Nessuno tocchi Caino - TRENT’ANNI DI VITA CONTRO LA PENA DI MORTE E LA MORTE PER PENA

Nessuno tocchi Caino news

Anno 23 - n. 41 - 25-11-2023

Contenuti del numero:

1.  LA STORIA DELLA SETTIMANA : NESSUNO TOCCHI CAINO: TRENT’ANNI DI VITA CONTRO LA PENA DI MORTE E LA MORTE PER PENA
2.  NEWS FLASH: LA CEDU ALL’ITALIA: È DISUMANO NON CURARE I DETENUTI
3.  NEWS FLASH: IL VERO POTERE DEL GARANTE È NON AVERE POTERE
4.  NEWS FLASH: TRINIDAD E TOBAGO: L’ALTA CORTE RILASCIA IL PRIGIONIERO DA PIÙ TEMPO NEL BRACCIO DELLA MORTE
5.  NEWS FLASH: TEXAS: RIDOTTA ALL’ERGASTOLO LA CONDANNA A MORTE DI SYED RABBANI
6.  I SUGGERIMENTI DELLA SETTIMANA : NESSUNO TOCCHI CAINO A CESANO MADERNO IL 27 NOVEMBRE


NESSUNO TOCCHI CAINO: TRENT’ANNI DI VITA CONTRO LA PENA DI MORTE E LA MORTE PER PENA
Sergio D’Elia su Il Riformista del 21 novembre 2023

Ricorre quest’anno il trentennale della fondazione di Nessuno tocchi Caino, che con Marco Pannella e Mariateresa Di Lascia abbiamo costituito per disarmare la giustizia della spada e affermare stato di diritto, libertà, democrazia. Lo celebreremo il 14, 15 e 16 dicembre nella Casa di reclusione di Opera, nel X Congresso dell’associazione radicale che in questi trent’anni è stata la casa della nonviolenza e dell’amore, della tolleranza e della accoglienza. E anche il refugium peccatorum: dei reietti, degli irredimibili, condannati a rimanere tali per tutta la vita.
In questi trent’anni, l’eterna lotta tra il bene e il male ha letteralmente mortificato il diritto penale. Principi sacri dello Stato di Diritto sono stati profanati nell’orgia del punire.
Ovunque nel mondo, c’è stato un grande spargimento di sangue: pene di morte, pene fino alla morte, morti per pena. Non solo. Ad esempio, in Italia, quando si è scelto di “prevenire” invece che punire, il prevenire è stato peggio del punire. Nel nome della “guerra alla mafia”, ai processi penali si sono aggiunte o hanno surrogato altre misure, dette interdittive e di prevenzione, ma che sono state spesso più distruttive dei castighi penali.
“La durata è la forma delle cose,” amava dire Pannella ispirato da Henri Bergson. Quanti si sono scervellati nel cercare di capire il senso di questa frase! Chi ha posto l’accento sulla durata delle cose di per sé artefice della loro forma. Chi, viceversa, ha attribuito alla forma delle cose il potere di renderle durature. A me piace il senso originario della frase del filosofo francese che identifica nella coscienza la forza della durata. La coscienza orientata ai valori umani è il nocciolo duro che, pur sommerso da strati di false credenze e comportamento errati, non muore mai ed emerge nella vita presente con la memoria della vita passata e il preludio della vita futura. La coscienza è la durata delle cose, dell’umanità, dell’universo. Il principio d’ordine da cui tutto origina, che tutto lega e a cui tutto tende.
Trent’anni! Sono passati trent’anni nei quali – grazie al monito antico-testamentario “Nessuno tocchi Caino” – abbiamo chiuso molti bracci della morte e liberato molti condannati a vita. Con le risoluzioni ONU sulla moratoria delle esecuzioni capitali. Con le sentenze della Corte europea e della Corte costituzionale contro l’ergastolo ostativo. Trent’anni! Sono passati trent’anni nei quali – grazie al motto paolino-pannelliano “Spes contra spem” e con la nostra opera laica di misericordia corporale che ci ha portato solo quest’anno a “visitare i carcerati” di 105 penitenziari – abbiamo fatto vivere la speranza nei luoghi dove albergano anime in pena e vite senza speranza: luoghi di privazione non solo della libertà, ma di tutto, dei fondamentali sensi umani e della vita stessa.
Visto come stanno andando le cose, per la prima volta in trent’anni, Nessuno tocchi Caino registrerà quest’anno il maggior numero di iscritti nella sua storia: oltre 3.000. Come è potuto accadere, visto che siamo sempre stati poche centinaia?
E’ accaduto che abbiamo vissuto nel senso e nel modo in cui volevamo andassero le cose. In questi anni, abbiamo pensato, sentito e agito in modo radicalmente nonviolento, inclusivo, “ecologico”. Abbiamo avuto una visione di insieme e una cura dell’insieme che noi siamo, convinti che sia l’unione – non l’unità – a fare la forza e a farsi forte, non delle identità comuni, ma delle singolarissime diversità che connotano il nostro – di ognuno di noi – modo d’essere unici e irripetibili.
La reductio ad unum, una teoria letteralmente “diabolica” della vita – delle organizzazioni politiche come degli organismi viventi – che pone in mezzo ostacoli, fissa limiti e pietre di confine oltre i quali non v’è salvezza, non corrisponde alla natura delle cose, non collima con la vita dell’universo, il quale vive secondo un ordine “religioso” che si fonda e tende a creare relazioni, interdipendenze tra cose ed esseri diversi. Nessun pianeta, nessun popolo, nessuna comunità, nessun individuo vive se non in relazione ad altri pianeti, altri popoli, altre comunità, altri individui. Per questo intimamente amiamo, rivendichiamo e difendiamo i “diritti umani universali”. Perché tutti noi siamo nell’universo e l’universo è in tutti noi, in perfetta armonia.
Il “viaggio della speranza” di Nessuno tocchi Caino nel mondo dei delitti e delle pene ha in questi trent’anni contribuito a superare o a ridurre il danno di regimi mentali e ordinamentali letteralmente mortiferi, culturalmente oltre che giuridicamente anacronistici, veri e propri relitti di un passato che nascondiamo nelle segrete stanze, appunto, della morte. Nei bracci dei condannati alla pena capitale e nelle sezioni del “carcere duro” e senza speranza, ma anche nelle celle di isolamento, osservazione e assistenza detta “sanitaria” del “carcere normale”. Tossici, malati terminali e malati mentali che in altri tempi tenevamo nei manicomi e nei lazzaretti, oggi, li abbiamo concentrati in un luogo solo: il carcere. Un istituto inutile e dannoso che continuiamo – giustamente – a chiamare “di pena”, perché questo letteralmente è: una struttura dedita a infliggere dolore, a “cohercere”, reprimere, a “carcar”, sotterrare, anime e corpi di persone vive
 .

Il X Congresso di Nessuno Tocchi Caino si svolgerà presso la Casa di Reclusione di Opera, Via Camporgnago 40, Milano.
Inizieremo i lavori nel primo pomeriggio del 14 dicembre, continueranno per tutto il 15 e li chiuderemo nella tarda mattinata del 16 dicembre. Saranno suddivisi in tre sessioni dal titolo (provvisorio): pena di morte e pena fino alla morte; il viaggio della speranza: visitare i carcerati; la fine della pena.
Se vuoi esserci, comunicaci la tua partecipazione al Congresso entro e non oltre il 25 novembre e, per le necessarie autorizzazioni e comunicazioni, anche i tuoi dati anagrafici (nome e cognome, luogo e data di nascita), la tua email e un numero di telefono, scrivendo a info@nessunotocchicaino.it oppure telefonando o inviando un messaggio via WhatsApp al 335 8000577.
Almeno 15 giorni prima del Congresso forniremo ai partecipanti l'ordine dei lavori, le informazioni logistiche per raggiungere la Casa di Reclusione di Opera, le istruzioni più importanti per l'ingresso in carcere e una proposta per il pernottamento.
Se non lo hai ancora fatto, ti chiediamo di iscriverti per partecipare al Congresso anche con la tessera di Nessuno tocchi Caino – Spes contra spem. Ti aspettiamo!!

ISCRIZIONE A NESSUNO TOCCHI CAINO (almeno 100 euro)
Bollettino postale: intestato a Nessuno tocchi Caino, C/C 95530002
Bonifico bancario: intestato a Nessuno tocchi Caino, IBAN
IT22L0832703221000000003012
PayPal: attraverso il sito a questa pagina www.nessunotocchicaino.it/cosapuoifaretu/iscriviti
Con carta di credito telefonando al 335 8000577
N.B. I contributi a Nessuno tocchi Caino sono deducibili dalle tasse in base al D.P.R. 917/86
5x1000 A NESSUNO TOCCHI CAINO
Firma nel riquadro "Sostegno alle organizzazioni non lucrative, delle associazioni di promozione sociale, delle associazioni riconosciute che operano nei settori di cui all'art. 10 c. 1, lett d, del D. Lgs. N. 460 del 1997 e delle fondazioni nazionali di carattere culturale"
E riporta il codice fiscale di Nessuno tocchi Caino 96267720587

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NESSUNO TOCCHI CAINO - NEWS FLASH

LA CEDU ALL’ITALIA: È DISUMANO NON CURARE I DETENUTI
Roberto Ghini e Pina Di Credico su L’Unità del 19 novembre 2023

Importante decisione quella della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo che ha accolto il ricorso presentato nell’interesse di un detenuto che da oltre 22 anni sta scontando la pena dell’ergastolo ostativo all’interno di un carcere italiano. Tutto era iniziato il 27 aprile del 2020 attraverso la richiesta di adozione di una misura provvisoria urgente ex art. 39 del Regolamento della Corte. Il detenuto da anni soffriva di patologie che lo avevano portato, già nel 2018, a chiedere il differimento della pena. La Cassazione aveva annullato la prima decisione negativa del Tribunale di Sorveglianza di Napoli ma, nonostante questo, il TDS non fissava udienza. Si decideva allora di investire la CEDU lamentando la violazione dell’art. 2 poiché il detenuto era esposto al rischio di perdere la vita e per violazione dell’art. 3, in quanto, a cagione di cure totalmente inadeguate alla sua condizione patologica, risultava costantemente esposto a un trattamento inumano e degradante.
Ad acuire la situazione precaria vi era l’esposizione al rischio di contrarre l’infezione da Covid-19. Nello specifico il detenuto era sprovvisto da mesi di uno strumento salvavita denominato CPAP necessario per agevolare la respirazione e non era stato sottoposto alle visite specialistiche richieste. La mancanza dello strumento salvavita, poi, rischiava di compromettere le precarie condizioni di salute del detenuto in quanto incideva sulle altre patologie pregresse del recluso.
Non potendo attendere le tempistiche del TDS di Napoli che tardava a fissare l’udienza di rinvio a seguito della pronuncia favorevole della Cassazione, si investiva della questione la Corte di Strasburgo con una procedura d’urgenza ai sensi dell’art. 39 affinché essa adottasse una “misura urgente e provvisoria” ovvero che al detenuto venisse concesso il differimento della pena affinché potesse ottenere le cure necessarie e assolutamente urgenti.
Si chiedeva inoltre alla CEDU, qualora fosse stato necessario, di disporre che un “Soggetto Terzo” indipendente dallo Stato Italiano e dall’Amministrazione Penitenziaria effettuasse un controllo sulle reali modalità di trattamento sanitario. La CEDU, dopo due soli giorni dalla presentazione del corposissimo ricorso, ci informava di aver richiesto chiarimenti al Governo che avrebbero dovuto essere forniti entro le ore 12 del 6 maggio. Si apriva così una lunga “battaglia” con il Governo italiano. Più volte la CEDU interveniva pretendendo dei chiarimenti dal Governo Italiano e nello specifico richiedendo di fornire le generalità dei sanitari che avevano provveduto a più riprese a visitare il detenuto esprimendo pareri di compatibilità con il regime carcerario e soprattutto di adeguatezza delle cure.
Con la sentenza Riela c. Italia resa dalla Prima Sezione all’unanimità, la CEDU ha riconosciuto la violazione dell’articolo 3 della Convenzione. La decisione risulta di particolare rilevanza e attualità – oltre che per il tema tecnico della “ricevibilità” sancendo di fatto che un detenuto NON può attendere i tempi della giustizia italiana se in precarie condizioni– per il giudizio di avvenuta violazione dell’articolo 3. Il ricorrente non aveva ricevuto cure mediche tempestive e adeguate e ciò ha determinato la sua esposizione a un trattamento inumano e degradante.
Come noto a chiunque si occupi di salute e detenzione, i tempi della medicina carceraria sono, troppo spesso, incredibilmente e inutilmente dilatati. Possiamo quindi affermare che ogniqualvolta il ritardo nelle cure mediche non sia realmente giustificato e ogni volta senza reali giustificazioni si ritardi nella cura di patologie, nella effettuazione di esami, nella fornitura di presidi sanitari, possa esservi una diretta violazione dell’art. 3. Sono, purtroppo, molteplici le situazioni simili (se non peggiori) a quella vissuta dal nostro assistito e dai suoi famigliari. Questa decisione ha il pregio di rimettere al centro della questione carcere le effettive condizioni di salute dei detenuti, ovviamente a prescindere dal titolo di detenzione, sia esso ostativo o meno. Da parte nostra ci sarà il massimo impegno perché questa decisione possa comportare per il nostro assistito – che sta affrontando con incredibile dignità questo difficile periodo – la prosecuzione del regime de
 tentivo in ambiente domestico, risultando le sue patologie incompatibili con il regime sanitario attualmente in essere in carcere a cagione del fatto che, nonostante la pronuncia della Corte, di fatto il detenuto continua a non potere utilizzare il CPAP che, sebbene formalmente fornito risulta sostanzialmente inutilizzabile per la mancanza di “taratura”. Pertanto riteniamo che il detenuto continui a essere assoggettato a un trattamento inumano e degradante con la conseguenza che le cure approntate non sono, a oggi, solo tardive ma del tutto inadeguate. Non escludiamo, pertanto, di potere nuovamente investire la CEDU se la condizione di Riela continuerà a rimanere la stessa.

IL VERO POTERE DEL GARANTE È NON AVERE POTERE
Davide Galliani su L’Unità del 19 novembre 2023

Il potere del Garante sta nel suo non avere potere. A suo modo, partecipa: relazioni annuali al Parlamento, interlocuzioni quotidiane con i ministri, è ricevuto da chi lo nomina (il Capo dello Stato) e assume un significativo ruolo dinanzi alla Corte costituzionale e alla Corte di Strasburgo. Il Garante è un ponte tra le persone e le istituzioni, un biografo-fotografo di vite. Accende i riflettori. Ma perché il suo potere è decisivo proprio perché non è potere? Potremmo spendere molto tempo alla ricerca della figura ideale di Garante: professore, avvocato, magistrato, esponente dell’associazionismo. Si scoprirebbe però che dovrebbe possedere un po’ di tutti questi mestieri, piuttosto che molto ma solo di uno. Non di meno, il punto vero è un altro: il Garante migliore è quello più autonomo e indipendente. E da chi, se non dai poteri? Il Garante è più forte quanto più è in grado di segnare il distacco dal potere. Non bastano Parlamento, Governo, Capo dello Stato e giu
 dici, ma cosa giustifica e può fare un’altra istituzione, peraltro dotata di un potere che è tale perché non è tale?
Quanti conoscono cosa accade in una sperduta stazione di polizia, in una cella di un carcere dimenticato da Dio, in un servizio psichiatrico di un ospedale di periferia, in un centro di trattenimento per migranti? Sono luoghi sovraffollati di persone le cui storie non hanno interlocutori, ma non solo perché l’indifferenza è nel DNA di una società capitalistico-finanziaria e quindi più egoistica e meno solidaristica (il laissez-faire antropologico). Il problema è la carenza di conoscenza: la nostra testa non ragiona bene perché i nostri occhi non vedono bene, al massimo intravedono. Possiamo immaginare, ma vedere è un’altra cosa. Ecco il ruolo del Garante: rendere le istituzioni partecipi di quello che combinano. Si mette nel mezzo tra le persone e le istituzioni. Porta le vite delle prime alle seconde e collabora con le seconde per migliorare le condizioni delle prime. Una sorta di coscienza collettiva, il suo motto potrebbe essere videre aude.
Nessun paese della Grande Europa ha avuto la nostra fortuna di avere Mauro Palma come Garante: l’uomo giusto al posto giusto. Antonio Cassese sostenne che l’esperienza al CPT del Consiglio d’Europa gli aveva insegnato più di un’intera biblioteca, e nonostante questo a un certo punto non riuscì a proseguire nell’incarico, disse che si era “spezzato”. Cosa è successo con Mauro Palma? Non solo è l’unica persona a essere stata rieletta per tre volte come Presidente del CPT, e possiamo solo immaginare cosa ha visto, ma dopo quell’esperienza ha deciso di iniziarne un’altra, parimenti pesante, se si considerano le nostre carceri, il frequente uso della contenzione fisica nei servizi psichiatrici degli ospedali, il dramma italiano dei centri per il trattenimento dei migranti, senza considerare altri fenomeni dei quali non possiamo dirci orgogliosi. La riprova che è stato l’uomo giusto al posto giusto l’abbiamo considerando l’aumento di attribuzioni riconosciute al Garante. In questi anni di Ministri della Giustizia ne abbiamo avuti, tutto l’arco (più o meno) costituzionale: Orlando, Bonafede, Cartabia, Nordio. Lo stesso agli Interni: Alfano, Minniti, Salvini, Lamorgese, Piantedosi. Idem alla Salute: Lorenzin, Grillo, Speranza, Schillaci. Sul carcere, sull’immigrazione e sulla salute ciascuno aveva la propria idea: è stato forse il caso a far sì che Mauro Palma abbia avuto con tutti un rapporto franco e collaborativo, avanzando critiche e allo stesso tempo ricevendo molta attenzione? No, non è stato il caso, è stato perché lì avevamo Mauro Palma, che la migliore intelligenza artificiale non saprebbe ricreare.
Difficile riflettere sul futuro. Intanto, il Garante si fa nelle carceri (anche dentro il 41bis), negli hotspot, negli ospedali, nelle caserme, nelle REMS. La scrivania al massimo il venerdì sera. Inoltre, un parlamentare, un ministro, un giudice hanno di default un surplus da spendere. Il Garante è diverso, il suo peso non sta nel suo potere ma nella sua autorevolezza, che significa autonomia e indipendenza, oltre a esperienza e conoscenza. Infine, in un’ottica di medio periodo, il Garante deve lasciare l’istituzione più forte, non più debole. E la sua forza sta nel saper guardare laddove nessuno vuole vedere e far vedere. L’etimologia non mente: garante deriva dal latino varens che ha una radice in var, guardare.
Mauro Palma ha fondato (bene) il Garante. Con Daniela de Robert ed Emilia Rossi ne hanno sviluppato le competenze, incrementandone ruolo e forza. Lasciano un’istituzione autorevole, tanto che non sarà semplice il compito di chi seguirà. Potremmo dirci soddisfatti solo se in futuro i poteri continueranno a lamentarsi del Garante. Se nessuno lo farà, avremo perso la partita. Sono sicuro che Mauro Palma avrebbe voluto fare di più, non è mai pago. Vorrei però concludere dicendo che tutti gli dobbiamo stringere la mano e dirgli grazie.

TRINIDAD E TOBAGO: L’ALTA CORTE RILASCIA IL PRIGIONIERO DA PIÙ TEMPO NEL BRACCIO DELLA MORTE
Wenceslaus James, il prigioniero da più tempo nel braccio della morte di Trinidad e Tobago, il 14 novembre 2023 è stato rilasciato per ordine dell'Alta Corte del Paese.
Riconosciuto colpevole di omicidio nel 1996, Wenceslaus ha ricevuto la condanna a morte obbligatoria per il crimine.
Il Death Penalty Project (DPP) ha lavorato al caso insieme all'avvocato britannico Amanda Clift-Matthews e all'avvocato locale Daniel Khan in una lunga battaglia legale per il suo rilascio.
Avendo trascorso 24 anni nel braccio della morte e oltre tre decenni in custodia, Wenceslaus James è il detenuto da più tempo nel braccio della morte nel Paese.
Nel braccio della morte ha vissuto situazioni terribili, in particolare nel 1999 la sua esecuzione programmata fu interrotta senza preavviso all'ultimo minuto.
Quella mattina, a Wenceslaus fu letto il mandato di esecuzione. Fu portato in una cella in attesa dell'esecuzione, dove ricorda che "sul pavimento c'erano sangue, vomito ed escrementi delle persone precedenti in attesa di essere impiccate".
In aggiunta a questa esperienza terribile, quella mattina ha anche assistito all'esecuzione del suo compagno di cella e coimputato Antony Briggs.
Con la sua esecuzione che sembrava imminente, improvvisamente e senza spiegazioni fu riportato nella sua cella. Quel giorno non è stato giustiziato.
Sempre nel 1999, vivendo in una cella proprio accanto al patibolo, Wenceslaus convisse con l'angoscia e il trauma di ascoltare altre nove esecuzioni.
Ricordando l'esecuzione del suo compagno di cella e coimputato, Wenceslaus ha detto: “Ho potuto vedere la corda e sentire lo schianto della botola. Mi perseguita ancora. Mi sento malato e debole. È stata l’esperienza più orribile della mia vita”.
Wenceslaus fu riconosciuto colpevole ai sensi della dottrina del “felony- murder” (morte causata durante la commissione di un altro grave crimine).
Se il suo caso fosse esaminato oggi, in base alla legge attuale, la condanna a morte non sarebbe obbligatoria e lui sarebbe condannato a una pena detentiva.
L'Alta Corte ha ri-sentenziato Wenceslaus a una pena detentiva, che ha già scontato. Wenceslaus James è stato ora rilasciato dal carcere.
Saul Lehrfreund, co-direttore esecutivo del Death Penalty Project che ha guidato il team legale, ha dichiarato:
“Siamo lieti della decisione dell’Alta Corte di Trinidad e Tobago di rilasciare Wenceslaus. Avendo scontato una quantità di tempo e sofferenze così dure nel braccio della morte, c'è stata una chiara violazione dei suoi diritti costituzionali. Trinidad e Tobago è l'unico paese dei Caraibi del Commonwealth che continua a utilizzare la pena di morte obbligatoria, con lo stesso governo a riconoscere che l'imposizione obbligatoria della pena di morte sia una punizione crudele e disumana. Abbiamo lavorato a lungo a Trinidad e Tobago per più di tre decenni e continueremo a farlo concentrando i nostri sforzi sulla riforma legislativa finché questa pratica barbara non sarà abolita”.
(Fonte: The Death Penalty project, 16/11/2023)
Per saperne di piu' :

TEXAS: RIDOTTA ALL’ERGASTOLO LA CONDANNA A MORTE DI SYED RABBANI
Un detenuto condannato a morte, il cui appello è stato “perso” per 30 anni, ha avuto la pena convertita in ergastolo con la condizionale il 14 novembre 2023, quando l'ufficio del procuratore distrettuale della Contea di Harris, in Texas, ha dichiarato di non perseguire più la pena di morte.
Syed Rabbani, cittadino del Bangladesh, è stato nel braccio della morte dal 1988 per una sparatoria mortale a Houston.
Rabbani ha presentato il suo appello nel 1994, ma è rimasto in sospeso nel sistema giudiziario della Harris County fino al 2022, quando l'ufficio del cancelliere distrettuale ha riscoperto la pratica tra oltre 100 altri casi "dimenticati".
Sebbene gravemente malato, l'uomo è ora idoneo a ottenere la libertà condizionale grazie ai 35 anni di carcere già scontati.
A settembre, la Corte d'Appello del Texas aveva annullato la condanna a morte di Rabbani perché il giudice del processo non aveva istruito correttamente i giurati sui fattori attenuanti, tra cui le prove della malattia mentale di Rabbani.
L’uomo è affetto da schizofrenia e disturbo schizoaffettivo e, dopo oltre 30 anni di detenzione, la sua salute mentale e fisica è peggiorata. Secondo il suo team legale, ora "soffre anche di una serie di altri problemi medici che lo hanno lasciato in stato vegetativo dall'inizio del 2022", tra cui crisi epilettiche non curate e potenziale diabete.
L'attuale dirigente dell’ufficio che, all’interno della Procura, avrebbe dovuto seguire il caso (Post-Conviction Writ Division), Joshua Reiss, ha detto alla corte che ci sono "alcuni problemi di salute mentale e fisica molto seri che colpiscono il signor Rabbani circa 3 decenni dopo l'omicidio capitale".
Weiss ha definito il caso del signor Rabbani un "disastro processuale, e che dovrà assicurarsi che questo non accada di nuovo". Reiss aveva precedentemente dichiarato ai giornalisti che "siamo tutti mal serviti quando potenziali casi di condanna ingiusta vengono persi da un cancelliere del tribunale per decenni. E, purtroppo, persone come il signor Rabbani... sono impotenti di fronte a tale incompetenza".
L'avvocato del signor Rabbani, Ben Wolff, ha fornito alla corte delle cartelle cliniche del Dipartimento di Giustizia Penale del Texas che indicano che il personale della prigione ha ripetutamente raccomandato il trasferimento del signor Rabbani in un ospizio. Rabbani è stato ritenuto non idoneo al trasferimento perché stava scontando una condanna a morte.
Il signor Wolff, visibilmente emozionato nel descrivere le condizioni attuali del suo cliente, ha detto alla corte che il signor Rabbani "è confinato in un letto di prigione nelle circostanze più disgustose che abbia mai visto". Wolff ha illustrato alla corte l'ambiente insalubre e pericoloso, dicendo al giudice Lori Chambers Gray che "continuare a confinare il signor Rabbani equivale a torturarlo".
Wolff ha chiesto alla corte di prendere in considerazione la possibilità di trasferire il suo cliente in un ospizio, di concedergli la libertà condizionata e di restituirlo alle cure della sua famiglia in Bangladesh. I fratelli del signor Rabbani hanno perso i contatti con lui dopo la morte del padre, avvenuta nel 1995, ma hanno ripreso i contatti all'inizio del 2023, dopo aver letto del caso del signor Rabbani sullo “Houston Landing”.
Syed Fasaini, il fratello più giovane del signor Rabbani, ha scritto alla giudice Lori Chambers Gray da West Shikarpur, in Bangladesh, descrivendo l'affetto che la sua famiglia nutre per il signor Rabbani e il suo desiderio di prendersi cura del fratello, nonostante la sua malattia. Il co-difensore, Heather Richard, ha scritto alla corte che la famiglia è "consapevole che il signor Rabbani ha problemi medici e psichiatrici molto gravi, ma, se gliene viene data la possibilità, spera di prendersi cura di lui per il resto della sua vita". A questa ultima richiesta la giudice Chambers Gray ha risposto negativamente, scrivendo che tali decisioni sono competenza o direttamente del Governatore, o comunque del Board of Paroles.
Il Board of Paroles, non ha potuto essere raggiunto immediatamente per un commento il 10 novembre.
(Fonte: DPIC, 14/11/2023
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I SUGGERIMENTI DELLA SETTIMANA


NESSUNO TOCCHI CAINO A CESANO MADERNO IL 27 NOVEMBRE

IL FINE_LA FINE DELLA PENA

contro la pena di morte, contro la pena fino alla morte, contro la morte per pena

Lunedì 27 novembre
Ore 21
CESANO MADERNO
Sala Aurora - Palazzo Arese Borromeo, Via Borromeo, 41

SALUTI
GIANPIERO BOCCA - Sindaco di Cesano Maderno

INTRODUCE E COORDINA
VINCENZO DI PAOLO - Capogruppo in Consiglio Provinciale MB

PARTECIPANO
RITA BERNARDINI - Presidente Nessuno tocchi Caino
SERGIO D'ELIA - Segretario Nessuno tocchi Caino
ELISABETTA ZAMPARUTTI - Tesoriera Nessuno tocchi Caino ROBERTO RAMPI - Consiglio Direttivo Nessuno tocchi Caino
MARTINA MORAZZI - Assessora Attività Culturali Comune di Cesano Maderno
EGIDIO RIVA - Assessore Welfare e Salute Comune di Monza

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