Nessuno tocchi Caino - TRA TRUMP E HARRIS IN GIOCO C’È ANCHE IL DESTINO DEI CONDANNATI A MORTE. INTANTO BIDEN POTREBBE GRAZIARE I 40 DEL BRACCIO DELLA MORTE FEDERALE

Nessuno tocchi Caino news

Anno 24 - n. 36 - 28-09-2024

LA STORIA DELLA SETTIMANA

TRA TRUMP E HARRIS IN GIOCO C’È ANCHE IL DESTINO DEI CONDANNATI A MORTE. INTANTO BIDEN POTREBBE GRAZIARE I 40 DEL BRACCIO DELLA MORTE FEDERALE

NEWS FLASH

1. LA GIUSTIZIA RIPARATIVA, UN NUOVO TERRENO PER LA CULTURA PENALISTA
2. IRAQ: 21 IMPICCATI, LA MAGGIOR PARTE PER ‘TERRORISMO’
3. MYANMAR: MARITO E MOGLIE GIUSTIZIATI DALLA GIUNTA MILITARE
4. TAIWAN: LA PENA DI MORTE È COSTITUZIONALE, MA SOLO PER I CRIMINI PIÙ GRAVI

I SUGGERIMENTI DELLA SETTIMANA

NESSUNO TOCCHI CAINO A ROVIGO IL 28 SETTEMBRE




TRA TRUMP E HARRIS IN GIOCO C’È ANCHE IL DESTINO DEI CONDANNATI A MORTE. INTANTO BIDEN POTREBBE GRAZIARE I 40 DEL BRACCIO DELLA MORTE FEDERALE
Valerio Fioravanti

Tutti concordano che Trump e Harris sono praticamente pari nei sondaggi USA. L’ultimo, pubblicato domenica scorsa, li trova appaiati anche nel gradimento (scarso per entrambi a dire il vero) presso le varie comunità cristiane della nazione.
Harris è Battista, Trump sarebbe Presbiteriano, ma ultimamente, per risultare meno divisivo si sta definendo genericamente “cristiano”. Il motivo potrebbe essere piuttosto semplice e avere poco a che fare con la dottrina: i Presbiteriani sono pochi, circa il 3% della popolazione USA, mentre i Battisti sono il 15%. Sono di più i Cattolici, 21%, ma qui le cose si complicano, elettoralmente parlando, perché sono quasi tutti messicani o sudamericani, e molti non hanno i documenti in regola, e quindi non votano. Comunque sia, secondo un sondaggio commissionato dall’Associated Press, solo il 14% degli americani ritiene che il termine “cristiano” descriva “molto bene” l’uno o l’altro candidato. Con una certa incoerenza tipica del candidato (ed evidentemente anche dei suoi elettori), il meno danneggiato è Trump: 7 su 10 dei suoi simpatizzanti lo voteranno anche se sono consapevoli che non sia un cristiano particolarmente fervente.
Il poco peso della religione nelle elezioni non è un fenomeno nuovo negli Stati Uniti, viene commentato ormai da decenni. Ancor minor peso elettorale lo hanno le questioni legate alla giustizia e al carcere. Gli esperti di ABC News hanno messo a confronto i due candidati. Evidenziano che Trump ha svariati precedenti penali (è stato condannato per 34 reati), mentre la Harris ha iniziato la carriera come pubblico ministero in California, arrivando a diventare il Procuratore Generale di quello Stato. A San Francisco ha adottato misure “garantiste” per i giovani condannati la prima volta per reati di droga “di basso livello” da avviare alle pene alternative. Le viene riconosciuto di aver ridotto la recidiva tra giovani “tossici” dal 53% al 10%.
Trump è sempre stato favorevole alla pena di morte, e negli ultimi mesi del suo mandato, nel 2020, ha fatto compiere 13 esecuzioni federali, dopo che le esecuzioni federali erano rimaste bloccate per 17 anni.
La Harris si dice “contraria – personalmente contraria – alla pena di morte”. Ma, notano gli esperti, se come Procuratrice non aveva fatto condannare a morte nessuno, non era stata però di supporto a persone condannate a morte in precedenza che avevano validi motivi per chiedere una revisione dei processi. Recentemente ha dichiarato al New York Times: “Mi sento malissimo per questo”.
Nella scorsa campagna elettorale, quella vinta, assieme a Biden avevano assicurato che avrebbero abolito la pena di morte federale. Non lo hanno fatto, e anzi, in due casi di terrorismo “interno” hanno lasciato che la pubblica accusa federale (che dipende direttamente dal governo) chiedesse la pena capitale.
Ci sarebbe una posizione intermedia che Biden e Harris potrebbero ancora prendere: utilizzando i poteri presidenziali, che tutti i presidenti usano nelle ultime ore del mandato per prendere alcune decisioni impopolari, come concedere la grazia a qualche collaboratore condannato per corruzione o cose simili (lo fanno davvero tutti), potrebbero graziare i 40 detenuti, tutti uomini, rinchiusi nel braccio della morte federale. Così facendo, Trump non troverebbe più nessuno da far giustiziare. Ma questo non influirebbe comunque sulle elezioni di novembre, visto che per prassi l’alternanza vecchio/nuovo presidente si fa tre mesi dopo le elezioni, e quindi i “giorni delle grazie”, tradizionalmente, sono i primi di febbraio.
In politica carceraria, Trump ha invertito la tendenza del suo predecessore Obama a diminuire gli appalti ai privati per la gestione delle carceri, e li aveva nuovamente aumentati. L’amministrazione Biden-Harris non ha rinnovato i contratti ai privati, e attualmente tutti i detenuti federali sono tornati sotto il controllo del Governo.
Sulle misure di polizia, Harris, che ha un padre giamaicano, ha in passato simpatizzato per il movimento (considerato di estrema sinistra) “Black Lives Matter” che vuole meno fondi stanziati per la polizia, e più per i servizi sociali. Per un paio di anni molte città hanno adottato questa politica, e il risultato è stato un forte aumento dei crimini, non è chiaro se per motivi veri, o se per un boicottaggio da parte della polizia.
Oggi l’idea di depotenziare la polizia non è più di moda, ma Harris è comunque in difficoltà con BLM perché il movimento contiene una forte componente pro-Palestina che ha già dichiarato più volte che “non voterà mai per Harris”. Neanche per Trump, ovviamente, anche perché Trump ha come cavallo di battaglia l’aumento di assunzioni e di stipendi per la polizia.
Chi vincerà? Vorrei dire che, se vincesse Trump, Biden quasi certamente firmerebbe le grazie per i 40 condannati a morte. Nessuno tocchi Caino ha a cuore il destino dei condannati, ma forse è un po’ poco per auspicare davvero la vittoria di Trump.



NESSUNO TOCCHI CAINO - NEWS FLASH

LA GIUSTIZIA RIPARATIVA, UN NUOVO TERRENO PER LA CULTURA PENALISTA
Edoardo Caprino

La giustizia riparativa è una delle discipline di saperi che si stanno ampliando maggiormente ed è il più nuovo di tutti gli sviluppi dell’ambito giuridico. Ed è proprio la giustizia riparativa a essere scelta tra le materie premiate dalla Fondazione Internazionale Balzan che ha attribuito il prestigioso premio a John Braithwaite, professore emerito dell’Australian National University “per il suo contributo allo sviluppo teorico e alla diffusione della prassi della giustizia riparativa contemporanea, per il suo impegno a servizio delle istituzioni e della costruzione sociale, per il suo lavoro di alta divulgazione scientifica ed editoriale, per la sua dedizione alla crescita culturale delle più giovani generazioni nei valori della giustizia riparativa”.
La giustizia riparativa nasce dalla constatazione che il reato è esercizio di potere, di sopraffazione sulla vittima, è un’azione violenta che provoca una ferita molto spesso fisica ma anche materiale e morale e la giustizia ha il compito di innescare un processo di guarigione. Per questo motivo la giustizia riparativa si affianca alla giustizia tradizionale che si amministra nei tribunali manifestandosi nella rappresentazione dell’incontro, che ne è un punto cardine. Un incontro che è liberamente accettato al momento opportuno tra le vittime e i difensori, ed eventualmente da altre persone significative per gli uni e per gli altri. Con l’aiuto di un mediatore si affrontano domande molto semplici ma decisive per le persone coinvolte: Cos’è accaduto? Perché quel fatto? Quali persone sono state colpite? Perché proprio loro? Cosa si può fare per dare prospettive future a tutti i soggetti coinvolti? La giustizia riparativa non va quindi confusa con un atto di clemenza, pe rché essa richiede al difensore di assumersi tutte le proprie responsabilità davanti alle vittime e alla comunità coinvolta. Reintegrative Shaming è il concetto elaborato da John Braithwaite che riassume perfettamente questa tipologia di approccio.
Trent’anni di pratica della giustizia riparativa contemporanea e di studi su di essa mostrano che questi incontri danno un grande sollievo alle vittime, permettendo un’idea di ristoro. Ed è importante sottolineare come questo approccio permetta una significativa diminuzione della recidiva attraverso la reintegrazione sociale degli offensori.
John Braithwaite è uno dei fondatori degli studi e della prassi della giustizia in epoca contemporanea, senza le sue opere la giustizia riparativa non avrebbe guadagnato né la necessaria credibilità accademica, né la fiducia delle Istituzioni internazionali che ora la promuovono e la supportano a ogni livello.
Alcuni dei suoi concetti sono divenuti di dominio generale, in particolare l’idea di Responsive Regulation, che allude a una forma di regolamentazione responsiva che sa valorizzare i comportamenti positivi dei consociati che, fin dall’inizio o a valle di un illecito, decidono di osservare volontariamente le regole. L’ampiezza delle pubblicazioni di Braithwaite è sconfinata sia per interessi coltivati sia per il numero di volumi e di articoli pubblicati ma soprattutto è ampia la comunità di studiosi, di giovani generazioni che in tutto il mondo diffondono la cultura e gli studi sulla giustizia riparativa.
Braithwaite non si è mai chiuso nella sua torre d’avorio, ha speso moltissime energie nella costruzione di realtà sociali e di una società civile dove la giustizia riparativa potesse essere praticata. Ha contribuito in modo decisivo a sorreggere questa prassi sociale con un’architettura normativa istituzionale riconosciuta e che potesse dare vita a un sistema complementare alla giustizia tradizionale. Negli anni più recenti si è sviluppata la riflessione su questo ambito in relazione ai grandi problemi della nostra epoca: sostenibilità, guerra, pace, cambiamento climatico, finanza, salute; e lo ha fatto con il pensiero rivolto ai grandi conflitti del nostro tempo.
Merita una particolare sottolineatura il progetto di Braithwaite: Peacebuilding compared che studia i grandi conflitti di oggi e i processi di ripristino della pacificazione, per mettere in evidenza gli elementi di successo anche a fronte dei grandi conflitti armati che affliggono il nostro tempo. La giustizia riparativa è una strada fruttuosa e semplice, percorribile sia per i grandi dilemmi del nostro tempo, sia per piccole ma brucianti conflittualità che affliggono la vita quotidiana di ognuno.



IRAQ: 21 IMPICCATI, LA MAGGIOR PARTE PER ‘TERRORISMO’
Le autorità irachene hanno impiccato almeno 21 persone, tra cui una donna, la maggior parte con accuse di "terrorismo", hanno affermato tre fonti della sicurezza il 25 settembre 2024.
Si tratta del numero più alto di esecuzioni in un giorno solo da anni in Iraq, che in precedenza è stato criticato per i suoi processi iniqui e per l'uso della pena capitale su larga scala.
"Ventuno condannati, tra cui una donna, sono stati giustiziati" con accuse tra cui "terrorismo" e appartenenza al gruppo jihadista dello Stato Islamico, ha detto all'AFP un funzionario della sicurezza irachena.
"La donna faceva parte di un gruppo che ha ucciso una persona" nel 2019, mentre i manifestanti antigovernativi manifestavano in un'altra zona di Baghdad, ha affermato la fonte.
Un giovane accusato di aver sparato è stato ucciso e il suo corpo appeso a un palo.
La stessa fonte della sicurezza ha affermato che le esecuzioni sono state praticate nella prigione di Al-Hut, nella città sud-orientale di Nassiriya.
Altre due fonti hanno affermato che erano tutti cittadini iracheni. Una fonte medica nella provincia di Dhi Qar, di cui Nassiriya è capoluogo, ha affermato che il dipartimento forense ha ricevuto i corpi dei giustiziati dall'autorità carceraria.
Non è stato possibile confermare immediatamente quando le esecuzioni siano state praticate; secondo alcune fonti sono state effettuate il 24 settembre, secondo altre il giorno successivo.
I tribunali del Paese hanno emesso centinaia di condanne a morte ed ergastoli negli ultimi anni nei confronti di iracheni riconosciuti colpevoli di "terrorismo", in processi che i gruppi per i diritti umani hanno denunciato come affrettati.
A luglio, le autorità hanno impiccato un gruppo di 10 condannati per "terrorismo" a Nassiriya, a maggio sono state otto le persone giustiziate dopo essere state condannate per accuse simili, mentre altre 11 persone sono state impiccate all'inizio di quel mese.
A fine gennaio, gli esperti delle Nazioni Unite che esaminavano la questione hanno espresso "profonda preoccupazione per le segnalazioni secondo cui l'Iraq avrebbe avviato esecuzioni di massa nel proprio sistema carcerario". Gli esperti indipendenti, nominati dal Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite ma che non parlano a suo nome, hanno menzionato nella loro dichiarazione le esecuzioni avvenute alla fine dell'anno scorso nella prigione di Nassiriya.
La dichiarazione affermava che "13 prigionieri iracheni maschi, precedentemente condannati a morte, sono stati giustiziati il 25 dicembre 2023", definendolo "il più alto numero di prigionieri giustiziati dalle autorità irachene in un giorno" dal 16 novembre 2020, quando i giustiziati furono 20.
Alla fine di luglio, il ministro della Giustizia iracheno Khaled Shuani ha respinto l'analisi degli esperti delle Nazioni Unite in quanto "non basata su prove documentate", ha riferito l'agenzia di stampa ufficiale irachena.
(Fonte: AFP, 25/09/2024)



MYANMAR: MARITO E MOGLIE GIUSTIZIATI DALLA GIUNTA MILITARE
La giunta militare del Myanmar ha giustiziato il 23 settembre 2024 due attivisti anti-golpe, denunciano gruppi per i diritti umani.
Maung Kaung Htet e sua moglie Chan Myae Thu sono stati giustiziati alle 4 del mattino, ora del Myanmar (21:30 GMT), del 23 settembre, ha reso noto il Women's Peace Network.
Chan Myae Thu è la prima donna a essere giustiziata da quando nel febbraio 2021 l'esercito del Myanmar ha rovesciato il governo democraticamente eletto nel Paese, secondo il Women's Peace Network.
La coppia era stata condannata "senza un giusto processo e senza un processo equo" per il loro presunto coinvolgimento in un attentato con pacco bomba alla prigione Insein di Yangon, avvenuto nell'ottobre 2022, ha affermato il Network.
(Fonte: Al Jazeera, 24/09/2024)



TAIWAN: LA PENA DI MORTE È COSTITUZIONALE, MA SOLO PER I CRIMINI PIÙ GRAVI
La Corte Costituzionale di Taiwan ha stabilito il 20 settembre 2024 che la pena di morte è costituzionale, ma solo per i crimini più gravi e con il più rigoroso controllo legale.
La Corte si è così espressa dopo aver esaminato una petizione presentata da 37 detenuti che si trovano nel braccio della morte.
Nonostante la reputazione di Taiwan come la democrazia più liberale dell'Asia, la pena di morte rimane ampiamente popolare secondo i sondaggi di opinione, anche se negli ultimi anni è stata eseguita raramente nonostante il numero dei crimini violenti sia relativamente basso.
La Corte, che ha iniziato a esaminare la questione ad aprile, ha stabilito che sebbene il diritto alla vita debba essere protetto, tali protezioni "non sono assolute", ha affermato il giudice Hsu Tzong-li.
I gruppi per i diritti umani a Taiwan, che è stata sotto legge marziale fino al 1987, hanno affermato che sebbene ci siano alcuni aspetti positivi nella sentenza, Taiwan avrebbe dovuto mettere fine a tutte le esecuzioni.
"Quando Taiwan abolirà finalmente la pena di morte? La strada da percorrere sarà ancora più difficile", ha affermato la Taiwan Alliance to End the Death Penalty.
L'Ufficio presidenziale ha affermato che la decisione della Corte Costituzionale rappresenta una pietra miliare importante nel sistema giudiziario di Taiwan.
"Il presidente comprende che ci sono più voci nella società di Taiwan e spera che tutti continuino a dialogare e comunicare con un atteggiamento di comprensione, tolleranza e rispetto", ha affermato.
Il più grande partito di opposizione di Taiwan, il Kuomintang, ha espresso rammarico, sostenendo che la Corte abbia cercato di abolire nella sostanza la pena di morte, andando contro i sentimenti della maggior parte della popolazione dell'Isola.
L’ultima esecuzione a Taiwan risale al 2020, quando fu messo a morte un uomo condannato per aver ucciso sei persone in un incendio doloso.
(Fonte: Reuters, 20/09/2024)



I SUGGERIMENTI DELLA SETTIMANA

NESSUNO TOCCHI CAINO A ROVIGO IL 28 SETTEMBRE
ROVIGO
28 settembre 2024

Ore 10
Visita al Carcere

Ore 16
Conferenza “Consigli di aiuto sociale: il diritto alla speranza”
La Casa di Abraham Via Stopazzine, 5 – Rovigo

Modera
Alessandro CABERLON, Insegnante e giornalista

Intervengono
Rita BERNARDINI, Presidente di Nessuno tocchi Caino | Susanna CARLESSO, Presidente Associazione La Casa di Abraham | Laura CESTARI, Consigliere Regionale del Veneto | Sergio D’ELIA, Segretario Nessuno tocchi Caino | Umberto BACCOLO, Consiglio Direttivo Nessuno tocchi Caino | Samuele VIANELLO, Segretario Radicali Venezi


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