Nessuno tocchi Caino - La fine della pena


 

Nessuno tocchi Caino news


Anno 23 - n. 38 - 04-11-2023

Contenuti del numero:

1.  LA STORIA DELLA SETTIMANA : LA FINE DELLA PENA
2.  NEWS FLASH: PIÙ TASSE E PIÙ REATI, ECCO I TRAGUARDI DELLA PENA DI MORTE
3.  NEWS FLASH: CLAUDIO E SIMONA, LA GALERA E LA MALATTIA: DUE PRIGIONI E UNA SOLA STORIA
4.  NEWS FLASH: IRAN: L’ADOLESCENTE ARMITA GARAVAND È MORTA
5.  NEWS FLASH: SOMALIA: CINQUE UOMINI FUCILATI PER OMICIDIO NEL SOMALILAND
6.  I SUGGERIMENTI DELLA SETTIMANA :


LA FINE DELLA PENA
X Congresso di Nessuno Tocchi Caino

14, 15 e 16 dicembre 2023
Casa di Reclusione di Opera
Via Camporgnago 40, Milano

Nessuno tocchi Caino ti invita a partecipare al suo X Congresso che, come i precedenti, è convocato nel carcere di Opera a Milano, e si svolgerà nei giorni 14 (a partire dalle ore 13:00), 15 e 16 dicembre 2023.
Il X Congresso ha per noi un valore speciale, perché si celebra nel Trentennale della fondazione di Nessuno tocchi Caino, una creatura concepita da Marco Pannella e Mariateresa Di Lascia per temperare la giustizia con la grazia e affrontare il potere con la nonviolenza. In questi trent'anni, con la nostra opera laica di misericordia corporale "visitare i carcerati", abbiamo cercato di far vivere la speranza soprattutto nei luoghi dove albergano vite spesso disperate, le vittime di regimi giudiziari, penali e penitenziari che sono divenuti ormai dei reperti archeologici della storia, rovine dell'umanità, testimonianze dell'odio, della violenza e del dolore che hanno segnato il nostro passato e di cui è giunta l'ora di liberarsi. Moltissimo deve essere fatto nell'opera di prevenzione del reato, così come in quella di riparazione, ricucitura, riconciliazione.
Proprio nel carcere di Opera, con il Congresso del 2015, sono nati i nostri "Laboratori Spes contra spem" grazie ai quali i condannati al "fine pena mai" hanno potuto maturare un cambiamento interiore che li ha portati ad acquisire la consapevolezza del male arrecato e a elevare e orientare la propria coscienza verso i valori umani.
Il X Congresso di Nessuno tocchi Caino vedrà protagonisti gli attori della comunità penitenziaria, che nella nostra visione del carcere è, non una somma, ma un insieme di parti diverse da rispettare e conciliare.
Inizieremo i lavori nel primo pomeriggio del 14, continueranno per tutto il 15 e li chiuderemo nella tarda mattinata del 16 dicembre. Saranno suddivisi in tre sessioni dal titolo (provvisorio): pena di morte e pena fino alla morte; il viaggio della speranza: visitare i carcerati; la fine della pena.
Se vuoi esserci, comunicaci la tua partecipazione al Congresso entro e non oltre il 25 novembre e, per le necessarie autorizzazioni e comunicazioni, anche i tuoi dati anagrafici (nome e cognome, luogo e data di nascita), la tua email e un numero di telefono, scrivendo a info@nessunotocchicaino.it oppure telefonando o inviando un messaggio via WhatsApp al 335 8000577.
Almeno 15 giorni prima del Congresso forniremo ai partecipanti l'ordine dei lavori, le informazioni logistiche per raggiungere la Casa di Reclusione di Opera, le istruzioni più importanti per l'ingresso in carcere e una proposta per il pernottamento.
Se non lo hai ancora fatto, ti chiediamo di iscriverti per partecipare al Congresso anche con la tessera di Nessuno tocchi Caino – Spes contra spem. Ti aspettiamo!!

Un caro saluto,
Rita Bernardini, Presidente
Sergio d'Elia, Segretario
Elisabetta Zamparutti, Tesoriere

ISCRIZIONE A NESSUNO TOCCHI CAINO (almeno 100 euro)
Bollettino postale: intestato a Nessuno tocchi Caino, C/C 95530002
Bonifico bancario: intestato a Nessuno tocchi Caino, IBAN
IT22L0832703221000000003012
PayPal: attraverso il sito a questa pagina www.nessunotocchicaino.it/cosapuoifaretu/iscriviti
Con carta di credito telefonando al 335 8000577
N.B. I contributi a Nessuno tocchi Caino sono deducibili dalle tasse in base al D.P.R. 917/86
5x1000 A NESSUNO TOCCHI CAINO
Firma nel riquadro "Sostegno alle organizzazioni non lucrative, delle associazioni di promozione sociale, delle associazioni riconosciute che operano nei settori di cui all'art. 10 c. 1, lett d, del D. Lgs. N. 460 del 1997 e delle fondazioni nazionali di carattere culturale"
E riporta il codice fiscale di Nessuno tocchi Caino 96267720587

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NESSUNO TOCCHI CAINO - NEWS FLASH

PIÙ TASSE E PIÙ REATI, ECCO I TRAGUARDI DELLA PENA DI MORTE
Natale D’Amico* su L’Unità del 29 ottobre 2023

Ci sono molti motivi, e nobili, per essere contrari alla pena di morte. Nessuno tocchi Caino, nei quasi trent’anni che lo separano dal suo primo congresso, li ha sviscerati, descritti, spiegati.
Ne ha scritto da ultimo, con straordinaria efficacia, Sergio D’Elia su questo giornale il 15 ottobre.
Ve ne sono anche di meno nobili, ma non per questo meno concreti, o meno efficaci per erodere quel consenso niente affatto irrilevante di cui la pena capitale continua sorprendentemente a godere in molte parti del mondo.
Le argomentazioni – diverse da quelle fondanti, in senso lato morali o relative al rapporto fra Stato e individui – contro la pena di morte si arricchiscono ora con i risultati di una ricerca condotta da Alexander Lundberg per il Cato Institute (On the Public Finance of Capital Punishment | Cato Institute – una versione più estesa della ricerca è pubblicata sulla American Law and Economics Review), qui da noi ripresa dall’Istituto Bruno Leoni nella sua newsletter settimanale.
L’indagine è condotta in riferimento al Texas, e si avvantaggia della straordinaria trasparenza che, riguardo ai dati di finanza pubblica e alle statistiche processuali, caratterizza quello Stato. Il riferimento al Texas non è fuorviante perché in rapporto alla popolazione viene lì pronunciato un numero di condanne a morte (0,84 per 100.000 abitanti) non molto diverso da quello medio dei 27 Stati degli USA nei quali questa pena continua ad esistere (0,82).
La premessa è quel che già si sa. Mantenere la pena di morte è una scelta costosa anche in termini finanziari. La California, ad esempio, ha speso 4 milioni di dollari per eseguire le 13 condanne a morte effettuate da quando, nel 1978, ha reintrodotto la pena di morte. Si stima che al North Carolina restaurare la pena di morte per due anni, periodo nel quale nessuna condanna è stata eseguita, sia costato 20 milioni di dollari.
Era altresì già noto, e non è certo sorprendente, che i processi che comportano la possibilità di una condanna a morte durano e costano molto di più degli altri: per la maggiore probabilità di ricorso all’appello, per il maggior numero di avvocati coinvolti, per la necessità di audire un numero maggiore di testimoni, per il ricorso ad esperti di varia natura, e così via. In Texas un processo che comporta la possibilità che venga comminata la pena capitale dura mediamente 768 giorni, un numero lì straordinariamente elevato rispetto a processi per reati diversi. Negli interi Stati Uniti si calcola che un processo con potenziale pena capitale costi almeno 1,5 milioni di dollari più di un processo che preveda come massima pena possibile il carcere a vita.
Esisteva una evidenza episodica delle modalità attraverso le quali le Contee, sulle quali gran parte di questi costi aggiuntivi vengono a cadere, finanziano queste spese. Ad esempio la Contea di Jasper nel 1998 ha finanziato un singolo processo contro alcuni sospetti di omicidio innalzando dell’8% l’imposta sulla proprietà. La Sierra County, avendo scelto di evitare un aumento delle tasse sulla proprietà, nel 1988 ha ridotto le sue forze di polizia per finanziare le spese dei processi per reati che prevedono la pena capitale.
Grazie al puntiglioso lavoro di ricerca fatto presso il CATO Institute, ora abbiamo un’evidenza organica e ben più robusta. Siamo infatti in grado di affermare che questi costi aggiuntivi vengono finanziati dalle Contee attraverso un sistematico aumento delle imposte sulla proprietà (in primo luogo sulle abitazioni), nonché attraverso una altrettanto sistematica riduzione delle spese per la sicurezza pubblica (in media 1,2 milioni per ogni anno in cui si tiene un processo per reati che prevedono la pena capitale). E abbiamo evidenza del fatto che la riduzione di queste ultime spese accresce il numero di reati diversi da quelli punibili con la condanna a morte, principalmente dei reati contro la proprietà.
In conclusione: già sapevamo che la minaccia della pena di morte non è una deterrenza efficace contro il rischio che si commettano reati che la prevedono. Scopriamo ora che adottare la pena di morte comporta per la generalità dei cittadi un maggiore livello di imposizione fiscale e maggiori rischi per le loro proprietà.
Il favore per la pena di morte si conferma basato su argomenti irrazionali, che la ragione può e deve contrastare. Con argomenti etici, ma non solo.

* Magistrato della Corte dei Conti, socio di Nessuno tocchi Caino
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CLAUDIO E SIMONA, LA GALERA E LA MALATTIA: DUE PRIGIONI E UNA SOLA STORIA
Claudio Bottan su L’Unità del 29 ottobre 2023

“Ma chi te lo fa fare?” È questa una delle domande che spesso mi sento rivolgere durante gli incontri con gli studenti. Effettivamente, dopo sei anni di carcere trascorsi in nove istituti diversi e altri tre scontati in misura alternativa per reati fallimentari, sarebbe comprensibile non volerne più sapere, girare pagina e staccare la mente da un vissuto che fa male. Raccontare, parlarne e confrontarsi mettendo a disposizione la propria esperienza è anche un modo per vincere la “carcerite”. Per farlo non bastavano più le scuole, sentivo che mancava una tessera per ricomporre il puzzle di una vita fatta a pezzi e ho voluto tornare oltre le mura per raccontare una storia semplice – qualcuno dice straordinaria – ma replicabile.
La prima volta alla Casa circondariale di Chieti e recentemente all’Ucciardone di Palermo: unico ex detenuto in esecuzione penale esterna a fare ritorno in carcere da “ospite” (nel senso che avevo la certezza che di lì a qualche ora sarei uscito…).
Un fatto eccezionale, reso possibile dalla lungimiranza di direttori d’istituto coraggiosi e da un Magistrato di Sorveglianza che ha compreso il senso dell’iniziativa.
Accanto a me c’era Simona che da tempo mi accompagna in questo viaggio oltre i limiti del pregiudizio; di fronte a noi un gruppo di persone detenute, qualcuna con “fine pena mai”, e gli studenti di due classi di un liceo di Palermo. “Esperienza forte, significativa, decisamente non banale, coinvolgente. Sono certo che ragazze e ragazzi presenti ne faranno tesoro”, ha commentato il dirigente scolastico.
“Non avrei mai potuto immaginare di finire galera, ma c’è sempre una prima volta”, ha detto Simona. “Ho avuto l’opportunità di entrarci per raccontare la mia prigione, quella rappresentata dalla sclerosi multipla, la malattia che si è impadronita del mio corpo e mi ha tolto l’uso di gambe e braccia: una condanna che ha un ‘fine pena’ a breve, che però non prevede la libertà. Anche io vivo ingabbiata, ma ho la fortuna di poter portare le mie sbarre ovunque voglia. Per questo spero di essere riuscita a trasmettere un messaggio positivo alle persone detenute e agli studenti che mi hanno ascoltata”.
Due prigioni, una storia. Da un lato la detenzione, dall’altro un corpo che non vuole più saperne di rispondere ai comandi. “Una handicappata e un pregiudicato” secondo l’inspiegabile bisogno di appiccicare un’etichetta a chiunque ci troviamo di fronte. Più semplicemente due persone che sono riuscite a coniugare due mondi apparentemente antitetici, quello della disabilità e quello del carcere, rafforzandosi l’un l’altra, costruendo il presente e immaginando un futuro contro barriere, ostacoli e pregiudizi.
Dopo anni di carcere, quando ho potuto usufruire dell’affidamento in prova, ho iniziato a lavorare per la redazione di un settimanale; mi occupavo di sociale ed ero continuamente alla ricerca di belle storie da scrivere, poi mi sono imbattuto in quella più preziosa: Simona e la sua voglia di viaggiare che, a dispetto della malattia, l’ha portata a spingersi fino in India, Nepal e Indonesia in carrozzina. Un’intervista che dura ormai da sette anni, quello che ne è nato non è solo un articolo ma un cammino. Quindi potrei sembrare di parte quando asserisco con convinzione che leggere, studiare e scrivere durante il tempo della galera è un atto rivoluzionario, una scelta che rende liberi. Non servono “domandine” e non occorrono autorizzazioni per dare un senso alla pena. Per non sprecare il dolore ci vuole coraggio, voglia di andare oltre. E naturalmente bisogna avere la fortuna di trovare quella disponibilità all’ascolto che solo il volontariato sa offrire a chi è recluso.
Il nostro bisogno di raccontarci e di condividere cercando di essere speranza ha trovato casa in “Voci di dentro”, un’associazione che nel corso degli anni ha accolto e accompagnato il percorso di un centinaio di persone in misura alternativa al carcere. Attualmente sono una ventina gli “affidati” e altre dieci persone attendono l’approvazione del proprio Magistrato di Sorveglianza per iniziare con noi un percorso fuori dalle mura della prigione. L’omonima rivista è soltanto una delle tante attività che coinvolgono volontari, persone detenute ed esperti. Una voce libera, che nel nuovo numero racconta il carcere per quello che è: “Ai confini dell’umanità”.
Ecco la risposta alla domanda iniziale: se anche un solo studente, una sola tra le tante persone che incontriamo o sfogliano la nostra rivista riuscirà a comprendere l’inutilità del carcere rispetto all’efficacia delle misure alternative, allora tutto avrà un senso.

IRAN: L’ADOLESCENTE ARMITA GARAVAND È MORTA
Armita Garavand (Geravand), una studentessa di 16 anni che in Iran ha subito un trauma cranico in un’aggressione della ‘polizia morale’, è stata dichiarata morta sabato 28 ottobre.
Il 1° ottobre, Armita, una studentessa di liceo, è entrata in coma dopo essere stata fermata, secondo quanto riportato da fonti indipendenti, da una agente donna addetta alla sorveglianza ‘morale’ sui vagoni della metropolitana di Teheran.
Come è noto la ’polizia morale’, un corpo paramilitare, vigila sull’osservanza delle leggi islamiche sulla “decenza” che i cittadini devono tenere in pubblico, in particolar modo su come si vestono le donne, e su come indossano lo hijab, ossia il foulard che deve coprire i capelli e parte del volto.
Nonostante la pubblicazione di alcuni secondi di un video di sorveglianza della metropolitana, da cui non si capisce molto, manca una ricostruzione attendibile dei fatti, con le autorità iraniane che sostengono che la ragazza non sia stata affatto affrontata da una agente, ma abbia avuto uno svenimento per cause naturali, e svenendo avrebbe battuto la testa. Mancano testimonianza ufficiali sul fatto, e la ragazza non è stata ricoverata in un ospedale normale, ma in un ospedale militare, e quindi anche le fonti mediche sono molto scarse. Tutte le organizzazioni per i diritti umani che si occupano di Iran sono però concordi sul fatto che una agente donna ha spinto Armita che era appena entrata in un vagone, e che la ragazza sarebbe caduta, battendo la testa, a seguito di questa spinta. Pochi giorni dopo l’evento, la madre della ragazza era stata arrestata perché ‘insisteva a fare domande’. Attorno alla ragazza, da subito caduta in coma e mai operata perché, a quanto pare, i
 medici dell’ospedale Fajr di Teheran consideravano le sue condizioni troppo gravi, il governo ha steso un cordone di polizia, per impedire che fotografie o informazioni raggiungessero il pubblico. Già da qualche giorno i media filogovernativi avevano fatto circolare la notizia che la ragazza era considerata “cerebralmente morta”.
In precedenza, Iran International aveva ricevuto informazioni secondo cui la famiglia di Armita Garavand aveva subito pressioni da parte delle autorità affinché in caso di morte trasferissero discretamente il suo corpo da Teheran a Jafar Abad, nella regione di Kermanshah, rivelando che questa disposizione era stata data personalmente del leader iraniano, Ali Khamenei.
Dopo la morte di Mahsa Amini nel settembre 2022, il regime clericale iraniano teme una recrudescenza delle estese proteste anti-establishment e del movimento “Donne, Vita, Libertà” visti lo scorso anno.
Le circostanze del caso di Garavand ricordano da vicino quelle della morte di Mahsa Amini l'anno scorso mentre era sotto la custodia della polizia morale. In entrambi i casi, il regime ha negato ogni addebito, ma ha fatto pressione sulle famiglie affinché si astenessero dal parlare ai media.
La spiegazione del regime su cosa abbia causato la morte di questa adolescente è stata messa in discussione sui social media. Molti sottolineano che è stata "uccisa" da chi vigila sull’uso obbligatorio dello hijab, proprio come nel caso di Mahsa Amini, quando il governo ha cercato di offrire una spiegazione secondo cui aveva problemi di salute preesistenti, ma il pubblico non ci credeva.
Le informazioni ottenute da Iran International avevano indicato che altri membri della famiglia e parenti di Armita Garavand erano stati minacciati e gli era stato vietato di discutere delle sue condizioni con i media.
La famiglia Garavand e i suoi parenti temevano che gli agenti di sicurezza potessero aver installato dispositivi di intercettazione o telecamere all'interno delle loro residenze, facendoli sentire insicuri nelle proprie case.
Inoltre, i suoi genitori dovevano firmare una dichiarazione in cui si impegnavano a non sporgere denuncia contro "nessun individuo, organizzazione o entità".
La sua morte ha scatenato un’ondata di reazioni immediate da parte di attivisti, giornalisti e altri che si sono rivolti ai social media per protestare contro il regime e piangere la sua scomparsa.
Behnam Gholipour, giornalista, ha scritto su X: "Il sistema politico che ha ucciso questa dolce ragazza è il portabandiera di Gaza".
Anche il commentatore politico iraniano Sadegh Zibakalam ha espresso le sue condoglianze alla famiglia di Armita per la sua scomparsa, dicendo: "Spero che la sua morte induca il sistema a riconsiderare la sua posizione sullo hijab obbligatorio. Quanti Mahsa e giovani Armita devono essere sepolti prima che le autorità accettino che non si può costringere le persone a indossare lo hijab, o a toglierlo?"
Nel primo anniversario della morte di Mahsa Amini, avvenuta a metà settembre, il parlamento iraniano ha approvato una severa "legge sullo hijab" che, se violata, può comportare dieci anni di reclusione. L'establishment teocratico iraniano impone alle donne di indossare lo hijab dal 1979, quando lo Scià laico fu rovesciato.
Tuttavia, il movimento "Donne, Vita, Libertà" ha permesso a più donne di apparire senza velo in luoghi pubblici, inclusi centri commerciali, ristoranti e negozi.
In risposta al ricovero di Armita Garavand, diverse importanti Ong internazionali, e di esuli iraniani, hanno chiesto alla comunità internazionale di sollecitare le autorità iraniane a consentire ad una delegazione internazionale indipendente, comprendente esperti delle Nazioni Unite, di indagare sull'incidente.
Una veglia per Armita Garavand è stata organizzata a Roma il 30 ottobre davanti all’ambasciata iraniana, per chiedere un cambio di regime in Iran.
A promuoverla 'Nessuno tocchi Caino'.
Sono intervenuti rappresentanti della resistenza iraniana, fra cui la giovane Ghazal Afshar, Elisabetta Zamparutti, Rita Bernardini, Giulio Terzi di Sant'Agata, Gennaro Migliore, Renata Polverini, Sergio D'Elia, Ester Mieli, Riccardo Pacifici.
Slogan della manifestazione 'Armita, figlia sorella nostra'.
Intendiamo denunciare – ha spiegato Nessuno tocchi caino - la natura mortifera e misogina del regime iraniano, elemento di destabilizzazione in Medio Oriente e minaccia alla pace e alla sicurezza mondiale, perché in guerra, da oltre 40 anni, con il suo stesso popolo che reprime con esecuzioni capitali, torture e trattamenti inumani e degradanti e ribadiamo la necessità e l'urgenza di un cambio di regime".
(Fonti: iranintl; Adn, 30/10/2023)

SOMALIA: CINQUE UOMINI FUCILATI PER OMICIDIO NEL SOMALILAND
L'autoproclamata Repubblica del Somaliland il 1° novembre 2023 ha giustiziato cinque uomini per omicidio nella sua capitale Hargeisa.
I cinque uomini sono stati fucilati nel carcere di Mandhera.
Il presidente Muse Bihi Abdi aveva recentemente approvato le esecuzioni di questi uomini, i cui nomi non sono stati ancora resi noti dal governo locale.
Al momento, le autorità non hanno rilasciato alcuna dichiarazione in merito a queste esecuzioni.
Il Somaliland, ufficialmente Repubblica del Somaliland, è uno stato sovrano non riconosciuto situato nel Corno d'Africa, riconosciuto a livello internazionale come facente parte della Somalia.
(Fonti: HOL, 01/11/2023)






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