Nessuno tocchi Caino - QUASI MEZZO SECOLO NEL BRACCIO DELLA MORTE DA INNOCENTE. CON IL CASO HAKAMADA CROLLA IL MITO DELLA INFALLIBILITÀ DELLA PENA CAPITALE GIAPPONESE

 Nessuno tocchi Caino 

Anno 24 - n. 39 - 19-10-2024

 
LA STORIA DELLA SETTIMANA

QUASI MEZZO SECOLO NEL BRACCIO DELLA MORTE DA INNOCENTE. CON IL CASO HAKAMADA CROLLA IL MITO DELLA INFALLIBILITÀ DELLA PENA CAPITALE GIAPPONESE

NEWS FLASH

1. UNA GIORNATA TRA LE ANIME IN PENA NELLA SEZIONE FEMMINILE DEL CARCERE DI REGGIO CALABRIA
2. CARCERI: CONTINUA IN SARDEGNA IL ‘GRANDE SAYAGRAHA 2024’ DI NESSUNO TOCCHI CAINO PER LA FORZA DELLA VERITA’ SULLA CONDIZIONE DELLE CARCERI
3. ROMA: DAL 22 AL 27 OTTOBRE ‘PETRICORE’ AL TEATRO COMETA OFF
4. LA CAMPAGNA GLOBALE PER PORRE FINE ALLE ESECUZIONI IN IRAN OTTIENE IL SOSTEGNO DI 1.500 PERSONALITÀ DI 78 PAESI




QUASI MEZZO SECOLO NEL BRACCIO DELLA MORTE DA INNOCENTE. CON IL CASO HAKAMADA CROLLA IL MITO DELLA INFALLIBILITÀ DELLA PENA CAPITALE GIAPPONESE
Diana Zogno

Il Giappone, insieme agli Stati Uniti, resta l’unica nazione, tra le democrazie industrializzate membri del G7, a praticare la pena di morte. Il paese detiene circa 106 persone in attesa della pena da eseguire mediante impiccagione, con un’attesa media anche di decenni per la revisione delle condanne o l’esecuzione.
La pena capitale nel Paese del Sol Levante ha origini antiche, nonostante una prima abolizione fosse già avvenuta nel 724 per mano dell’imperatore Shōmu, sotto l’influenza del buddismo. La pratica è stata poi ripresa e da quando il codice penale giapponese ha subito l’influenza occidentale, nel corso dell’era Meiji, ha autorizzato la pena di morte per i crimini “più atroci”. Nel 1945, durante l’occupazione da parte degli Stati Uniti, infatti, l’estrema pena fu mantenuta all’interno dell’ordinamento giudiziario.
Oggi più che mai l’esecuzione capitale è oggetto di numerosi dibattiti nel Paese e la sua “appropriatezza” messa in discussione anche nelle ultime settimane dal caso di Iwao Hakamada, giapponese di 88 anni originario di Shizuoka, prosciolto dall’accusa di omicidio e rilasciato dopo aver trascorso 46 anni nel braccio della morte. Hakamada, ex pugile, era stato condannato nel 1968 per l’uccisione del suo datore di lavoro, nonché della sua famiglia, presso la fabbrica di pasta di soia miso dove lavorava. Nel 2014 era stato rilasciato per l’emergere di nuove prove del DNA che hanno messo in dubbio l’affidabilità della sua condanna iniziale, finché il 26 settembre scorso un nuovo processo ha definito l’innocenza di Hakamada e la falsificazione da parte degli inquirenti di alcune prove iniziali che avevano portato al suo arresto. “L’autorità ha aggiunto macchie di sangue e ha nascosto gli oggetti nella vasca del miso ben dopo che l’incidente si era verificato” , ha affermato il giudice Kunii Koshi. I procuratori hanno deciso di non presentare ricorso contro l’assoluzione.
Il caso dell’ex pugile ha presto acceso le critiche verso il sistema giudiziario e di esecuzione delle pene nel Paese. La presidente della Japan Bar Association, Reiko Fuchigami, ha esortato il governo e il parlamento ad adottare misure per abolire le esecuzioni e snellire i processi giudiziari. “Il caso Hakamada mostra chiaramente la crudeltà della pena di morte ingiusta e la tragedia non dovrebbe mai più ripetersi”. L’attuale ministro della Giustizia Hideki Makihara ha replicato che sarebbe “inappropriato” abolire la pena capitale. Anche i vescovi giapponesi hanno rinnovato la loro richiesta di abolizione dopo l’assoluzione di Hakamada: “vorremmo invitare la società giapponese a considerare ancora una volta i meriti e i demeriti della pena di morte”, ha affermato l’arcivescovo di Tokyo Tarcisio Kikuchi Isao, presidente della Conferenza episcopale.
Proprio sullo stesso tema era ‘caduto’ nel 2022 il predecessore di Makihara, Yasuhiro Hanashi, costretto a dimettersi per alcune dichiarazioni rilasciate sulle esecuzioni capitali. Secondo il quotidiano nazionale Asahi Shimbun, infatti, Hanashi avrebbe ironizzato sull’importanza del ruolo del ministro della giustizia che è incaricato, per la legge giapponese, di autorizzare le esecuzioni, sottolineando come di fatto quella fosse l’unica circostanza in cui il ministro della giustizia ottenesse l’attenzione nazionale.
L’ultima esecuzione registrata nel Paese è avvenuta nel luglio 2022, quando è stato impiccato un uomo che nel 2008 aveva ucciso sette persone in un violento scontro con un camion e accoltellamento nel quartiere dell’elettronica di Akihabara a Tokyo. Dopo le dimissioni di Hanashi, nel corso del 2023, il Giappone non ha più effettuato impiccagioni, ‘merito’ dell’esposizione internazionale del Paese nel suo ruolo di presidenza del G7, ma anche della crescente pressione interna e del malcontento montante contro il dicastero
della giustizia, dopo alcune rivelazioni emerse secondo cui guardie carcerarie avrebbero aggredito dei detenuti.
Ma il caso di Hakamada, probabilmente il prigioniero più anziano, nella storia dei sistemi giudiziari democratici moderni, ad aver atteso la propria pena in un braccio della morte per poi essere assolto, apre una crepa inedita per la reputazione della giustizia giapponese all’interno e al di fuori dei propri confini. Dal dopoguerra a oggi, infatti, la popolazione giapponese ha generalmente mostrato fiducia nei tribunali della giustizia nazionale. Si contano sulle dita di una mano i condannati a morte a cui è stato concesso un nuovo processo, solo quattro. Hakamada è solo il quinto condannato a morte a cui è stato concesso un nuovo processo nella storia del Giappone postbellica. Il caso potrebbe costituire un precedente importante per la giustizia giapponese, di cui per la prima volta vengono messe sotto giudizio pubblico l’infallibilità, ma soprattutto la legittimità del ricorso alla pena di morte.



NESSUNO TOCCHI CAINO - NEWS FLASH

UNA GIORNATA TRA LE ANIME IN PENA NELLA SEZIONE FEMMINILE DEL CARCERE DI REGGIO CALABRIA
Emilia Vera Giurato

Provo a contagiargli speranza con gli occhi, con il sorriso. Non posso fare altro per queste anime in pena. Lo sono tutte; quelle colpevoli di più perché oltre alla restrizione, alla privazione della libertà, alla luce filtrata dalle grate, all’orizzonte fatto di spessi muri grigi, portano il peso insopportabile della colpa.
Sono 38 le donne recluse nella sezione femminile del carcere di Reggio Calabria, che ne potrebbe contenere al massimo 26. Il sovraffollamento ha un impatto meno evidente rispetto alle sezioni maschili; i locali sono silenziosi, le celle (camere di pernottamento tecnicamente ma celle in verità) sono pulite, organizzate secondo un ordine forzato, che mal si concilia con gli spazi ristretti.
I bagni sono in discrete condizioni, hanno la doccia con acqua calda, il riscaldamento in inverno e la luce non manca. Ma le condizioni generalmente accettabili e l’apparenza tranquilla stridono con la sensazione di oppressione che si avverte nitidamente entrando. Il contesto scompare, esaltando la timidezza discreta delle donne rinchiuse in quelle neutre scatole di cemento, astratte dalla realtà. I loro occhi sono spenti ma grati nel vedere, per una volta, qualcuno che non indossi la divisa.
Nessuno tocchi Caino è un’associazione che conoscono bene, sanno che non sarà una visita di cortesia, sanno che non ci si dimenticherà di loro appena usciti. Con la mano aggrappata alle sbarre della cella, una donna si rivolge a Rita, di cui intuisce la rara capacità di ascoltare con cuore e anima: “…Ho fatto tanti lavori per vivere, anche cose di cui mi vergogno. Purtroppo il mio destino è questo e devo accettarlo”. Quella postura mi evoca l’istinto di aggrapparsi alla vita, nonostante quel destino, nonostante la rassegnazione e la incapacità di essere padrona della propria sorte.
In biblioteca incontriamo Daniela, mi sembra timorosa, come in bilico sul cornicione della vita; poco dopo capisco il perché di quell’impressione. Anni fa, accecata dalla gelosia nei confronti del marito adultero, ha ucciso suo figlio, sindrome di Medea; poi ha tentato di togliersi la vita, senza riuscirci. Ha smesso di parlare allora, si è chiusa in un mutismo autopunitivo per più di sei anni. Ora, grazie al sostegno, alla professionalità e alla “delicatezza” (così l’ha definita lei) degli psicologi e del personale, ha ripreso a parlare; e scrive ma non vuole pubblicare nulla perché tutto quello che riversa sulle pagine è troppo intimo. “Lo pensavo anch’io” le dico “ma provaci, filtra quello che ti senti di portare all’esterno; pensaci almeno, ti farà stare meglio, ne sono sicura e farà bene a qualcun altro”. Mi guarda con occhi dolci, profondi e smarriti.
Mi rincuora la dolcezza quasi familiare degli sguardi e dei modi delle Agenti di Polizia Penitenziaria che ci guidano perché credo che compassione e accudimento possano aiutare a smorzare il dolore della solitudine.
Prima di andar via, incontriamo Maysoon, una ragazza curda, arrestata appena sbarcata al porto di Crotone perché accusata di essere una scafista. È piccola di statura e molto minuta, anche per via dello sciopero della fame che ha portato avanti per ribellarsi all’ingiustizia del trattamento che le viene riservato. Ha occhi grandi e neri come profondi laghi di notte, intelligenti, vivi; ha imparato a parlare l’italiano in pochi mesi. È regista e attrice di teatro, costretta a scappare dal suo Paese a causa della violenta repressione nei confronti di donne e giovani. Vorrebbe uscire, Maysoon, per denunciare, manifestare, gridare per le donne del suo popolo e freme, contando i giorni che trascorre intrappolata tra le maglie opprimenti di una giustizia disfuzionale: 281. La potenza dello sguardo di quella piccola donna dalla tempra d’acciaio si scioglie in un attimo quando le chiedono la sua età: “Ventotto”, gli occhi si annacquano di lacrime e lei, dritta come un fusto, le ricaccia dignitosamente indietro.
Ci sono anche una mamma e una figlia, detenute insieme e io non posso fare a meno di domandarmi che società siamo diventati, che genere di civiltà sia quella in cui una mamma e sua figlia finiscono in carcere insieme; perché non posso credere che sia solo responsabilità loro. Mi sono rimasti dentro gli occhi di tutte queste donne. Mentre attraversiamo il corridoio per uscire, noto una panchina dipinta di rosso, simbolo del sangue versato dalle donne vittime di violenza; ci dicono che i reati per cui sono ristrette le detenute al carcere di Reggio attualmente sono spaccio e omicidio. Penso a tutte le donne uccise dalla mano di uomini e a quelle che versano il sangue altrui e poi scompaiono inghiottite dal buio pesto delle nostre carceri. La violenza non ha genere, ha a che fare con l’umanità e noi non abbiamo ancora trovato il modo di guarire.



CARCERI: CONTINUA IN SARDEGNA IL ‘GRANDE SATYAGRAHA 2024’ DI NESSUNO TOCCHI CAINO PER LA FORZA DELLA VERITA’ SULLA CONDIZIONE DELLE CARCERI
E’ iniziato il 15 ottobre e si concluderà il 22 ottobre il giro di visite negli istituti di pena della Sardegna organizzato da Nessuno tocchi Caino insieme alle Camere Penali di Cagliari, Oristano, Nuoro e Sassari, all’Osservatorio Carcere dell’Unione delle Camere Penali Italiane, ad altre organizzazioni forensi come l’Organismo Congressuale Forense, l’Osservatorio per la Giustizia, associazioni come “Sardegna Radicale” e “Cellula Coscioni Sardegna”.
Il giro della Sardegna fa seguito alle oltre 80 visite nelle carceri italiane svolte da inizio anno nell’ambito della campagna di Nessuno tocchi Caino denominata “Grande Satyagraha 2024: forza della verità sulle condizioni delle carceri”.
Nel corso delle visite, verranno rilevate le condizioni di vita dei detenuti ma anche di lavoro dei “detenenti”, gli operatori penitenziari a partire dagli agenti della polizia penitenziaria costretti, per la carenza di organici, a turni massacranti e vittime anche loro delle condizioni inumane e degradanti in cui versano le carceri nel nostro Paese dovute al peso sempre più intollerabile del sovraffollamento. Particolare attenzione verrà riservata all’area sanitaria del carcere spesso carente di risorse umane e finanziarie con inevitabili conseguenze sulla salute delle persone detenute.
Parteciperanno alle visite agli istituti sardi i dirigenti di Nessuno tocchi Caino Rita Bernardini, Presidente e Sergio D’Elia, Segretario.
Alle visite seguiranno conferenze stampa all’uscita dal carcere e convegni pubblici sulla situazione generale della amministrazione della giustizia e della esecuzione penale nel nostro Paese.

Calendario delle visite e degli eventi esterni

CAGLIARI, Martedì 15 ottobre
Ore 10:00, Visita al carcere di Uta
Ore 15:30, c/o Palazzo di Giustizia (Biblioteca Consiglio dell’Ordine)
Conferenza “Pacchetto Sicurezza, tra profili di incostituzionalità e ricadute sul trattamento penitenziario”

ISILI, Mercoledì 16 ottobre
Ore 10:00, Visita alla Colonia Penale

ORISTANO, Giovedì 17 ottobre
Ore 10:00, Visita al carcere di Massama
Ore 16:00, c/o Sala consiliare della Provincia di Oristano
Conferenza “Diritto alla salute e carcere: l’urgenza di una nuova organizzazione della sanità penitenziaria”

NUORO, Venerdì 18 ottobre
Ore 10:00, Visita al carcere di Badu 'e Carros
Ore 16:00, c/o Palazzo di Giustizia (Piano 3, Aula 3)
Conferenza “Pacchetto Sicurezza: nuove fattispecie di reato e aggravamento delle pene, nell’era del populismo giustizialista e del diritto penale simbolico”

ALGHERO, Sabato 19 ottobre
Ore 12:00, Visita al carcere

SASSARI, Lunedì 21 ottobre
Ore 10:00, Visita al carcere di Bancali
Ore 16:00, Conferenza c/o Palazzo della Provincia di Sassari - Sala Angioj

TEMPIO PAUSANIA, Martedì 22 ottobre
Ore 10:00, Visita al carcere di Nuchis

Info 335 6153305



ROMA: DAL 22 AL 27 OTTOBRE ‘PETRICORE’ AL TEATRO COMETA OFF
Scritto da Licia Amendola & Simone Guarany, Regia di Licia Amendola

Cosa succederebbe se in Italia reintroducessero la pena di morte? Cosa farebbero due guardie penitenziarie di Rebibbia se si trovassero tra le mani il primo condannato a morte dopo 70 anni?
Petricore cerca di rispondere a queste e ad altre domande con la delicatezza che ci impone l’argomento. Marco e Claudio, due guardie penitenziarie messe a capo di un nuovo braccio del carcere, si ritrovano a dover gestire il primo condannato a morte in Italia dopo circa 70 anni, Valerio, accusato di un crimine terribile, quasi impronunciabile. Saranno proprio loro a doversi occupare del detenuto e a dover mettere in atto la condanna per iniezione letale. Marco, il più belligerante e sempliciotto dei due, prenderà di buon grado la notizia mentre Claudio, leggermente più sofisticato, manifesterà fin da subito il suo disappunto.
Nel corso dei mesi, però, Valerio riuscirà ad instillare il dubbio che possa esserci di mezzo un errore giudiziario e che potrebbero ritrovarsi a giustiziare un innocente. Così, lentamente, i due carcerieri inizieranno a vacillare nelle proprie sicurezze fino a domandarsi se sia davvero rilevante una distinzione tra “colpevole” e “innocente”, là dove la morte è privazione di vita per qualunque essere umano e non ha nulla a che vedere con il senso più profondo di “giustizia”.
Petricore è un racconto in chiave ironica di una tragedia che ancora troppo spesso si consuma in diverse parti del mondo. Il testo, attraverso una scrittura brillante e curata, si preoccupa di non essere mai pesante riuscendo di tanto in tanto a strappare un sorriso allo spettatore che si ritroverà dapprima in un luogo senza tempo, una prigione nera, uno spazio quasi claustrofobico dove “non c’è più nemmeno giorno e notte e tutto è identico”, per poi essere catapultato all’interno di una camera per le esecuzioni per assistere all’iniezione letale.

Lo spettacolo è patrocinato dall’Associazione “Nessuno Tocchi Caino” e da “Calabria Movie”. Media Partner: “Rai News”.

Il cast si compone di alcune giovanissime eccellenze del teatro italiano: Matteo Cirillo (“Che Disastro di Commedia”, “Che Disastro di Peter Pan”, “I Nasoni Raccontano” e numerosi film); Leonardo Bocci, noto al pubblico da diversi anni per aver scritto diretto e interpretato diverse Comedy del web e protagonista di numerosi spettacoli teatrali; Simone Guarany, attore, regista e autore di numerosi successi a teatro.
La regia è sapientemente guidata dall’attrice, autrice e regista Licia Amendola, che insieme a Guarany ne ha curato anche la scrittura. Entrambi vengono direttamente dal loro ultimo successo “Caso, Mai - L’imprevedibile Virtù della Dignità” del quale sono anche registi e attori e che sarà presto trasposto al Cinema. Completa il cast la prestigiosa voce di Giorgio Gobbi, il famoso Ricciotto del capolavoro “Il Marchese del Grillo”.
Aiuto Regia: Giulia Bornacin Assistente Regia: Filippo Gentile Scenografia: Francesca Meloni Costumi: Jenni Altamura Musiche/Effetti: Simone Martino
Disegno Luci: Giulia Bornacin - Licia Amendola

Lo spettacolo si propone come uno spaccato della società moderna. Si raccontano le paure e le gioie dei lavoratori più giovani ma anche più ampiamente ciò che turba o rende felice un essere umano. Con un linguaggio fresco e vicinissimo alle nuove generazioni, lo spettacolo vuole porsi il grande obiettivo di riportare le persone a teatro per riscoprire la vera poesia del palcoscenico donando loro spunti di riflessione profondi da custodire e portare con sé una volta lasciata la porta del Teatro alle spalle.
Il tema trattato, che unisce la violenza di genere al giustizialismo fino ad arrivare ad una critica più profonda di quello che è il modo di vivere oggi, cerca di parlare in maniera trasversale a tutti, perfino ai giovanissimi, prestandosi di gran lunga ad essere rappresentato oltre che nei teatri, anche in matinée per le scuole.
La pena di morte, tema centrale dello spettacolo e arguta escamotage per poter raccontare il tema del carcere e del giustizialismo, è un fatto tristemente noto di cui si parla pochissimo soprattutto in Italia; con il nostro spettacolo speriamo di poter portare sensibilità a tutti quelli che lo vedranno, perché siamo certi che una delle principali missioni del Teatro, così come del Cinema e delle Arti in generale, sia quella di scuotere l’animo umano fornendogli una fonte d’ispirazione utile a porsi quelle domande esistenziali che sono spesso occasione di cambiamento e crescita umana.
I biglietti sono disponibili direttamente presso il Teatro Cometa Off in via Luca della Robbia, 47 (angolo Piazza Testaccio). Il costo è di €20,00 comprensivo di prevendita.
Lo spettacolo va in scena dal 22 al 27 ottobre, con inizio alle ore 21.00, tranne domenica 27 ottobre, con lo spettacolo che inizia alle 18:00
Per informazioni e prenotazioni telefonare al numero 06.57284637, oppure scrivere a cometa.off@cometa.org



LA CAMPAGNA GLOBALE PER PORRE FINE ALLE ESECUZIONI IN IRAN OTTIENE IL SOSTEGNO DI 1.500 PERSONALITÀ DI 78 PAESI
L'Iran Human Rights Monitor (Iran HRM) ha rilasciato il 10 ottobre un'importante dichiarazione che fa eco all'appello globale per porre fine alle esecuzioni in Iran, con il sostegno di 1.500 personalità di 78 Paesi, in risposta all'appello di Maryam Rajavi.
La dichiarazione sottolinea l'allarmante aumento delle esecuzioni sotto Masoud Pezeshkian, presidente del regime, con centinaia di prigionieri, tra cui donne, giustiziati nel solo mese di agosto 2024.
Citando i dati di Amnesty International, l'Iran HRM osserva che l'Iran ha rappresentato il 74% di tutte le esecuzioni registrate nel mondo nel 2023, una tendenza che si è intensificata sotto la guida di Pezeshkian. Nel marzo 2024, la Missione internazionale indipendente di accertamento dei fatti sull'Iran (FFMI) ha riferito che molte condanne a morte sono state emesse dopo processi “sommari”.
La FFMI ha concluso che diverse violazioni dei diritti umani da parte del regime iraniano equivalgono a “crimini contro l'umanità”, tra cui omicidi, imprigionamenti, torture e violenze sessuali.
Il relatore speciale delle Nazioni Unite sull'Iran, il professor Javaid Rehman, ha fatto eco a queste preoccupazioni nel suo rapporto del luglio 2024, che ha etichettato il massacro di 30.000 prigionieri politici del 1988 come “genocidio” e ha evidenziato il continuo ricorso del regime a esecuzioni di massa, torture e altri atti disumani contro l'opposizione con “intento genocida”.
L'Iran HRM sottolinea anche l'uso delle esecuzioni da parte del regime come strumento per reprimere il dissenso e instillare la paura nella popolazione. “Le autorità iraniane stanno usando queste esecuzioni per scopi politici, cercando di instillare paura e terrore per prevenire potenziali rivolte”, si legge nella dichiarazione.
Dall'inizio del 2024, i prigionieri politici di 22 carceri iraniane hanno messo in atto scioperi della fame settimanali nell'ambito della campagna “No alle esecuzioni”, che si è diffusa sia in Iran che nel mondo. In risposta a questa campagna, i dissidenti iraniani e gli attivisti per i diritti umani hanno appoggiato l'appello di Maryam Rajavi per l'abolizione della pena di morte. La signora Maryam Rajavi, presidente eletto dell'NCRI, ha ribadito la sua posizione durante la Conferenza internazionale dei giuristi del 24 agosto 2024, a Parigi.
L'Iran HRM conclude la sua dichiarazione invitando la comunità globale a rimanere unita contro le violazioni dei diritti umani del regime e a sostenere la campagna “No alle esecuzioni” in corso.
Di seguito il testo integrale della dichiarazione dell'Iran HRM:
Appello globale per il “No alle esecuzioni” in Iran
Secondo Amnesty International, “l'Iran da solo ha rappresentato il 74% di tutte le esecuzioni registrate” nel mondo nel 2023. Questa tendenza allarmante si è intensificata dopo l'insediamento del nuovo presidente. Solo nel mese di agosto 2024 sono stati giustiziati oltre 100 prigionieri, tra cui 10 donne, a dimostrazione della persistenza di questo modello.
Tra i giustiziati ci sono diversi dissidenti politici, tra cui Reza Rasaei, arrestato durante la rivolta del novembre 2022 a Shahriar, nella provincia di Teheran.
Nel suo ultimo rapporto del marzo 2024, la Missione internazionale indipendente di accertamento dei fatti sull'Iran (FFMI) ha scritto: “I procedimenti giudiziari che hanno portato alle condanne a morte si sono svolti in modo sommario, nonostante i ripetuti appelli delle autorità statali ad accelerare i processi e a procedere alle esecuzioni”. L'FFMI ha dichiarato che “molte delle gravi violazioni dei diritti umani descritte nel presente rapporto equivalgono a crimini contro l'umanità, in particolare quelle di omicidio, imprigionamento, tortura, stupro e altre forme di violenza sessuale”.
Nel suo ultimo rapporto di luglio, intitolato “Crimini di atrocità e gravi violazioni dei diritti umani”, il professor Javaid Rehman, relatore speciale delle Nazioni Unite sulla situazione dei diritti umani in Iran, ha descritto il massacro del 1988, durante il quale furono giustiziati 30.000 prigionieri politici, come un “crimine contro l'umanità” e un “genocidio” e ha scritto: “Ci sono prove considerevoli che le uccisioni di massa, le torture e altri atti disumani contro i membri del PMOI sono stati condotti con intento genocida”.
Le autorità iraniane stanno usando queste esecuzioni per scopi politici, cercando di instillare paura e terrore per prevenire il potenziale scoppio di rivolte da parte del popolo iraniano. Pertanto, qualsiasi esecuzione effettuata sotto la teocrazia al potere dovrebbe essere riconosciuta come di natura politica. Purtroppo, a livello globale, la mancanza di risposta alla soppressione, ai massacri e alle esecuzioni in corso nei decenni precedenti ha incoraggiato il regime clericale a persistere nella soppressione e nella tortura, in particolare attraverso le esecuzioni.
Dall'inizio del 2024, i prigionieri politici di 20 carceri iraniane hanno iniziato uno sciopero della fame ogni martedì nell'ambito della campagna “No alle esecuzioni” per fermare le esecuzioni in Iran. Questa campagna si sta espandendo all'interno delle carceri iraniane. Inoltre, al di fuori dell'Iran è sorto un movimento significativo a sostegno di questa causa.
In questo contesto, appoggiamo e sosteniamo l'appello di Maryam Rajavi a porre fine alle esecuzioni in Iran e il suo fermo impegno per l'abolizione della pena di morte, come delineato nel suo Piano in dieci punti per il futuro dell'Iran negli ultimi due decenni. Ha riaffermato questo appello alla Conferenza internazionale dei giuristi il 24 agosto 2024, a Parigi.
(Fonte: ncr-iran.org)

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