Nessuno tocchi Caino - NELLA PANCIA DELLA BALENA DI NASSIRIYA DOVE I NEMICI DELLO STATO SONO IMPICCATI IN SEGRETO

 Nessuno tocchi Caino news

Anno 24 - n. 18 - 04-05-2024

Contenuti del numero:

1.  LA STORIA DELLA SETTIMANA : NELLA PANCIA DELLA BALENA DI NASSIRIYA DOVE I NEMICI DELLO STATO SONO IMPICCATI IN SEGRETO
2.  NEWS FLASH: HO VISTO IL CARCERE IN TUTTA LA SUA OSCENITÀ: COME POSSONO I DETENUTI TORNARE FUORI MIGLIORI?
3.  NEWS FLASH: MILANO: 17 MAGGIO ‘COMPRESENZA’ AL CARCERE DI OPERA
4.  NEWS FLASH: INDIA: CONDANNA A MORTE COMMUTATA POICHÉ IL CASO NON RIENTRA TRA I ‘PIÙ RARI TRA I RARI’
5.  NEWS FLASH: MALESIA: CONDANNE CAPITALI DI DUE EX POLIZIOTTI COMMUTATE IN 40 ANNI DI CARCERE
6.  I SUGGERIMENTI DELLA SETTIMANA :


NELLA PANCIA DELLA BALENA DI NASSIRIYA DOVE I NEMICI DELLO STATO SONO IMPICCATI IN SEGRETO
Sergio D’Elia

Ciò che resta del famigerato Stato Islamico continua a compiere attacchi mortali e imboscate da aree remote e nascondigli nel deserto ai confini tra Siria e Iraq. Il grosso di quel che era il Califfato islamico più temuto al mondo è rinchiuso in un buco a Nassiriya, il carcere che gli abitanti del luogo chiamano “al hout”, la balena, perché inghiotte le persone e non le sputa più fuori. La prigione di Nassiriya è l’unica in Iraq dove c’è il braccio della morte. Si contano circa ottomila prigionieri, accusati per lo più di appartenere all’Isis.
La regola irachena dell’occhio per occhio non contempla il limite di un occhio alla volta; quando è il momento, l’accecamento è di massa.
La vendetta dei vincitori dello Stato islamico iracheno ufficiale si abbatte ogni volta su decine di vinti dello Stato Islamico inufficiale. L’appuntamento con la forca è prefissato nelle sentenze dei tribunali speciali ma i decreti di esecuzione devono essere firmati dal capo dello stato. In pratica, l’incidente mortale può accadere all’improvviso, a capriccio del Presidente Abdul Latif Rashid, in un giorno imprevedibile di un anno qualsiasi dei tanti di attesa nel braccio della morte.
L’anno scorso, alla vigilia di Natale, l’altoparlante della prigione ha annunciato i nomi dei 13 uomini che sarebbero stati impiccati l’indomani. Le guardie carcerarie li hanno poi prelevati a forza dalle celle e portati in isolamento. Sono stati uccisi all’alba della mattina dopo, senza avere neanche la possibilità di chiamare i propri cari per un ultimo saluto o gli avvocati per un estremo tentativo di appello alle istanze superiori di un infimo sistema giudiziario viziato da difetti più volte documentati, che negano agli imputati un giusto processo. Quella di Natale 2023 era stata la prima esecuzione di massa dal 2020, quando 21 uomini furono uccisi il 16 novembre.
Gli ultimi inghiottiti nella pancia della “balena” sono stati 13 uomini, spariti nel nulla, impiccati in segreto e senza preavviso il 22 aprile scorso. In base a una fonte anonima della sicurezza nella provincia meridionale di Dhi Qar, si sa solo che 11 “terroristi dello Stato Islamico” sono stati giustiziati nella prigione di Nassiriya, “sotto la supervisione di un team del ministero della Giustizia”. Una fonte medica locale ha confermato che il dipartimento sanitario ha ricevuto i corpi di 11 persone giustiziate. Tutti e 11 provenivano dalla provincia di Salahaddin e i corpi di sette sono stati restituiti alle rispettive famiglie.
Secondo altre fonti, nel mucchio della ultima impiccagione sarebbero capitati altri due uomini condannati per accuse legate al terrorismo formulate in termini eccessivamente ampi e vaghi.
La prigione di Nassiriya è nota per la sua camera della morte, ma anche per le terribili condizioni di detenzione. Secondo Human Rights Watch oltre 100 persone sono decedute dal 2021 a oggi. Molti di questi decessi sono accaduti in circostanze sospette, con i corpi degli uomini che presentavano evidenti segni di tortura e con le famiglie a cui è stato negato l’accesso ai referti dell’autopsia.
Il diritto dell’imputato a incontrare un giudice entro 24 ore dal proprio arresto, è una norma sacra universale, ma in Iraq è considerato un lusso che non può essere concesso ai “nemici dello Stato”.
Il diritto a essere assistito da un avvocato durante gli interrogatori e il diritto a comunicare con i propri parenti durante la detenzione, sono diritti umani fondamentali che in Iraq sono stati violati sin dalle prime luci dell’alba del nuovo mondo dopo il tramonto dell’era delle tenebre della dittatura. Le esecuzioni segrete di massa avvenute fino a oggi nell’Iraq liberato, rispecchiano esattamente quelle dell’epoca di Saddam Hussein.
I giudici di oggi continuano secondo le vecchie abitudini a condannare a morte con l’accusa generica di mera “appartenenza a un’organizzazione terroristica”, senza fare riferimento né all’organizzazione né al fatto specifico effettivamente commesso.
I processi sono generalmente fatti in fretta e furia e basati su confessioni estorte con la tortura. “È impossibile per me impedire l’esecuzione delle vittime che difendo”, ha raccontato un avvocato che difende alcuni detenuti nel carcere di Nassiriya. “Non ho nemmeno accesso ai fascicoli che riguardano i miei clienti. Non so chi sarà il prossimo, non so per quale motivo sarà giustiziato, né quando.”

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NESSUNO TOCCHI CAINO - NEWS FLASH

HO VISTO IL CARCERE IN TUTTA LA SUA OSCENITÀ: COME POSSONO I DETENUTI TORNARE FUORI MIGLIORI?
Francesco Lo Piccolo*

Il 23 aprile ho partecipato alle visite di Nessuno tocchi Caino e delle Camere Penali alle Case circondariali di Chieti e Pescara. Conosco bene i due istituti perché è dal 2008 che vi entro come volontario di “Voci di dentro”. Ma questa volta è stato diverso perché non ho incontrato le persone detenute nelle stanze allestite per i laboratori di scrittura o teatro.
Questa volta li ho incontrati nel loro habitat, nelle celle e nelle sezioni. Ed è stato un pugno allo stomaco.
Ho visto il carcere in tutta la sua oscenità, in tutto il suo orrore.
Lo dicono i numeri: 130 detenuti a fronte di 70 posti a Chieti e 400 detenuti a fronte di 276 posti a Pescara; ma soprattutto lo svelano le grate alle finestre ai piani terra per evitare che entrino i topi, le muffe al soffitto nei gabinetti e in molte camere, i secchi sotto i lavandini per raccogliere l’acqua che fuoriesce dalle tubature, la mancanza di luce e di areazione.
Per la prima volta ho visto il contenitore, il luogo dove sono costretti a passare il loro tempo centinaia di giovani e vecchi, poveri e malati, in stampelle, ciabatte e accappatoio. Molti li conoscevo già, ma era da molto tempo che non venivano più nei laboratori di “Voci di dentro”: li ho ritrovati ingrassati, gonfi, stanchi, sofferenti.
Nel reparto psichiatrico di Pescara ho trovato un uomo che era rinchiuso da una ventina d’anni. Avrà avuto 40-45 anni. Ci ha raccontato che prende “la terapia” al mattino presto, a mezzogiorno, nel primo pomeriggio e poi la sera, prima della chiusura delle celle. Ci ha detto che ha girato tante carceri, che a Pescara si trova bene, che gli agenti sono gentili: “io non vedo le divise blu, io dentro quelle divise vedo persone”.
Lui che è definito “psichiatrico”, imbottito di non so quanti psicofarmaci, vede le persone non il ruolo, il contrario di tanti fuori che vedono solo il reato. Psichiatrico da quando aveva vent’anni? Davvero sicuri che non sia diventato psichiatrico proprio in questo luogo che non ha senso e non ha vita?
E allora mentre giravo per quelle celle e quei grandi e lunghi corridoi mi sono sentito sopraffare da una specie di nausea. Che cosa è questo luogo? Che cosa fa questa istituzione? Cosa è questo rimbombo di voci, porte che sbattono, urla?
Ho visto ragazzi che credevo fuori e liberi; ho visto un giovane con la barba e con l’occhio spento che non ho saputo riconoscere da quanto era cambiato: “Sono Marco, ti ricordi, cinque anni fa ero in misura alternativa”. Che cosa era successo? Che cosa aveva fatto? Soprattutto, che cosa non aveva fatto questa società per aiutarlo ed evitare che tornasse dentro? Dove erano i servizi sociali?
Ho visto decine di persone che dormivano. Alle due del pomeriggio, in stanze con tende alle finestre per non far entrare la luce, una lurida coperta sopra la testa. E ho visto cameroni con 6 letti e 4 sgabelli e camere con 4 letti e due sgabelli: “mangiamo a turno”. Ho visto le famose bombolette per cucinare e che servono anche a sballarsi o farla finita e i tegami in teflon senza più teflon, e sulle mensole di cartone batterie per le radioline e che alle volte finiscono in quelle pance scolpite o gonfie per protesta, perché è saltato un colloquio, per urlare sofferenza e chiedere ascolto. Ho visto le stanze per l’isolamento: celle nude, alle pareti le tracce di tante povere vite.
Ecco davanti ai miei occhi il contenitore con mura sporche, intonaco scrostato, finestre dove non passa l’aria, arredi da terzo mondo, pochi e rotti, ed ecco il suo contenuto: uomini sofferenti e persi, scartati. Nel vuoto: poca scuola, medici insufficienti, nessun lavoro. A Pescara la calzoleria gestita da una ditta esterna e che impiegava per 4-5 ore al giorno una trentina di persone è chiusa da tempo per manutenzione. Quale trucco ci fa dire che questi uomini e donne sono rinchiusi per tornare fuori migliori? Come possiamo credere possibile un cambiamento se sono lasciati per mesi e anni a parlare tra loro, a confrontarsi con altri identici a sé?
Gimmi mi ha detto che è dentro da dieci anni, che la sua famiglia è a Roma. Che gli restano da scontare 5 mesi e che non lo mandano a casa. E poi mi ha fatto conoscere un ragazzo col barbone che poco tempo fa aveva tentato di impiccarsi alla sbarra della doccia e che lo hanno tirato giù appena in tempo: gli ha detto di mostrami i tagli alla pancia e alle braccia…
Luogo osceno e orribile, ecco quello che ho visto e quello che mi ha trasmesso questa visita. E ho immaginato la vita degli agenti in questo posto che non ha nessuna dignità e dove ragazzi che spesso hanno l’età delle persone detenute sono costretti a diventare coloro che detengono, “guardie” ma anche psicologi ed educatori e che alla fine del turno, il doppio o triplo turno, anche 18 ore di seguito, si tolgono la divisa e si infilano la tuta e si mettono a correre… chilometri e chilometri per tornare a respirare. Lontano da quel posto.
* Giornalista, direttore di Voci di dentro

MILANO: 17 MAGGIO ‘COMPRESENZA’ AL CARCERE DI OPERA
Invito all’evento COMPRESENZA
Carcere di Opera
Venerdì 17 maggio 2024
ore 12 - 18

Mariateresa Di Lascia se n’è andata il 10 settembre del 1994, a soli quarant’anni, ma non prima di aver scritto “Passaggio in ombra”, il suo capolavoro letterario, e fondato “Nessuno tocchi Caino”, il suo capolavoro civile.
Marco Pannella ci ha lasciati il 19 maggio del 2016, da Presidente di Nessuno tocchi Caino, la splendida creatura di cui l’anno scorso abbiamo celebrato il Trentennale, da lui concepita per temperare la Giustizia col balsamo della grazia e della nonviolenza.
Enzo Tortora è venuto a mancare il 18 maggio 1988, vittima di un sistema di giustizia che nei suoi confronti ha usato mezzi e metodi medievali: la gogna, il pregiudizio e la pena d’infamia.
Venerdì 17 maggio, dalle 12 alle 18, li ricorderemo nel Carcere di Opera a Milano, insieme ai detenuti e ai “detenenti”, nel teatro dedicato a Marco Pannella in un evento dal titolo “Compresenza”.
La vulgata vuole che il morto non debba afferrare il vivo, che il morto è morto e non torni più. È vero invece che, quando una persona muore, si crea con essa un legame profondo, per certi versi più intimo di quando è in vita. È la «compresenza dei morti e dei vivi», una «realtà liberata», una «realtà di tutti», quel miracolo vivente del quale parlava Aldo Capitini.
Anche di Marco, Enzo e Mariateresa nessuno può veramente dire che ci abbiano lasciati o che abbiano lasciato un vuoto. Tanti sono quelli che della loro mancanza hanno fatto in questi anni una presenza, tanto è quello che dopo la loro morte è diventato stato di vita e di diritto.
All’evento di Opera è possibile partecipare anche per dare slancio alla campagna in corso del Grande Satyagraha 2024 – forza della verità sulla condizione delle carceri.
Chi vorrà e potrà esserci è pregato di comunicare – entro le ore 24 di domenica 5 maggio – nome e cognome, luogo e data di nascita inviando una mail a info@nessunotocchicaino.it oppure un messaggio via WhatsApp al 335 8000577.
Continua a darci forza, fiducia, speranza. Se ancora non lo hai fatto, iscriviti a Nessuno tocchi Caino.

Un caro saluto,
Sergio D’Elia – Segretario
Elisabetta Zamparutti – Tesoriere
Rita Bernardini – Presidente


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Bollettino postale: intestato a Nessuno tocchi Caino, C/C n. 95530002
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INDIA: CONDANNA A MORTE COMMUTATA POICHÉ IL CASO NON RIENTRA TRA I ‘PIÙ RARI TRA I RARI’
L'Alta Corte del Kerala ha commutato la condanna a morte di Narendra Kumar, originario dell'Uttar Pradesh e unico imputato nel caso del triplice omicidio di Parampuzha, all'ergastolo senza possibilità di liberazione per 20 anni, ha riferito il Times of India il 26 aprile 2024.
I giudici AK Jayasankaran Nambiar e VM Syam Kumar dell’alta corte hanno invece confermato le condanne di Kuman per altri reati come rapina e violazione di domicilio.
Kuman aveva impugnato le condanne stabilite dal tribunale distrettuale
di Kottayam, chiedendo la revisione della condanna a morte.
L’uomo è stato accusato di aver ucciso Praveen Lal, il proprietario della Wash World Laundry a Parampuzha, Kottayam, e i suoi genitori Lalasan e Prasanna Kumari, a mezzanotte del 16 maggio 2015.
Kumar, che era un impiegato della lavanderia, avrebbe commesso il triplice omicidio infliggendo alle vittime ferite alla testa e al collo con un'ascia e un coltello. Poi avrebbe rubato una catena d'oro e orecchini a bottone indossati da Prasanna Kumari, tagliandole i lobi delle orecchie. Successivamente, sarebbe entrato nella casa vicina rubando ornamenti d'oro.
Il tribunale di prima istanza lo ha condannato a morte mediante impiccagione per il reato di omicidio, oltre a due ergastoli per i reati di rapina e violazione di domicilio. È stato inoltre condannato a pagare un risarcimento di 300.000 rupie a Bipin Lal, fratello della vittima Praveen Lal.
Il collegio giudicante d'appello ha ricordato che la condanna a morte è riservata solo a quei casi che si qualificano come “i più rari tra i rari”. Sebbene i fatti e le circostanze provati contro l'accusato indichino il suo coinvolgimento in un raccapricciante caso di triplice omicidio, la corte non arriverebbe al punto di classificarlo come il "più raro dei rari" per imporgli la condanna a morte.
La Corte ha inoltre ritenuto che l’imposizione di termini più severi di reclusione a vita avrebbe rappresentato il giusto equilibrio tra gli interessi contrapposti degli imputati e del pubblico in generale e avrebbe contribuito notevolmente a sostenere la fiducia dell’opinione pubblica nel sistema legale. La Corte ha quindi commutato la condanna a morte pronunciata nei suoi confronti.
(Fonte: TNN, 26/04/2024)

MALESIA: CONDANNE CAPITALI DI DUE EX POLIZIOTTI COMMUTATE IN 40 ANNI DI CARCERE
Due ex poliziotti si sono salvati dal patibolo in Malesia dopo che la Corte Federale il 30 aprile 2024 ha commutato le loro condanne a morte in 40 anni di carcere, in relazione all’omicidio di un meccanico indonesiano avvenuto 18 anni fa.
Il collegio composto dal giudice capo Tun Tengku Maimun Tuan Mat e dai giudici Datuk Nordin Hassan e Datuk Vazeer Alam Mydin Meera ha accolto le richieste di revisione di Ailias Yahya e Saiful Azlan Shah Abdullah, ai sensi della Legge sulla Revisione delle condanne a morte e al carcere a vita (giurisdizione temporanea) del 2023.
Ai due, che sono in carcere da 18 anni e tre mesi, è stato ordinato di scontare la pena detentiva dalla data del loro arresto, avvenuto il 22 gennaio 2006.
La Corte in precedenza aveva respinto la richiesta del sostituto procuratore Tetralina Ahmed Fauzi di confermare la condanna a morte dei due ex poliziotti dal momento che il loro caso rientrerebbe nella categoria dei più rari tra i rari.
L’accusa ha sottolineato che la vittima, Yusrizal Yusuf, 38 anni, è stato sotto il pieno controllo dei due uomini in ogni momento, dal momento del suo arresto fino alla sua morte.
Tetralina ha detto che Yusrizal è stato come "giustiziato" quando è stato portato in un campo aperto al Km 22 della strada Kuala Lumpur-Kuala Selangor-Batu Arang, a Gombak, Selangor.
È stato ammanettato e gli è stato detto di inginocchiarsi, poi Saiful Azlan gli avrebbe sparato tre colpi in testa a distanza ravvicinata, mentre Ailias era di fronte alla vittima.
L'avvocato Muhammad Fadhli Sutris, che rappresentava Ailias e Saiful Azlan, ha esortato la Corte a dare ai suoi clienti una seconda possibilità, affermando che Ailias soffre di una malattia cronica ed è costretto su una sedia a rotelle mentre Saiful Azlan è stato ricoverato in terapia intensiva più volte.
L’avvocato ha detto che Ailias, che ha prestato servizio nella polizia reale della Malesia dal 1976, e Saiful Azlan, che ha lavorato con le forze di polizia dal 1982, si sono pentiti di ciò che hanno fatto e hanno chiesto clemenza alla Corte perché volevano incontrare le loro famiglie.
Ailias, 70 anni, ex caporale, e Saiful Azlan, 60 anni, ex caporale, erano stati condannati a morte dall'Alta Corte di Shah Alam nel 2011 per aver ucciso Yusrizal a Ladang Caledonia al Km 22, tra le 22:00 e le 23:30 del 13 gennaio 2006.
Avevano perso i loro ricorsi alla Corte d'Appello e alla Corte Federale.
In base ai documenti del processo, la vittima, Yusrizal Yusuf, avrebbe avuto una relazione con la moglie di un uomo che aveva poi sporto denuncia alla polizia dopo essere stato minacciato dallo stesso Yusrizal.
(Fonte: Bernama, 30/04/2024)

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