Nessuno tocchi Caino - L’EMERGENZA CARCERE IN PIAZZA: LA POLITICA NON PUÒ PIÙ IGNORARLA

Nessuno tocchi Caino news

Anno 24 - n. 12 - 23-03-2024

Contenuti del numero:

1.  LA STORIA DELLA SETTIMANA : L’EMERGENZA CARCERE IN PIAZZA: LA POLITICA NON PUÒ PIÙ IGNORARLA
2.  NEWS FLASH: LA FABBRICA DEL DIRITTO PENALE PRODUCE MOSTRI
3.  NEWS FLASH: PIÙ CHE PENE ALTERNATIVE SERVONO ALTERNATIVE ALLA PENA
4.  NEWS FLASH: NEL 2023 NUMERO RECORD DI ESECUZIONI PER DROGA
5.  NEWS FLASH: GEORGIA (USA): GIUSTIZIATO WILLIE PYE, NERO, 59 ANNI
6.  I SUGGERIMENTI DELLA SETTIMANA :


L’EMERGENZA CARCERE IN PIAZZA: LA POLITICA NON PUÒ PIÙ IGNORARLA
Damiano Aliprandi su Il Dubbio del 20 marzo 2024

Avvocati, politici, attivisti e cittadini, stanchi di assistere impotenti alla crisi che attanaglia il sistema carcerario italiano, hanno trovato voce nella manifestazione del 20 marzo organizzata a Roma in Piazza dei Santi Apostoli dall’Unione Camere penali italiane. Le parole pronunciate dagli intervenuti sono un grido d'allarme che risuona nell'animo di ogni persona consapevole del grave allarme sui suicidi e sul sovraffollamento nelle carceri italiane.
Francesco Petrelli, presidente dell'Ucpi, ha aperto la manifestazione con un discorso incisivo e carico di urgenza. Ha iniziato esprimendo profonda preoccupazione per il crescente numero di suicidi nelle carceri, definendo il dato atroce e sottolineando la frequenza allarmante con cui si sono verificati negli ultimi mesi, con un suicidio ogni tre giorni. Ha evidenziato che questa emergenza non può essere trascurata, considerando anche il continuo aumento del sovraffollamento carcerario, che si avvia a ripetere le stesse condizioni che hanno portato alla condanna dell'Italia con la sentenza Torreggiani per trattamenti inumani e degradanti dei detenuti.
Il presidente dei penalisti ha insistito sul fatto che non c'è più tempo da perdere e che è necessario che la politica assuma la responsabilità di affrontare questa crisi che coinvolge l'intero sistema carcerario. Ha ribadito che uno Stato civile non può esimersi dal garantire l'integrità fisica e la vita dei detenuti, sottolineando l'importanza di adottare azioni immediate e norme urgenti per porre fine a questa condizione di illegalità. Inoltre, Petrelli ha citato la proposta di Roberto Giacchetti di Italia Viva e Rita Bernardini di Nessuno Tocchi Caino, che mira a risolvere il problema del sovraffollamento con la liberazione anticipata speciale come misura urgente, seppur temporanea, in attesa di una riforma più ampia e strutturale del sistema carcerario.
Dal palco Rita Bernardini ha riconosciuto la presenza numerosa di persone alla manifestazione, sottolineando l'importanza di unirsi per affrontare la questione del sistema carcerario. Ha ringraziato l'Ucpi per aver organizzato l'evento pubblico permettendo a tutti di mostrare il proprio impegno. Durante il suo intervento ha evocato le parole di Marco Pannella del 2013, dopo la sentenza Torreggiani, quando disse che “l'Italia non era uno Stato di Diritto né una democrazia”.
Bernardini ha poi ricordato come, dopo poco tempo, il presidente della Repubblica Napolitano avesse fatto un appello, invitando il Parlamento a intervenire con un provvedimento di amnistia e indulto. Tuttavia, nonostante gli applausi ricevuti, l'appello non ha portato a risultati concreti, evidenziando la mancanza di volontà politica nel risolvere il problema. Ha poi criticato i governi successivi, che non hanno affrontato seriamente la questione carceraria per timore di perdere consenso elettorale. Nonostante alcuni tentativi di riforma, come gli stati generali e le proposte del ministro Orlando, il problema è rimasto irrisolto.
Infine, Bernardini ha sottolineato l'importanza di perseverare nell'impegno, invitando tutti a continuare la lotta con determinazione e non violenza, cercando di coinvolgere sia la maggioranza che l'opposizione politica per trovare una soluzione condivisa e duratura.
Sul palco anche Pierantonio Zanettin di Forza Italia, l’unico esponente della maggioranza presente alla manifestazione. Ha sottolineato che fa parte di un partito garantista, e ha personalmente presentato due question time al ministro Nordio sulla tragica situazione dei suicidi nelle carceri, definendola “una tragedia immane”. L'obiettivo principale, così afferma, è evitare che il 2024 diventi l'anno record per i suicidi nelle carceri italiane. Nel contempo ha riconosciuto che trovare soluzioni immediate non è semplice, poiché all'interno della maggioranza ci sono diverse sensibilità. Tuttavia, ha assicurato che ci sarà un confronto all'interno della maggioranza per trovare un compromesso tra le diverse posizioni.
Non poteva mancare Roberto Giachetti di Italia Viva, protagonista della manifestazione, essendo il promotore della legge sulla liberazione anticipata che è al vaglio della commissione Giustizia, risultato ottenuto anche grazie allo sciopero della fame. Un punto chiave del suo intervento è stato l'invito a considerare l'amnistia come parte fondamentale della soluzione per ridurre il sovraffollamento carcerario. Condizioni politiche che non esistono, ma dovute dalla norma che prevede due terzi del Parlamento.
Subito gli ha fatto eco Riccardo Magi di +Europa, sottolineando che si tratta di un quorum che non c'è neanche per modificare la Costituzione. Sul palco ha ricordato di essere promotore di un'altra legge fondamentale (sottoscritta da quasi tutta l’opposizione), quella delle strutture alternative alla classica detenzione, destinate a chi ha una pena breve. E ha ricordato come il capo del Dap, in audizione in commissione giustizia, si è detto favorevole.
È intervenuta anche Deborah Serracchiani del Pd, la quale ha tenuto a ringraziare Giachetti e Magi per essere stati promotori di due leggi che trovano supporto dal suo partito. Ha ricordato che l'allarme non riguarda solamente la situazione attuale all'interno delle carceri italiane, caratterizzata dalla mancanza di cure, dall'attenzione alla rieducazione e dalla volontà di svuotare l'articolo 27 della Costituzione, che sancisce il fine rieducativo della pena. Ha infatti voluto sottolineare la preoccupazione per le proposte del governo di modifica del codice Rocco, che prevederebbero l'ingresso in carcere di donne incinte, così come per il decreto Caivano che sta smantellando il carcere minorile, fino a poco tempo fa un fiore all'occhiello del nostro Paese.
Significativo l’intervento dell’avvocata Irma Conti, componente del Garante Nazionale delle persone private della libertà personale: «dall’inizio dell’anno - ha detto - si sono sventati oltre 400 tentativi di suicidio, come abbiamo appreso anche visitando dall’inizio del nostro mandato oltre 20 istituti di pena. Il tasso di sovraffollamento è in media al 129% ma ci sono in totale 23086 detenuti con un massimo di pena da espiare fino ad un massimo di tre anni di cui una elevata percentuale potrebbe uscire, attraverso un’opera di sburocratizzazione della macchina giudiziaria».
La manifestazione delle Camere Penali è stata un importante momento di confronto e di denuncia. Ha dimostrato che la questione del carcere è sentita da una parte importante della società civile e che c'è una forte richiesta di cambiamento.

------------------------------

---------
NESSUNO TOCCHI CAINO - NEWS FLASH

LA FABBRICA DEL DIRITTO PENALE PRODUCE MOSTRI
Giuseppe Losappio* su L’Unità del 16 marzo 2024

La fabbrica del diritto penale è al centro di un quartiere che incita il legislatore al massimo sforzo produttivo. Da mihi crimina dabo tibi suffragium. Voglio dirlo in modo pop, parafrasando De Gregori, anche se corro il rischio del sociologismo: la fabbrica del diritto penale siamo noi, oggi più che mai nell’epoca delle passioni tristi e – tra queste – della passione punitiva, come ci ha insegnato l’omonimo libro di Didier Fassin. È una situazione che non consente di indulgere all’ottimismo per – tra le altre – due ragioni complementari.
La Fabbrica del diritto penale è davvero una singolare struttura produttiva. Manca del tutto il controllo di qualità a monte e a valle. Manca il controllo a monte, la catena di montaggio sforna senza sosta prodotti difettosi/difettosissimi, ma la produzione prosegue a pieno regime. Si è rivelata – e non ci voleva molto a presargirlo – una pericolosa illusione (il tornello del) la riserva di codice, che non ha minimamente rallentato il flusso della “nomorrea”. Anzi – osservo per inciso – ho l’impressione che l’effetto sia stato persino opposto. Manca il controllo a valle. Il difetto solo raramente viene corretto e ancora più sporadicamente i prodotti difettosi vengono richiamati. I percolati penalistici delle emergenze perenni o meno si stratificano nel sistema. Al massimo, si assiste a un cambiamenento casacca. Il prodotto difettoso sveste i panni del penale e assume quelli dell’illecito punitivo amministrativo. Ma questa è un’operazione che la società della passione punitiva guarda con sospetto; ne contraddice l’imperativo categorico: ius poenale nostra unica salus.
Voglio ricordare un recente persino eclatante esempio, citato da Alessandro Bondi, in un articolo emblematicamente intitolato “Il passo del gambero”: il 2 febbraio del 2021, un decreto legislativo abroga la disciplina sanzionatoria in materia alimentare prevista dalla legge 30 aprile 1962 (art. 18 d. lgs. 27/2021). Il 22 marzo 2021, un decreto-legge sottolinea la «straordinaria necessità e urgenza di modificare, prima della sua entrata in vigore, la disciplina delle abrogazioni introdotta con il predetto decreto legislativo n. 27 del 2021, al fine di evitare che rilevanti settori relativi alla produzione e alla vendita delle sostanze alimentari e bevande restino privi di tutela sanzionatoria penale e amministrativa con pregiudizio della salute dei consumatori» (d.l. 42/2021). Ius poenale nostra unica salus.
E veniamo alla seconda ragione ancora più radicale di pessimismo. Non credo che sia esagerato o semplicistico affermare che solo una è la strada per eradicare la fabbrica del diritto penale dalla nostra psicologia del profondo, dalle nostre emozioni. È la lettura costituzionale del diritto penale liberale. Per questo, vorrei ricordare tra le altre iniziative orientate in questa direzione lo straordinario viaggio nelle carceri della Corte costituzionale e la convenzione tra Miur e Unione delle camere penali che sta portando in tutte le scuole italiane le ragioni spesso controintuitive – come ha scritto Vittorio Manes – delle “garanzie”. Ma anche su questo versante dobbiamo registrare inquietanti elementi di criticità, perché, persino i giovani, i minori sono entrati nello schema del “nemico” da combattere.
Senza intenzioni polemiche e con la consapevolezza di quanto rozza sia l’approssimazione delle frasi che vorrebbero essere ad effetto, lo slogan potrebbe essere che la cultura contro la devianza recede nei confronti della cultura della pena. Pensiamo al c.d. decreto Caivano, all’endemico inasprimento del diritto/sistema penale minorile, alla previsione di provvedimenti comunque sanzionatori che colpiscono persino i dodicenni. Pensiano al nuovo articolo 570-ter c.p. che – ennesimo caso di “ripescaggio” – subentra all’abrogato art. 731 c.p.. Un raro esempio di sciatteria legislativa. Pensiamo al delitto contro il c.d. Rave party; pensiamo ancora alla proposta di ulteriore incremento delle sanzioni del delitto di oltraggio a pubblico ufficiale, già art. 341 ora art. 341-bis; un delitto che costituisce quasi un compendio dell’assenza di controlli a valle e a monte del sistema penale oltre che un altro icastico esempio di resurrezione penalistica di un reato abrogato, peraltro, all’esito di una lunga vicenda costituzionale; pensiamo alla proposta di sussunzione alla qualificazione penalistica del blocco stradale.
Sono proposte o soluzioni di politica penale che possono colpire, colpire più gravemente, per esempio anche con l’arresto, le manifestazioni del dissenso giovanile gestibili e finore gestite, spesso molto bene, con un uso accorto e professionale della “forza pubblica”, con il dialogo, il confronto tra le parti, senza scorciatoie sanzionatorie. Alla fabbrica del penale tutto questo non piace, nella tragica illusione, che il diritto penale renda sicuri, anzi, permettetemi di essere scandaloso, “che il diritto penale renda liberi”.
* Professore ordinario di diritto penale Università di Bari

PIÙ CHE PENE ALTERNATIVE SERVONO ALTERNATIVE ALLA PENA
Diego Mazzola su L’Unità del 16 marzo 2024

Da qualche tempo continuo a domandarmi perché mai dovrei insistere con le mie riflessioni sul Sistema Penale e sul carcere, se a qualcuno importa ciò che osservo e che continuo a chiedere sia reso pubblico. In sostanza mi chiedo se abbia senso sperare che abbia fine la società carceraria. Devo aggiungere che sto cercando di non perdere nemmeno una occasione di incontro con uno dei Laboratori “Spes contra spem” che Nessuno tocchi Caino porta avanti, ad esempio, nel carcere di Opera.
Il motivo di ciò è presto detto: quell’impegno mi rende migliore.
Ebbene: molto tempo prima della morte di Marco Pannella avevo sentito la necessità di continuare a indagare sui motivi che inducono a compiere uno dei tanti “fatti/problemi” di cui ogni giorno sentiamo parlare nei giornali e alla televisione. Aveva senso continuare a pensare che il mostro esista e che fosse “giusto” pretendere che “pagasse” per ciò che aveva commesso ed “espiasse” per il tempo che altri esseri umani avevano deciso sulla sua pelle? E poi: perché tanta disparità di giudizio?
A dirla tutta mi aveva stupito anche un’affermazione di Louk Hulsman – fu docente di diritto penale e diede il via alla più profonda riforma del Sistema Penale che l’Olanda avesse mai realizzato – secondo il quale «Le alternative al sistema della Giustizia penale non sono utopie lontane ma fanno parte della vita quotidiana incessantemente inventata dagli attori sociali». Egli non crede all’opzione “reato” e ne dimostra le ragioni. Dichiara, tra l’altro, che «Dal punto di vista della comunità, o del legislatore, lo stesso comportamento richiama altre opzioni. Quel che è certo è che l’opzione “reato” non è mai feconda».
Sto cercando di riassumere al meglio delle mie capacità le ragioni del mio entusiasmo per l’abolizionismo di Hulsman. E lo faccio a maggior ragione sapendo che l’idea di “reato” può essere molto diversa da Stato a Stato, da religione a religione, da consuetudine ad altre consuetudini.
Poco oltre, di fronte ad alcune domande di Jacqueline Bernat durante l’intervista che diede l’ossatura al libro “Pene Perdute”, egli afferma che: «Mi sono accorto che il sistema penale, eccetto casi eccezionali, non funziona mai come richiedono gli stessi principi che pretendono di legittimarlo. Quando parliamo di alternative alla giustizia penale, non parliamo di sanzioni alternative, ma di alternative ai processi della giustizia penale. Queste alternative possono essere di natura prevalentemente legale o prevalentemente non-legale. Cercare alternative alla giustizia penale, è in primo luogo cercare delle definizioni alternative agli eventi che rischiano di scatenare i processi di penalizzazione. La risposta data in alternativa alla giustizia penale è quindi una risposta ad una situazione che ha una “forma” e delle “dinamiche” diverse dagli eventi come appaiono nel contesto della giustizia penale». Egli, in sostanza, dà molto peso alla prevenzione, di cui può farsi parte attiva la società civile, non al giudizio di un tribunale che si dà a fatto/reato avvenuto.
Come negare le differenze, anche davvero notevoli, che intercorrono tra un sistema penale e l’altro (magari anche dello Stato vicino). Basta vedere il “pienone” che è seguito alla scelta della Francia di mettere in Costituzione il diritto di aborto. E se questo dovesse essere visto come un aspetto dello scontro di civiltà, non vedo perché non ricordare gli sforzi che comporta la fine della pena di morte o il taglio della mano destra a chi si è reso responsabile di un furto nei Paesi di stretta fede Islamica.
In quei casi risulta evidente che nulla è stato fatto da quelle società per la conoscenza dei motivi che a quei fatti/problemi conducono.
La legge penale e la pratica dei sistemi della giustizia penale non possono essere usati come standard di autorità ultima per giudicare se un comportamento è giusto o sbagliato. Continuo a domandarmi a quali manifestazioni di indubbia crudeltà d’animo abbia dovuto assistere il Cardinal Martini durante le sue visite nelle carceri nostrane, tanto da indurlo ad affermare che «Qualsiasi pena [afflittiva] ha la distretta della pena di morte e della tortura, e che già il pensiero di affliggere un altro essere umano è intollerabile e perverso».
È evidente che è giunta l’ora di immaginare una seria alternativa alla giustizia Penale, e di imparare il dovuto rispetto per chi, anche in un Sistema Giustizia rinnovato, potrà dire di non avere più debiti con la Giustizia. Se i miei concittadini sapessero quanto sono “come noi” i detenuti che partecipano agli incontri “Spes contra spem” di Nessuno tocchi Caino, certamente smetterebbero di pensare di “far marcire in galera” quelle persone e si vergognerebbero davvero di fronte a ciò che può condurre la loro smania di punire.

NEL 2023 NUMERO RECORD DI ESECUZIONI PER DROGA
Almeno 467 persone sono state giustiziate per reati di droga nel 2023, un nuovo record, secondo Harm Reduction International (HRI), una ONG che monitora l'uso della pena di morte per droga dal 2007.
Alla fine del 2023, 34 paesi mantenevano la pena di morte per reati di droga.
Nel luglio 2023 il Pakistan ha preso la storica decisione di rimuovere la pena di morte dall’elenco delle punizioni che possono essere imposte per determinate violazioni della legge sul controllo delle sostanze stupefacenti.
Quest’anno si sono registrati notevoli progressi anche in Malesia, che ha abolito la pena di morte obbligatoria per tutti i reati, compresi quelli legati alla droga.
Questa riforma potrebbe avere un impatto sulla vita di oltre 700 persone nel braccio della morte per reati di droga e portare il Paese un passo avanti verso l’abolizione totale della pena capitale.
In netto contrasto con questi sviluppi positivi c’è il numero record di esecuzioni legate alla droga nel 2023 – almeno 467.
Tra le persone giustiziate, almeno 59 appartenevano a gruppi di minoranze etniche (in Iran e a Singapore), 13 persone erano stranieri e sei erano donne.
Questi dati confermano che questi gruppi sono particolarmente vulnerabili alla pena capitale come strumento di controllo della droga. Nonostante non si tenga conto delle decine, se non centinaia, di esecuzioni che si ritiene abbiano avuto luogo in Cina, Vietnam e Corea del Nord, le 467 esecuzioni avvenute nel 2023 rappresentano un aumento del 44% rispetto al 2022. Il 90% delle esecuzioni note legate alle droghe ha avuto luogo in Iran.
I reati di droga sono stati responsabili di circa il 42% (quasi una su due) di tutte le esecuzioni confermate a livello globale nel 2023, il numero più alto registrato dal 2016.
Esecuzioni per droga sono state confermate in cinque paesi: Cina, Iran, Kuwait, Arabia Saudita e Singapore. È molto probabile che siano avvenute esecuzioni per reati di droga anche in Vietnam e Corea del Nord, ma ciò non può essere confermato a causa della censura.
Secondo Iran Human Rights, sono almeno 471 le persone giustiziate per reati legati alla droga nel 2023 solo in Iran, 494 (nel solo Iran) secondo il database di Nessuno tocchi Caino.
Le condanne a morte confermate per reati di droga sono aumentate di oltre il 20% rispetto al 2022. Un minimo di 375 persone sono state condannate a morte per reati di droga, delle quali almeno 31 erano cittadini stranieri e 15 erano donne.
Circa la metà di tutte le condanne a morte per reati di droga sono state emesse dai tribunali del Vietnam (188) e un quarto in Indonesia (114). Il restante quarto è stato imposto in altri 14 paesi.
Persistono lacune informative sulle condanne a morte, il che significa che molte (se non la maggior parte) delle condanne a morte emesse nel 2023 rimangono sconosciute. In particolare, non è possibile fornire cifre precise per Cina, Iran, Corea del Nord, Arabia Saudita e Tailandia. Si ritiene che tutti questi paesi impongano regolarmente un numero significativo di condanne a morte per reati di droga.
Almeno 3.000 persone si trovano nel braccio della morte per reati di droga in almeno 19 paesi.
Quest'anno due paesi sono stati riclassificati.
Il Kuwait è stato inserito nella categoria “applicazione elevata” (da “applicazione bassa”) poiché ha praticato la sua prima esecuzione per droga in oltre un decennio. Lo Yemen è stato spostato dalla categoria “dati insufficienti” alla categoria “bassa applicazione”, a causa della maggiore disponibilità di informazioni sulle condanne comminate per droga.
Il 2023 ha visto anche attori internazionali esprimere posizioni forti contro la pena di morte per reati di droga in risposta ai cambiamenti a livello nazionale, inclusi l’Ufficio dell’Alto Commissario per i diritti umani delle Nazioni Unite (ONU), le Procedure speciali delle Nazioni Unite e l’Unione europea. L’Ufficio delle Nazioni Unite contro la droga e il crimine (UNODC) non è riuscito ripetutamente a prendere una posizione pubblica su questioni relative alla pena di morte per reati di droga.
(Fonti: Harm Reduction International, NTC, IHR)
Per saperne di piu' :

GEORGIA (USA): GIUSTIZIATO WILLIE PYE, NERO, 59 ANNI
L'esecuzione di Willie Pye - la prima in Georgia in più di quattro anni - è stata praticata con un'iniezione letale (usando il pentobarbital) alle 23:03 EDT (le 4.03 del mattino del 21 marzo in Italia) presso la Georgia Diagnostic and Classification Prison di Jackson, a circa 50 miglia a sud di Atlanta, ha comunicato il Georgia Department of Corrections.
Pye non ha rilasciato alcuna dichiarazione finale, si legge nel comunicato.
Era stato condannato a morte nel 1996 per lo stupro, la rapina e l'omicidio del 16 novembre 1993 (presumibilmente in una lite tra spacciatori) della ventunenne Alicia Lynn Yarborough, sua ex fidanzata.
L'esecuzione è stata preceduta da una raffica di appelli dell'ultimo minuto - non rari nei casi capitali - tra cui due presentati alla Corte Suprema degli Stati Uniti che alla fine sono stati respinti.
Uno dei ricorsi ricordava che il quoziente intellettivo dell'imputato era stato misurato a 68 punti, collocandolo nella fascia di disabilità intellettiva.
Nel rifiutare (all’unanimità) di fermare l'esecuzione di Pye, la Corte Suprema non ha spiegato le sue ragioni, come spesso accade nei ricorsi d'urgenza.
Tre dei nove giurati ancora in vita tra i 12 che avevano condannato Pye nel 1996 hanno sottoscritto una richiesta di clemenza, spiegando che era evidente come l’imputato fosse stato difeso male da un avvocato svogliato e poco efficiente.
Il Board of Pardons and Paroles della Georgia ha respinto la richiesta di clemenza il 19 marzo.
Nel 2021 un collegio di tre giudici della Corte d'Appello dell'11° Circuito aveva annullato la condanna a morte (non il verdetto di colpevolezza) del 1996, ritenendo che Pye avesse ricevuto quella che con una formula standard viene definita “inadeguata assistenza legale”. La sentenza, tuttavia, è stata annullata un anno dopo, dalla stessa Corte d’Appello riunita in udienza plenaria.
Pye diventa il primo prigioniero giustiziato in Georgia quest'anno, il 77° in totale da quando lo Stato ha ripreso la pena capitale nel 1983, il 3° negli Stati Uniti quest'anno e il 1.585° in totale da quando il Paese ha ripreso le esecuzioni nel 1977.
(Fonte: CNN, 20/03/2024)

 

Commenti

Post più popolari