Nessuno tocchi Caino - SVOLTA NEL REGNO UNITO SULLE PRIGIONI, LIBERAZIONE ANTICIPATA PER RIDURRE SUBITO IL RISCHIO DI SOVRAFFOLLAMENTO DOMANI

 Nessuno tocchi Caino news

Anno 24 - n. 29 - 20-07-2024

 

LA STORIA DELLA SETTIMANA

SVOLTA NEL REGNO UNITO SULLE PRIGIONI, LIBERAZIONE ANTICIPATA PER RIDURRE SUBITO IL RISCHIO DI SOVRAFFOLLAMENTO DOMANI

NEWS FLASH

1. DIGNITÀ E DIRITTO, L’ARCHITETTURA DELL’AFFETTIVITÀ IN CARCERE DA SAN MARINO A PADOVA
2. ARABIA SAUDITA: 100 PERSONE GIUSTIZIATE DA INIZIO 2024
3. SOMALIA: CINQUE GIUSTIZIATI DAGLI AL-SHABAAB PER SPIONAGGIO E CINQUE AL-SHABAAB GIUSTIZIATI PER TERRORISMO
4. LA COSTA D’AVORIO ADERISCE AL SECONDO PROTOCOLLO OPZIONALE




SVOLTA NEL REGNO UNITO SULLE PRIGIONI, LIBERAZIONE ANTICIPATA PER RIDURRE SUBITO IL RISCHIO DI SOVRAFFOLLAMENTO DOMANI
Elisabetta Zamparutti

Il contatore del sovraffollamento carcerario italiano segna numeri che si rincorrono al rialzo, a una velocità sempre maggiore. La situazione è fuori controllo e il timer si surriscalda fino a farne temere l’esplosione. Eppure, a voler fare bene le cose – strada semplice che però inspiegabilmente ci si ostina a non percorrere – bastava ascoltare il Consiglio d’Europa per il quale se il tasso di occupazione carceraria supera il 90% della sua capacità, allora siamo di fronte a un imminente sovraffollamento. Vale a dire in una situazione altamente rischiosa che dovrebbe preoccupare le autorità in modo che prendano misure volte a evitare un ulteriore congestionamento.
Nel Regno Unito, che non fa più parte dell’UE ma è Stato parte del Consiglio d’Europa, con una popolazione detenuta che in maggio contava 87.505 detenuti per una capacità di 88.895 posti (cioè un sovraffollamento del 98%), si cercano e si parla da tempo e per tempo di soluzioni. Lo hanno fatto i conservatori avanzando proposte di vario tipo, dalle richieste rivolte alla polizia di fare meno arresti o consentire l’uso delle celle dei commissariati, contemplando anche forme di rilascio anticipato. Non grandi cose, 70 giorni prima del fine pena previsto per certi reati. Sta di fatto che con Rishi Sunak oltre 10.000 detenuti sono stati rilasciati anticipatamente tra ottobre del 2023 e giugno di quest’anno.
Poi sono arrivati i laburisti di Keir Starmer che manifestano maggior determinazione. Nella sua prima conferenza stampa da Primo Ministro ha sottolineato come le carceri siano una priorità politica per il suo Governo.
Dicendo “abbiamo troppi detenuti, non abbastanza carceri”, ha tracciato la linea politica di come intende intervenire. Ha innanzitutto chiarito di volere un rinnovato impegno per ridurre la recidiva. E ha scelto James Timpson come Ministro delle Prigioni. Parliamo di un imprenditore alla guida di un impero che conta ben 2.100 negozi di calzoleria, duplicazione chiavi, stampa fotografica e tintoria. Fervente credente nel diritto a una seconda possibilità, convinto fautore del reinserimento sociale e attore convinto della riduzione della recidiva, Timpson è stato il primo grande imprenditore ad assumere un numero significativo di ex detenuti. Tra i 5.600 dipendenti del suo gruppo, quasi il 10% viene dal carcere. Ha pubblicamente dichiarato che “solo un terzo dei detenuti dovrebbe davvero stare in carcere”.
Magari questo non è esattamente il pensiero anche di Starmer che però vuole subito un intervento per prevenire gli atti di violenza con armi da taglio da parte di ragazzi evitandogli di trascorrere una vita tra le porte girevoli del carcere.
James Timpson, questo filantropo che nei suoi negozi offre servizi gratuiti ai clienti in difficoltà, sa di cosa stiamo parlando perché di carcere se ne occupa da tempo. Ha lavorato con i conservatori per riformare il sistema penitenziario ed è stato Presidente del Prison Reform Trust fino alla data della sua designazione a Ministro.
Così, mentre l’Associazione dei direttori di carceri, che esiste in Gran Bretagna e rappresenta il 95% della categoria, si mobilita e ribadisce la preoccupazione dell’imminente esaurimento dei posti entro pochi giorni, il nuovo Governo interviene annunciando la liberazione anticipata dei detenuti (fatte salve alcune esclusioni in ragione del reato commesso) che abbiano già scontato il 40% della loro pena, rispetto all’attuale 50%. Nel presentare la misura come intervento emergenziale e non strutturale che dovrebbe da settembre riguardare oltre 5.500 detenuti, la Ministra della Giustizia Shabana Mahmood ha detto di voler far fronte “alla minaccia imminente di un collasso del sistema della giustizia penale e alla preoccupazione per il mantenimento dell’ordine e della legge”. Sì, ha detto proprio così: una misura di liberazione anticipata per mantenere l’ordine e la legge.
Nella consapevolezza che le troppe persone detenute e che il tempo troppo lungo della loro detenzione siano l’effetto del diffuso sentimento del punire, James Timpson aveva parlato di una condizione di dipendenza tossica dal condannare, di drogati del punire. Guardando al Regno Unito vediamo allora affacciarsi innanzitutto un’opera di disintossicazione dalla droga del punire, che include l’idea del mantenimento dell’ordine e della sicurezza all’insegna della prevenzione e non della punizione. È vero che la Ministra della Giustizia non ha preso le distanze dalle idee di costruire nuove carceri ma se la dovrà vedere con il Ministro delle Prigioni che su questo ha idee diametralmente opposte. E questa è la più grande novità. Almeno per me che vivo in un Paese dove il sovraffollamento ha di gran lunga superato la soglia d’allarme del 90%, dove la gente orami muore per pena in carcere mentre la ragionevole e buona proposta di legge per aumentare i giorni di liberazione an ticipata di Roberto Giachetti resta l’unica concreta e praticabile proposta istituzionalmente incardinata che attende di essere approvata per mantenere appunto l’ordine e la legge.



NESSUNO TOCCHI CAINO - NEWS FLASH

DIGNITÀ E DIRITTO, L’ARCHITETTURA DELL’AFFETTIVITÀ IN CARCERE DA SAN MARINO A PADOVA
Cesare Burdese*

Nel 2016 ho progettato per la Serenissima Repubblica di San Marino un carcere “contemporaneo”, in sostituzione del vecchio situato nell’antico Convento dei Cappuccini. Il mio committente volle specificatamente che nel nuovo carcere prevedessi uno spazio per il “ricongiungimento familiare” dei detenuti, costituito da un soggiorno con angolo cottura, una camera da letto matrimoniale, un servizio igienico e una loggia. Nulla di carcerario, ma un ambiente di tipo domestico, dove peraltro le garanzie di sicurezza non sarebbero venute meno.
In quello spazio, la persona detenuta avrebbe potuto condividere con i propri familiari o il partner della vita, per un tempo significativo, momenti di intimità, nel pieno rispetto della privacy, fuori del controllo visivo e auditivo del personale di custodia. Progettai il carcere come mi era stato richiesto, nel solco di quanto da tempo avviene nelle nazioni più rispettose della dignità e dei diritti delle persone detenute. A consegna avvenuta del progetto, subentrò un nuovo governo che accantonò l’idea di costruire il nuovo carcere; il mio progetto fu cestinato.
Ho appreso che nel 2023 sono iniziati lavori di migliorie nel vecchio carcere, ma non ho avuto notizie in merito al destino del locale per il “ricongiungimento familiare”. Questa vicenda dimostra come l’ideologia del governante di turno possa, progettisticamente, nel bene o nel male, incidere sul rispetto della dignità e dei diritti fondamentali delle persone coinvolte nella vicenda penale.
A qualche centinaio di chilometri da San Marino, a Padova, oggi mi ritrovo ad affrontare progettisticamente la stessa questione. Le circostanze sono altre, ma il tema e i valori sono gli stessi. Tutto ha inizio con la sentenza n.10/2024 della Corte Costituzionale che “qui e ora”, oltre alla generica valorizzazione del diritto all’affettività, introduce di fatto in carcere “la possibilità di utilizzare il tempo del colloquio con il/la partner per rapporti intimi anche di tipo sessuale”.
Con intento collaborativo, Ornella Favero, direttrice di Ristretti Orizzonti e Presidente della Conferenza nazionale Volontariato e Giustizia, lo scorso febbraio, ha avviato un confronto su come costruire uno spazio per l’intimità degli affetti, al Carcere Due Palazzi di Padova, dove da decenni opera.
Nell’ambito della Giornata nazionale di studio Io non so parlar d’amore…, organizzata da Ristretti Orizzonti il 17 maggio scorso, nel solco dell’iniziativa avviata, mi sono messo a disposizione, per dare vita ad una attività progettistica condivisa con i detenuti.
Le testimonianze delle persone detenute e dei loro famigliari intervenuti quel giorno, hanno dato ulteriore valore all’iniziativa e a questo inedito cimento progettuale.
Il progetto oggi è stato redatto, con i collaboratori detenuti di Ornella Favero: la struttura progettata si chiama “Il Roseto” e coniuga architettura e arte contemporanea, per l’apporto dell’artista torinese Eraldo Taliano. Essa è prevista collocata in un’area detentiva attualmente libera, in prossimità dell’ingresso del carcere, ma potrebbe sorgere analogamente in numerose altre carceri.
“Il Roseto” si compone di quattro piccoli padiglioni, che contengono ciascuno un soggiorno dotato di angolo cottura, una camera da letto per due, un servizio igienico e zone esterne coperte per la permanenza all’aperto. I padiglioni circondano una piccola piazza che contiene una vasca con l’acqua, per il gioco dei bambini. Il tutto è immerso in un roseto; le persone detenute potranno avvicendarsi nella cura delle rose.
“Il Roseto” dovrebbe essere realizzato con il coinvolgimento di persone detenute – coadiuvate da maestranze qualificate – sulla scorta di esperienze analoghe condotte in altre carceri italiane. Solo per citare i casi più significativi, ricordo “Il Giardino degli incontri” nel carcere di Sollicciano, la “Casetta Rossa” nel carcere di Bollate, la “Casa per l’affettività” MA.MA nel carcere di Rebibbia. Questi edifici sono l’espressione architettonica di principi e concetti di civiltà sanciti dalla nostra Costituzione.
A seguito del pronunciamento della Consulta, è stato costituito presso il DAP un apposito tavolo multidisciplinare che si prefigge, tra il resto, di definire i requisiti architettonici dei nuovi locali che la sentenza prefigura. L’auspicio è che quel tavolo di lavoro possa rappresentare un momento di crescita, morale e culturale, e che vi sia spazio per un ampio confronto con quanti si occupano di carcere e di architettura, nella più totale coerenza costituzionale.
* Architetto, esperto di architettura penitenziaria



ARABIA SAUDITA: 100 PERSONE GIUSTIZIATE DA INIZIO 2024
L'Arabia Saudita ha giustiziato 100 persone da inizio 2024 fino al 15 luglio, ovvero quasi un'esecuzione ogni due giorni. Si tratta di un aumento del 42% rispetto allo stesso periodo del 2023, il che indica che quest’anno potrebbero esserci più esecuzioni rispetto a quello precedente, che aveva registrato 172 esecuzioni annunciate dal Ministero dell’Interno.
Secondo l'Organizzazione Saudita Europea per i Diritti Umani, il monitoraggio di 100 esecuzioni in 196 giorni dimostra l'insistenza del governo saudita nell'utilizzare estensivamente la pena di morte, in violazione delle leggi internazionali e dei suoi impegni ufficiali.
Il monitoraggio dell’ESOHR elenca solo tre persone a rischio di esecuzione imminente, indicando un aumento della repressione interna e della mancanza di trasparenza, oltre alle intimidazioni nei confronti delle famiglie.
Inoltre, sette dei giustiziati provenivano dalla regione di Qatif ed erano accusati di terrorismo.
L’ESOHR ha documentato l’uso estensivo della pena capitale contro individui provenienti da questa regione in seguito alle proteste che si sono lì verificate.
Secondo le informazioni pubblicate dal Ministero dell'Interno, 98 dei giustiziati erano uomini, mentre due erano donne.
Le nazionalità delle persone giustiziate sono: 74 sauditi, 8 yemeniti, 4 etiopi, 6 pakistani, 3 siriani, 1 cingalese, 1 nigeriano, 1 giordano, 1 indiano e 1 sudanese.
Analizzando le informazioni pubblicate dal Ministero degli Interni saudita attraverso l'Agenzia di Stampa Saudita riguardo alle esecuzioni effettuate, in 19 casi non è stato menzionato il tipo di reato punito. Questa mancanza di dettagli è stata osservata solo nelle dichiarazioni riguardanti ordini di esecuzioni di massa.
È probabile che i reati nascosti siano “Taazir”, discrezionali, così come le accuse che riguardano terrorismo, dare rifugio a latitanti e sparatorie, sono vaghe e spesso usate anche contro detenuti politici.
Inoltre, le dichiarazioni del Ministero dell'Interno hanno insolitamente nascosto il tipo di tribunale che ha emesso la sentenza in due casi in cui gli imputati dovevano rispondere anche di accuse legate al terrorismo. Pertanto, è molto probabile che queste sentenze siano state emesse dal Tribunale penale specializzato, che si occupa di casi di terrorismo.
Negli ultimi anni, l’Arabia Saudita ha dovuto affrontare numerose critiche nei confronti del Tribunale penale specializzato, che ha emesso sentenze arbitrarie contro manifestanti e prigionieri di opinione, comprese condanne a morte.
Le promesse ufficiali riguardavano anche le condanne a morte discrezionali, con il principe ereditario Mohammed bin Salman che aveva ripetutamente promesso di limitarne l’uso. Pertanto, l’organizzazione vede l’occultamento deliberato di informazioni come una nuova forma di manipolazione da parte dell’Arabia Saudita per eludere i suoi impegni.
Le 100 esecuzioni effettuate dall'inizio del 2024 confermano l'insistenza dell'Arabia Saudita nel violare il diritto internazionale, che pone l'accento sulla limitazione delle condanne a morte alle accuse più gravi.
Il 4% delle esecuzioni capitali riguarda individui accusati di reati legati alle droghe. Nel 2021, l’Arabia Saudita ha annunciato la sospensione dell’esecuzione di tali condanne per dare una nuova possibilità alle persone che affrontano accuse gravi. Quasi due anni dopo, l’Arabia Saudita ha ripreso a giustiziare individui accusati di reati di droga. Recentemente, durante la Revisione Periodica Universale presso il Consiglio dei Diritti Umani, l’Arabia Saudita ha respinto le raccomandazioni di ripristinare lo stop senza fornire una spiegazione.
L'organizzazione ha documentato le gravi violazioni subite dai detenuti con accuse di droga, tra cui tortura, maltrattamenti e negazione di adeguati diritti di difesa.
Oltre alle accuse di droga, quest'anno l'Arabia Saudita ha effettuato 22 esecuzioni per accuse che vanno dal terrorismo al dare rifugio a terroristi e agli attacchi armati.
Il diritto internazionale stabilisce che la pena di morte dovrebbe essere limitata alle accuse di omicidio intenzionale, al termine di processi che soddisfino tutte le condizioni di equità.
Nonostante la mancanza di trasparenza e le intimidazioni che impediscono il monitoraggio dei processi e dei dettagli dei casi, l’Arabia Saudita ha costantemente utilizzato vaghe accuse di terrorismo contro i detenuti politici. Le pratiche osservate in precedenza mostrano gravi violazioni delle condizioni di equità nei processi relativi a questi casi.
L'ESOHR ritiene che l'esecuzione di 100 persone entro i primi 196 giorni del 2024 segnali un anno più sanguinoso a venire e confermi la determinazione dell'Arabia Saudita a utilizzare le esecuzioni sia come punizione che come mezzo di intimidazione.
L'organizzazione sottolinea che queste statistiche aumentano il rischio per la vita di 69 persone di cui sta monitorando i casi. Queste persone si trovano ad affrontare processi iniqui, caratterizzati da torture, maltrattamenti e privazione dei diritti fondamentali. Tra loro ci sono 9 minorenni, 8 dei quali rischiano condanne discrezionali (ta'zir).
L’ESOHR ritiene che il monitoraggio del tasso di esecuzioni in Arabia Saudita riveli il vero stato dei diritti umani nel Paese, che il governo tenta di oscurare attraverso l’insabbiamento, la manipolazione e l’occultamento delle informazioni.
(Fonte: esohr, 15/07/2024)



SOMALIA: CINQUE GIUSTIZIATI DAGLI AL-SHABAAB PER SPIONAGGIO E CINQUE AL-SHABAAB GIUSTIZIATI PER TERRORISMO
A distanza di pochi giorni, due gruppi di persone sono state giustiziate in Somalia, rispettivamente dagli Al-Shabaab e dalle autorità somale.
Il gruppo degli Al-Shabaab il 13 luglio 2024 ha giustiziato cinque uomini accusati di spionaggio per conto degli Stati Uniti, del Kenya e del governo somalo.
La radio del gruppo ha trasmesso l’esecuzione, avvenuta in una piazza pubblica nel distretto di Jamame, situato nella regione del Basso Jubba, nel sud della Somalia.
Jamame è conosciuta come una delle roccaforti di Al-Shabaab.
I residenti sono stati chiamati dai miliziani per assistere all’esecuzione mentre il giudice del tribunale locale di Al-Shabaab leggeva pubblicamente i nomi dei cinque uomini e i loro presunti “crimini di spionaggio”.
Tra i giustiziati figurano tre cittadini somali arrestati dal gruppo: Ali Hassan Osman, 43 anni; Osman Abdirahman Omar, 44 anni; e Farhan Omar Sheikh Warsame, 24 anni.
Altri due uomini, Mohammed Kimamni Jiramaya Yusuf Roogow, 32 anni, e Mohammed Hassan Mohamed (uno straniero), 26 anni, che secondo quanto riferito vivevano da anni con gli Al-Shabaab, sono stati accusati di spionaggio per i servizi segreti kenioti.
Al-Shabaab arresta spesso civili e pratica esecuzioni per presunto spionaggio, adulterio e altre accuse.
I procedimenti giudiziari non sono aperti al pubblico e la verifica indipendente delle accuse è incerta, poiché giornalisti e avvocati non sono autorizzati a presenziare.
La leadership di Al-Shabaab è diventata sempre più sospettosa nei confronti dei suoi combattenti stranieri, in particolare quelli provenienti dall’Africa orientale, a causa degli attacchi aerei mirati che hanno ucciso diversi alti comandanti del gruppo.
Cinque miliziani di al-Shabaab sono stati fucilati il 16 luglio dalle autorità della Somalia.
Secondo le notizie, i cinque uomini erano stati condannati per terrorismo, compresi gli omicidi di due religiosi e di un anziano di un villaggio, e sono stati fucilati a Kismayo, nello stato federato somalo del Jubaland.
(Fonti: Garowe Online, 16/07/2024; HORN OBSERVER, 15/07/2024)



LA COSTA D’AVORIO ADERISCE AL SECONDO PROTOCOLLO OPZIONALE
La Costa d’Avorio il 3 maggio 2024 ha aderito al Secondo Protocollo Opzionale del Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici, volto all’abolizione della pena di morte.
L’adesione giunge quasi un anno dopo il voto del Senato ivoriano in favore della ratifica del Secondo Protocollo Opzionale, avvenuto il 6 giugno 2023.
Nonostante in passato siano state pronunciate condanne a morte, la Costa d'Avorio non ha effettuato esecuzioni da quando ha ottenuto l'indipendenza nel 1960. La pena di morte è stata poi rimossa dal quadro legislativo ivoriano con la Costituzione del 2000 e nel 2015 è stato introdotto nel codice penale l’ergastolo in sostituzione della pena di morte.
Conformemente all'articolo 8, paragrafo 2, il Protocollo entrerà in vigore il 3 agosto 2024, tre mesi dopo la data di deposito degli strumenti di adesione.
La Costa d’Avorio è il 17esimo stato africano a ratificare l’OP2-ICCPR.
Giungono così a 91 gli Stati membri delle Nazioni Unite che hanno aderito al Secondo Protocollo Opzionale, dei 173 Stati che sono attualmente parte dell’ICCPR.
(Fonte: World coalition against the death penalty, 08/07/2024)

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