Due righe intorno a "Faune" di Christiane Vadnais (Codice Edizioni, traduzione di Piernicola D'Ortona)

 

Amo il caldo, i trenta gradi, il mare, la sabbia ma non sono contento di sopportare questo inverno dalle temperature modeste. Senza neve. Senza auto congelate la mattina. Senza ghiaccio sui marciapiedi. Incredibile che qualcuno continui a negare che qualcosa di terribile e irreversibile stia accadendo. 

Certo, domani arriveranno due metri di neve e tutti diranno "Dai, Andrea hai visto, son cose che son sempre capitate..." senza aver capito un cazzo.

E ce ne sono parecchi che non hanno ancora capito che il peggio deve solo arrivare. Un peggio fatto di pandemie. Di virus. Di annientamento. Di trasformazioni. Di adattamenti. Di ripensamenti. Di niente.

Oggi ero libero e mi sono alzato presto come al solito e ho letto tutto d'un fiato un romanzo bellissimo, inquietante, spiazzante che è “Faune” di Christiane Vadnais (Codice Edizioni, traduzione di Piernicola D'Ortona) che racconta proprio di un mondo alla fine, devastato da inondazioni, inquinamento e in preda a un parassita che uccide e trasforma gli esseri umani. 

Un romanzo a frammenti, quasi un collage di racconti, che vede per “protagoniste” la Natura, quella roba lì incomprensibile che sta ovunque, dentro e fuori di noi, e Laura, una ricercatrice (l'homo sapiens sapiens) che indaga su questo parassita, che esplora questo nostro mondo vittima di ogni tipo di aggressione umana che alla fine si ribella senza ribellarsi ma vivendo per quello che è: un mondo inafferrabile che non smette mai di trasformarsi, di contaminarsi, di mutare, di fregarsene, di rimettere al centro del discorso la natura selvaggia dell'esistenza.

L'esplorazione di questo mondo fatto di dolore e abbandoni, di scarti industriali e leggende, di percorsi di accettazioni della morte, di mutazioni inaspettate, di orsi polari affamati che vagano in un ghiaccio surriscaldato, di villaggi popolati da esseri che non sono quasi più umani, di corpi che prendono il volo trovando la possibilità di sopravvivere si fa opera letteraria di pura bellezza, di percorso narrativo liberatoria, animale, vegetale, parassitaria, mortale e che nella tragedia vede la possibilità di un nuovo mondo che sta dentro di noi, lì, nelle nostre viscere, pronto a esplodere.

E mentre lo leggevo ho vissuto anche momenti di sofferenza ricordando come da bambino soffrii spesso di tenia e vermi e un giorno quando lo raccontai a un mio amichetto lui mi disse che mi sarei trasformato in un gigantesco lombrico bianco. E quanto pianse quando me lo disse.

Per giorni non dormii poi mi passò.

E ho pensato anche a mia nonna Bernardina che mi diceva che mangiare lumache vive ci permette di purificare il nostro corpo.

Forse dovrei tornare a mangiarle vive anche io.


(The Price of Serenity)

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