Nessuno tocchi Caino - USA, DUECENTO INNOCENTI CONDANNATI A MORTE, MA NON È SOLO COLPA DEI GIUDICI

 Nessuno tocchi Caino news

Anno 24 - n. 32 - 10-08-2024

 

LA STORIA DELLA SETTIMANA

USA, DUECENTO INNOCENTI CONDANNATI A MORTE, MA NON È SOLO COLPA DEI GIUDICI

NEWS FLASH

1. QUEI LABORATORI DI OPERA DEI BEATI COSTRUTTORI DI PACE E DI SPERANZA IN CARCERE
2. CARCERI: ESPOSTO-DENUNCIA DI ROBERTO GIACHETTI E NESSUNO TOCCHI CAINO
3. IRAN: 29 UOMINI GIUSTIZIATI A KARAJ
4. TEXAS (USA): ARTHUR LEE BURTON GIUSTIZIATO




USA, DUECENTO INNOCENTI CONDANNATI A MORTE, MA NON È SOLO COLPA DEI GIUDICI
Valerio Fioravanti

In un mese, due persone sono state dichiarate innocenti dopo aver scontato molti anni di carcere: Larry Roberts in California, e una donna, Sandra Hemme, in Missouri.
Roberts aveva trascorso 41 anni nel braccio della morte, la Hemme 44 anni di una condanna all’ergastolo. I casi sono praticamente identici: comportamento scorretto della polizia e della pubblica accusa. Nel caso della Hemme è ormai quasi certo che il vero colpevole fosse un poliziotto-rapinatore, che i “colleghi” hanno difeso a oltranza nascondendo tutti gli elementi contro di lui.
Le storie di innocenza si assomigliano un po’ tutte (poi vedremo le statistiche/casistiche americane), e sottendono tutte la stessa domanda: ma sono davvero “innocenti”, o semplicemente non sono state trovate le prove contro di loro? In alcuni casi i giudici dichiarano che il condannato deve essere scarcerato perché “effettivamente innocente”. Questa è la formula migliore, se così possiamo dire, perché, almeno, da diritto alla vittima dell’errore di chiedere subito un risarcimento. In altri casi si tratta di una gigantesca “mancanza di prove”. Non la vecchia “insufficienza di prove” che esisteva anche nel codice italiano, ma una mancanza di prove “totale”. Qui per il risarcimento c’è un po’ da combattere ma di solito, dopo un ulteriore approfondimento (a detenuto ormai scarcerato), gli avvocati difensori riescono a far fissare una nuova udienza e ottenere la dichiarazione di “effettiva innocenza”.
Immagino che molti trovino le storie di innocenza disturbanti.
In teoria siamo tutti d’accordo che un chirurgo può sbagliare un’operazione, un medico una diagnosi, uno scienziato un esperimento, e un giudice una sentenza. Ma mentre medici e scienziati (e tutti gli altri miliardi di esseri umani che sbagliano qualcosa ogni giorno) lo fanno nel loro proprio nome, chi emette una sentenza sbagliata lo fa “in nome del popolo”. E quindi per ogni caso di innocenza che viene a galla, siamo in qualche misura tirati in gioco: evidentemente nella serie di deleghe previste dal meccanismo democratico, qualcosa non ha funzionato bene.
Un giudice sbaglia, e va bene, ma i giornalisti, hanno seguito bene il caso? E i politici, hanno vigilato per la loro parte? E gli avvocati, anche fuori dall’aula, hanno fatto tutto il possibile? E tutti noi, ci siamo accontentati dei titoli dei giornali o abbiamo provato a ragionare? Quando si parla di “divisione dei poteri” non vuol dire che nessuno è responsabile degli errori degli altri, o almeno, non dovrebbe essere così.
Torniamo negli USA. I casi di innocenza sono molti: dal 1973 a oggi 200 persone la cui condanna a morte era già definitiva hanno ottenuto la scarcerazione, e il riconoscimento di “effettiva innocenza”. Un conteggio diverso, effettuato non sui condannati a morte ma su imputati che hanno ricevuto condanne superiori a 20 anni, dice che dal 1989 sono stati dichiarati innocenti 3.563 condannati definitivi. Questi conti li fa il National Registry of Exonerations, in cui confluiscono 4 università.
Il Registry calcola che dal 1989 sono stati scontati ingiustamente almeno 31.900 anni di detenzione. Ma soprattutto il Registry ci ricorda una cosa ovvia ma troppo spesso sottaciuta: per ogni innocente condannato, c’è un colpevole che è stato lasciato libero.
In Italia i casi di innocenza di un detenuto definitivo sono pochissimi, ma non sono censiti da nessuno. Ai tempi del processo Sofri, quando sembrava che potesse ottenere un annullamento della condanna definitiva (che poi non ottenne) i principali cronisti giudiziari scrissero che nel dopoguerra si erano verificati solo 5 casi. Spero vivamente di sbagliarmi, ma da allora ricordo solo altri due casi, un egiziano da qualche parte in nord Italia, e Beniamino Zuncheddu due mesi fa.
Il 90% dei casi di innocenza negli Stati Uniti viene seguito da Ong, quasi tutte originate all’interno di università, e ben collegate tra loro. Questa è una cosa che in Italia non si può fare: che professori universitari e studenti lavorino (ottenendo dallo stato il semplice rimborso spese che spetta agli avvocati d’ufficio) su casi reali, da noi sarebbe visto come un’attività a cui mandare subito la guardia di Finanza, o il giudice del lavoro per lo sfruttamento degli studenti. Ma anche le Ong avrebbero vita difficile: professori universitari che contestano centinaia di condanne, che “delegittimano la magistratura”? Quanto durerebbero?
Quindi sì, in tutto il mondo vengono commessi “errori giudiziari”, ma poi ci sono culture dove si lavora per correggere gli errori, e altre dove non lo si fa, dove “si butta la chiave”, e pazienza se è la chiave sbagliata.



NESSUNO TOCCHI CAINO - NEWS FLASH

QUEI LABORATORI DI OPERA DEI BEATI COSTRUTTORI DI PACE E DI SPERANZA IN CARCERE
Vincenzo Di Paolo

Luogo dimenticato. Luogo di degrado, sofferenza, afflizione. Nel carcere riversiamo gli “scarti sociali”, tutto ciò che non vogliamo vedere, tutto ciò di cui non vogliamo prenderci cura o a cui non riusciamo a fornire una risposta di carattere sociale. Ammassiamo tutto lì, in spazi angusti e inidonei, privando le persone non solo della propria libertà, ma della dignità. Il carcere tuttavia può essere anche luogo della coscienza, da cui manifestare la possibilità di conversione. Perché dai luoghi della marginalità e della vulnerabilità possono arrivare messaggi di forza e racconti di speranza.
Nel carcere di Opera “Nessuno tocchi Caino” svolge i suoi “laboratori della speranza” insieme ai detenuti che scontano la pena nei circuiti di alta sicurezza. Da questi incontri emergono storie di vita dirompenti.
Come quella di Gioacchino. Nato nel 1946 “su strade lastricate e scivolose”, una storia di cadute e riscatti. Dal 41-bis alla maturità, la tenerezza del racconto della sua carriera scolastica. Scriveva lettere, Gioacchino. Le indirizzava al Presidente della Repubblica o ad altri destinatari importanti. Ma le teneva per sé, senza spedirle. Scriveva, e poi strappava i fogli. Anche Costanzo scrive. Scrive poesie. Ci racconta di sua figlia e di quella volta che ha portato a scuola, per un esame, il testo di una poesia del padre. Antonio, invece, racconta del suo primo esame all’università: 30, senza lode. “Perché divaga troppo” la motivazione della professoressa.
Siamo partiti da questo divagare, abbiamo divagato anche noi nei ragionamenti e nelle riflessioni. Serve divagare per uscire dagli schemi prestabiliti, dai modelli preconfezionati, dai luoghi comuni, per leggere la realtà con occhi veri. Ci si accorge quindi che dove si pensa manchi la coscienza c’è invece un livello di coscienza elevato. Ci si accorge delle contraddizioni del nostro sistema penale, dei paradossi del carcere e dell’ipocrisia di certe azioni politiche.
Si parla di liberazione anticipata, ma l’unica liberazione anticipata che sembri essere accettata è il suicidio. Quest’anno sono già 65 le persone che si sono tolte la vita all’interno degli istituti penitenziari, un numero che certifica il fallimento della nostra società. Cosa resta della vita di queste persone che erano sottoposte alla custodia dello Stato: soltanto la freddezza di un numero statistico. La proposta Giachetti che mira a modificare il sistema della liberazione anticipata dei detenuti è stata definita dal Ministro Nordio “una resa dello Stato”. Per evitare che lo Stato si arrenda, si pratica uno stato di tortura. Dov’è finito il “senso di umanità” delle pene di cui parla l’art. 27 della Costituzione? La retorica della difesa della Carta costituzionale s’inceppa quando si inizia a parlare di diritto penale.
Nel corso del laboratorio a Opera, forse senza volerlo, Massimo ci regala la migliore lezione di diritto costituzionale: “la Costituzione non va portata in giacca e cravatta nei giorni di festa ma va indossata come una maglietta a maniche corte”. È un’immagine interessante. Ci ricorda tra l’altro che dovremmo provare a metterci nei panni di chi in carcere ci vive o ci lavora. Nei panni di chi subisce quelle condizioni “inumane e degradanti” per le quali lo Stato italiano è già stato condannato dalla Corte europea dei diritti dell'uomo e sulle quali si è pronunciato recentemente anche il Presidente della Repubblica Mattarella parlando di una situazione “indecorosa e straziante”.
Finché la nostra società continuerà a interpretare la pena come aspetto punitivo, il carcere resterà il luogo perfetto per realizzare un fine vendicativo nei confronti di persone che saranno costrette a portarsi dietro il proprio reato, anche dopo aver scontato tutta la pena inflitta. C’è una condanna morale che non dovrebbe appartenere a uno Stato di diritto, il cui fine è piuttosto la realizzazione del reinserimento sociale del condannato. Una funzione rieducativa che questo sistema carcerario non svolge.
“Il futuro! Da quanto tempo sei senza futuro? Il futuro è questo tempo incompiuto che ci aspetta, inesorabilmente simile a noi: a ciò che siamo stati e a quello che non saremo.” Le parole di Mariateresa Di Lascia – che Nessuno tocchi Caino ricorderà, nel trentennale della morte, con un evento a Opera il 30 agosto nel teatro della Casa di reclusione, e poi a Foggia il 7 settembre – risuonano durante il laboratorio in carcere. Per quanto tempo ancora pensiamo di poter rinchiudere il futuro e la speranza!



CARCERI: ESPOSTO-DENUNCIA DI ROBERTO GIACHETTI E NESSUNO TOCCHI CAINO
Valentina Stella su Il Dubbio dell’8 agosto 2024

«Non impedire un evento, che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo». A questa previsione del codice penale (Art. 40) hanno fatto riferimento il deputato di Italia Viva Roberto Giachetti e i dirigenti di Nessuno tocchi Caino Rita Bernardini, Presidente, Sergio D’Elia, Segretario ed Elisabetta Zamparutti, Tesoriera, nell’esposto-denuncia che, con il patrocinio dell’avvocato Maria Brucale, hanno depositato oggi pomeriggio presso la stazione dei carabinieri di Piazza San Lorenzo in Lucina a Roma. L’esposto è rivolto alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Roma perché – hanno spiegato – «a fronte della gravità della situazione nelle carceri, descritta con dovizia di particolari nelle 11 pagine di denuncia, e a fronte dei probabili ulteriori pericoli che incombono sulla comunità penitenziaria, verifichi la sussistenza di eventuali responsabilità penali a carico del Ministro della Giustizia on. Carlo Nordio e dei Sottosegretari on. Andrea Delmastro Delle Vedove e sen. Andrea Ostellari i quali, avendo specifici obblighi di custodia dei ristretti, non vi adempiono cagionando loro un danno evidente alla salute, fisica o psichica, e alla loro stessa vita».
Il documento fa riferimento in particolare agli accadimenti gravi quali i suicidi e altre morti in carcere per malattia e assenza di cure. A questo proposito, i denuncianti richiamano le 65 persone private della libertà che si sono tolte la vita quest’anno, al 5 agosto 2024, a cui vanno aggiunti 7 agenti della polizia penitenziaria e altri 97 detenuti che sono morti per cosiddette «cause naturali».
Il documento fa riferimento inoltre alla grave mancanza di risorse interne agli istituti di pena derivante dall’ingestibile sovraffollamento che, al 29 luglio 2024, era quantificabile in 61.134 persone detenute in 47.004 posti regolarmente disponibili. Negli ultimi sei anni i magistrati di sorveglianza hanno riconosciuto 24.301 (circa 4.700 nel solo 2023) rimedi risarcitori per condizioni di detenzione contrarie all’umanità della pena. Gli oltre 4.000 risarcimenti ogni anno certificano in modo inequivocabile una situazione di endemica e sistematica violazione della dignità umana e delle condizioni minime di vivibilità e di rispetto dei diritti individuali nei nostri istituti di pena.
In tale situazione, hanno rilevato i denuncianti, «sono fortemente pregiudicati anche i diritti e la vita dei servitori dello Stato, dei direttori, degli educatori, dei poliziotti penitenziari. Perché, a fronte di oltre 14 mila detenuti in più, ci sono ad esempio 18 mila agenti della polizia penitenziaria in meno rispetto alla pianta organica prevista». Di fronte alla tragedia che si consuma ormai sotto gli occhi di tutti, secondo l’esposto-denuncia, «il Ministro della Giustizia e i sottosegretari competenti sulle carceri, ad esempio, hanno, all’unisono, opposto un netto rifiuto alla sola proposta di legge concreta, quella di Nessuno Tocchi Caino depositata in parlamento da Roberto Giachetti, volta ad aumentare con effetto retroattivo i giorni di liberazione anticipata e, quindi, a incidere nell’immediato sul sovraffollamento carcerario che è all’origine di ogni illegalità nell’esecuzione della pena». All’uscita della caserma Roberto Giachetti e gli esponenti di Nessuno tocchi Caino hanno tenuto una conferenza stampa per illustrare l’iniziativa. Per Sergio d’Elia, «la nostra è una denuncia politica pur in presenza di fatti penalmente rilevanti sui quali la magistratura, in base all’obbligatorietà dell’azione penale, dovrebbe procedere. Non sono un amante del diritto penale, tant’è che, per quanto mi riguarda, dovesse la nostra denuncia arrivare davanti ad un tribunale, non mi costituirò parte civile». Ha aggiunto Elisabetta Zamparutti: «Questo non è che il primo atto di denuncia della gravità di una situazione che non può limitarsi allo spazio giuridico nazionale ma deve arrivare davanti agli organismi politici e giudiziari sovranazionali, a partire da quelli del Consiglio d’Europa».
«Con un sovraffollamento medio che supera il 130% – ha stigmatizzato Rita Bernardini – unito al grave deficit degli organici di ogni tipo, compreso quello del personale ASL, la violazione dei diritti umani diviene sistematica. Ciò implica un obbligo immediato di intervento da parte del decisore politico che, invece, con il decreto Nordio (il nulla vestito di niente), abbandona la comunità penitenziaria alla sua disperazione nell’estate più rovente di sempre».
«Tutta la comunità penitenziaria vive una condizione costante di prostrazione – ha concluso l’avvocato Maria Brucale - Chiediamo alla Procura di verificare le responsabilità penali di coloro che avendo specifici obblighi nella custodia dei ristretti non vi adempiano determinando un danno grave e verificabile alla salute, fisica o psichica, e alla vita».



IRAN: 29 UOMINI GIUSTIZIATI A KARAJ
29 uomini, tra cui 13 curdi, baluchi e 4 afghani, sono stati giustiziati la mattina del 7 agosto 2024 per omicidio, droga e stupro nella prigione di Ghezel-Hesar di Karaj e nella prigione centrale di Karaj.
Sono almeno 87 le persone giustiziate nelle carceri iraniane nell’ultimo mese, dalle elezioni presidenziali del 6 luglio.
Iran Human Rights continua a mettere in guardia contro le esecuzioni senza precedenti, all'ombra delle tensioni tra Iran e Israele e chiede che la comunità internazionale presti urgentemente attenzione alla macchina omicida della Repubblica islamica.
Il direttore di IHR, Mahmood Amiry-Moghaddam, ha dichiarato: "La Repubblica islamica, sfruttando l'attenzione globale sulle tensioni con Israele, è attualmente impegnata nell'uccisione di massa di prigionieri e nell'intensificazione della repressione in Iran. Senza una risposta immediata da parte della comunità internazionale, nei prossimi mesi centinaia di persone potrebbero diventare vittime della macchina omicida della Repubblica islamica! Tutti i Paesi che hanno relazioni diplomatiche con la Repubblica islamica hanno l'obbligo di reagire a questi crimini e prevenire ulteriori atrocità".
Secondo le informazioni ottenute da Iran Human Rights, il 7 agosto sono stati giustiziati 26 uomini in un'esecuzione di gruppo nella prigione di Ghezel-Hesar e tre uomini nel penitenziario di Karaj (prigione centrale). Due degli uomini erano di nazionalità afghana e si trovavano nel braccio della morte con l'accusa di stupro. Altri due cittadini afghani sono stati riportati in cella.
Finora Hengaw, Hrana e IHR hanno verificato l'identità di 12 prigionieri:
Abdullah (Shehbakhsh) Shahnavazi, 45 anni, appartenente alla minoranza baluci di Zahedan (Droga);
Khalil Nahtani, 35 anni, di Zahedan, già residente a Teheran;
Esmail Sharifi (Esmaiel Sharafi) di Kermanshah (Droga);
Foroud Garavand (Geravand), 50 anni, di Kuhdasht (Droga);
Khalil Shahoozi (Droga); Mehrdad Ghanbar Beigi;
Mohammad Karami (Gholami) di Kuhdasht (Droga);
Mohammad Nazari; Omid Farhikhteh, 42 anni, di Teheran (omicidio); Rasoul Heidari, 42 anni, di Teheran (Droga);
Shahriar Foroutan, 38 anni, di Kermanshah e residente a Teheran (omicidio); Shahab Maleki di Harsin, provincia di Kermanshah (Droga);
Inoltre, quattro cittadini afghani sono stati giustiziati simultaneamente. Tre di loro erano accusati di stupro e uno di omicidio. Le loro identità sono attualmente oggetto di indagine.
Una fonte ha dichiarato a IHR: "17 persone sono state giustiziate per omicidio, sette per accuse legate alla droga e tre per stupro".
Ci sono state anche notizie di due donne giustiziate, che IHR non è stato in grado di confermare al momento di scrivere.
I 29 uomini sono stati trasferiti in isolamento in preparazione delle loro esecuzioni dai reparti del penitenziario di Karaj e della prigione di Ghezel-Hesar il 5 e 6 agosto.
L'identità degli altri uomini non è stata accertata al momento della stesura del presente documento. IHR, Hrana ed Hengaw continuano a cercare di identificarli e pubblicheranno rapporti aggiornati.
Esecuzioni di gruppo di queste dimensioni non hanno precedenti negli ultimi due decenni. L'ultimo caso registrato risale al culmine delle proteste nazionali del 2009, quando 20 persone sono state giustiziate per reati legati alla droga nella prigione di Rajai Shahr (Gohardasht) il 3 luglio 2009.
(Fonte: IHR)



TEXAS (USA): ARTHUR LEE BURTON GIUSTIZIATO
Arthur Lee Burton, 54 anni, nero, è stato giustiziato il 7 agosto nel penitenziario statale di Huntsville ed è stato dichiarato morto alle 18:47 ora locale. Era stato condannato per l'omicidio e il tentato stupro di una donna bianca, Nancy Adleman, 48 anni, madre di tre figli, avvenuto nel luglio 1997.
Secondo la polizia, Adleman era stata brutalmente picchiata e strangolata con i lacci delle sue scarpe in un'area boscosa vicino a un percorso di jogging.
Burton ha inizialmente confessato il crimine, ma ha ritrattato la confessione al processo.
Qualche ora prima dell'ora prevista per l'esecuzione, la Corte Suprema degli Stati Uniti ha rifiutato una richiesta di intervento della difesa, dopo che i tribunali di grado inferiore avevano precedentemente respinto la richiesta di sospensione di Burton.
Gli avvocati di Burton avevano sostenuto che le relazioni di due esperti e documenti agli atti mostravano che Burton "mostrava punteggi bassi nei test di apprendimento, ragionamento, comprensione di idee complesse, risoluzione di problemi e suggestionabilità, tutti esempi di limitazioni significative nel funzionamento intellettuale".
L'accusa ha sostenuto che la prova era una forte indicazione di una disabilità intellettuale, e in quanto tale, in base ad una nota sentenza della Corte Suprema degli Stati Uniti del 2002, non poteva essere giustiziato.
I procuratori hanno sostenuto che Burton non aveva mai sollevato in precedenza la questione della disabilità intellettuale e che aveva aspettato fino a otto giorni prima dell'esecuzione programmata per farlo.
Un esperto dell'ufficio del procuratore distrettuale della contea di Harris (Thomas Guilmette, professore di psicologia al Providence College di Rhode Island) ha dichiarato in una relazione del 1° agosto di non aver riscontrato alcuna prova che Burton soffrisse di un deficit significativo nelle capacità intellettuali o mentali.
Burton è stato condannato nel 1998, ma la sua condanna a morte è stata annullata dalla Corte d'Appello del Texas nel 2000. Ha ricevuto un'altra condanna a morte in un nuovo processo di definizione della sentenza, nel 2002.
Burton è il terzo detenuto messo a morte quest'anno in Texas, il 589° in totale da quando il Texas ha ripreso le esecuzioni nel 1982, e l'11° negli Stati Uniti quest'anno, e il 1.593° in totale da quando il Paese ha ripreso le esecuzioni nel 1977.
(Fonte: CBS News, 07/08/2024)

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