattro degli imputati - Mohiuddin, Jahangir, Salam e Nazmul - assolvendo Salehi e Ajumuddin.
In linea con il diritto processuale, il caso è stato poi trasferito all'Alta Corte.
Il 21 aprile 2013, l'Alta Corte ha confermato le condanne a morte per Mohiuddin e Jahangir, ma ha ridotto all'ergastolo le condanne di Salam e Nazmul.
I condannati hanno quindi impugnato la decisione presso la sezione d'appello, mentre lo Stato ha chiesto il ripristino della pena di morte per i due le cui condanne erano state commutate.
L'udienza ebbe luogo nove anni dopo. La Corte Suprema ha confermato le due condanne a morte il 5 marzo 2022.
I condannati hanno successivamente chiesto la grazia al presidente, ma la petizione è stata respinta anche dal capo dello Stato.
L'Alta Corte, e poi la sezione d'appello, hanno respinto una richiesta di sospensione dell'esecuzione della condanna a morte di Jahangir, aprendo la strada alle autorità carcerarie per impiccare lui e Mohiuddin.
(Fonte: bdnews24, 27/07/2023)

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