NESSUNO TOCCHI CAINO - SEPARARE LE CARRIERE DI GIUDICE E PUBBLICO MINISTERO? CHIEDIAMOCI PIUTTOSTO COME MAI SIANO UNITE
NESSUNO TOCCHI CAINO – SPES CONTRA SPEM |
Associazione Radicale Nonviolenta |
Anno 25 - n. 6 - 08-02-2025 |
LA STORIA DELLA SETTIMANA SEPARARE LE CARRIERE DI GIUDICE E PUBBLICO MINISTERO? CHIEDIAMOCI PIUTTOSTO COME MAI SIANO UNITE NEWS FLASH 1. L’AUSPICATA SEPARAZIONE DELLE CARRIERE DAL PUNTO DI VISTA DI UN ASSIDUO DA TRENT’ANNI FREQUENTATORE DI TRIBUNALI 2. SUD SUDAN: IMPICCATO PER LO STUPRO E OMICIDIO DI UNA BAMBINA 3. IRAN: 87 ESECUZIONI A GENNAIO 4. SINGAPORE: EX POLIZIOTTO IMPICCATO PER DUPLICE OMICIDIO SEPARARE LE CARRIERE DI GIUDICE E PUBBLICO MINISTERO? CHIEDIAMOCI PIUTTOSTO COME MAI SIANO UNITE Tullio Padovani Se è pacifico che le funzioni di giudice e di pubblico ministero sono eterogenee, ed anzi, potenzialmente conflittuali, a quale titolo si giustifica l’omogeneità della carriera nel contesto di un unico «ordine»? Il problema non consiste nel decidere se è necessario separare le loro carriere, quanto piuttosto nell’interrogarsi come mai siano unite. Perché – si dice – essi devono condividere un’uguale «cultura della giurisdizione». Rompendo il legame dell’appartenenza ad un unico «ordine», il pubblico ministero uscirebbe dal seminato del diritto e si trasformerebbe in una sorta di pianta selvatica. Ma se per “giurisdizione” si intende lo ius dicere, e cioè la risoluzione di un conflitto in base alla legge, si tratta di ciò che qualifica specificamente il giudice. Se viceversa si vuol accedere ad una nozione lata, concependo la giurisdizione come svolgimento di un’attività regolata dalla legge e strumentale per la risoluzione del conflitto da parte del giudice, bisogna convenire che la comunanza invocata per il pubblico ministero coinvolge in realtà l’intero ceto forense, ed in particolare anche la sua terza, indefettibile componente, costituita dall’avvocato difensore. La cultura della giurisdizione, intesa in questo senso lato, autorizzerebbe l’unicità delle carriere, a condizione che ad essa concorressero tutti i componenti del ceto forense. Ma – si dice – un pubblico ministero con carriera distinta e separata da quella del giudice finirebbe preda della funzione di governo; sarebbe alle dipendenze dell’esecutivo. Se si tratta di ipotizzare un vincolo di dipendenza gerarchica, il discorso finisce prima di cominciare, perché «il pubblico ministero gode delle garanzie stabilite nei suoi riguardi dalle norme sull’ordinamento giudiziario» (art. 107, comma 4° Cost.): non certo di tutte le garanzie stabilite nei confronti del giudice, ma di garanzie deve trattarsi; e un vincolo di dipendenza gerarchica non si iscriverebbe in quest’orbita. Ma in effetti la questione dell’esercizio del potere d’accusa non si pone in termini di vincolo gerarchico. Il problema è il controllo sull’esercizio di tale potere “anomico e terribile”, per riprendere l’efficace espressione di Antoine Garapon. Infatti – scriveva Giovanni Falcone – «se il potere dell’accusa non comporta responsabilità, tutti la temono, sono tutti terrorizzati dai pm. Il pm si presenta come un’ombra nefasta in qualunque contesto». Ma – si obietta – il pubblico ministero è gravato da un obbligo costituzionale di esercitare l’azione penale: indistintamente, indefettibilmente, incondizionatamente, quale garanzia di uguaglianza e di parità di trattamento. Ma pur attribuendo al pm la più ferma intenzione di assolvere a questo impegno, è impossibile ch’egli possa realizzarla, dato il numero delle pendenze in attesa. La legge stessa impone criteri di priorità nella trattazione; la loro osservanza implica necessariamente retrocessione e poi abbandono di una cospicua quota di fascicoli. Per essi, un tempo operava la tagliola della prescrizione. Ora, una volta introdotti vincoli temporali più cogenti per definire i procedimenti, è logico supporre che il canale di scolo per i casi “negletti” sarà rappresentato dalla richiesta di archiviazione. In un simile contesto, ha senso invocare l’art. 112 Cost.? Si tratta in realtà di decidere come debba essere disciplinato il potere d’accusa nel vasto e potenzialmente selvaggio territorio delle indagini preliminari, il cui tasso di legalità dipende da una mera «notizia di reato» (quando pure sussiste), e cioè dal simulacro, o dal segmento, di un eventuale, reato. L’esercizio del potere di accusa evoca direttive trasparenti, controllo efficiente, verifica puntuale e responsabilità definite; perché in esso si colloca il nervo motore della legalità. A mo’ di chiusura, il viatico di un ricordo. Dopo un pomeriggio speso ad ascoltare, in un convegno sul nuovo codice, lamentazioni di pm dolenti per la presunta perdita di dignità e potere, passeggiavo con un caro amico, pm insigne destinato a maggior gloria. «Quei minchioni – disse prendendomi sotto braccio – non hanno capito un bel nulla. Non si rendono conto che ora siamo noi i padroni del processo, e ne faremo quello che vogliamo». Confesso che allora mi sembrò un delirio o un miraggio. Imparai poi che, mentre io ero cieco, lui aveva semplicemente visto lontano: per quanto riguarda le sorti di questo Paese anche troppo. NESSUNO TOCCHI CAINO - NEWS FLASH L’AUSPICATA SEPARAZIONE DELLE CARRIERE DAL PUNTO DI VISTA DI UN ASSIDUO DA TRENT’ANNI FREQUENTATORE DI TRIBUNALI Emiliano Silvestri Il 16 gennaio scorso la Camera dei Deputati ha finalmente – la prima discussione in Assemblea risale al 9 dicembre 2024 – approvato in prima lettura il disegno di legge costituzionale contenente, tra l’altro, la separazione delle carriere tra magistrati della pubblica accusa e colleghi della magistratura giudicante. Oltre alle forze di governo (il DDL porta la firma del Presidente Meloni e del Ministro Nordio) il provvedimento ha raccolto il consenso dei deputati di Azione e +Europa e l’astensione di quelli di Italia Viva: opposizione divisa e risultato di 174 voti a favore, 92 contrari e 5 astenuti. Molti sono i critici di questa riforma, a partire dagli esponenti di Magistratura Democratica che hanno proposto di abbandonare, presa la parola il ministro o uno dei suoi delegati, le aule delle celebrazioni per l’inaugurazione dell’anno giudiziario; per arrivare all’Associazione Nazionale Magistrati che, condivisa quella proposta, ha deciso anche una giornata di sciopero della categoria per il prossimo 27 febbraio. Non sono un giurista e non entrerò nei tecnicismi di questa riforma. Ritengo, però, non sia inutile offrire il mio ricordo di assiduo frequentatore – prima come tecnico poi anche come giornalista di Radio Radicale – delle aule del Palazzo di Giustizia di Milano in anni ormai lontani. Chi fosse entrato in una di quelle aule prima del 24 ottobre 1989, giorno in cui entrava in vigore il “nuovo” Codice di Procedura Penale (Pisapia-Vassalli), si sarebbe trovato di fronte a una grande cattedra posta su di una pedana. Dietro questa cattedra avrebbe visto seduti affiancati i giudici del Tribunale, il Presidente del collegio giudicante e il Pubblico Ministero; questi ultimi due seduti su poltrone con uno schienale più alto degli altri; oltre la loro nuca. Uno schieramento inquisitorio destinato a preoccupare non poco l’imputato che, dal basso come il suo difensore, guardava tale rappresentazione della potenza dello Stato; era forse questo il proposito del legislatore fascista autore del Codice di Procedura Penale del 1931 (come del Codice Penale tuttora in vigore, peraltro). Dopo la riforma del 1989 le cose cambiarono. Il Pubblico Ministero veniva sistemato in aula, di fronte al Tribunale. Al suo fianco, all’altro lato dell’aula, sedeva l’avvocato difensore. Per motivi probabilmente legati a carenza di fondi il P.M. manteneva la sua poltrona con l’alto schienale mentre l’avvocato difensore sedeva su di una normale sedia, talvolta imbottita. Un altro retaggio del passato, questo non imputabile a questioni di bilancio, si manifestava all’atto del ritiro in Camera di Consiglio dei magistrati giudicanti. Il Presidente comunicava un’ipotesi di orario per la lettura del dispositivo della sentenza. Invitava gli avvocati a presentarsi all’ora stabilita (che poteva comportare attese anche non brevi) e comunicava al Pubblico Ministero che sarebbe stato avvisato, tramite telefonata al suo ufficio, nell’imminenza del rientro in aula dei magistrati. Il 23 novembre 1999, entrò in vigore il nuovo art. 111 della Costituzione e, probabilmente, certe abitudini cominciarono a cambiare. Più difficilmente la forma mentale dei giudici, abituati a considerare i rappresentanti della pubblica accusa come colleghi, cui magari dare del “tu” e gli Avvocati come ospiti, più o meno graditi. I fautori della separazione delle carriere possono essere lieti di questo primo passo di un lungo percorso. A mitigare la loro soddisfazione provvedono, però, altre notizie. La prima è l’oblio su Marco Pannella che, con il Partito Radicale, per primo propose la separazione delle carriere, anche con referendum. Fu portato alle urne il 21 maggio del 2000, ma non ebbe effetto per mancato raggiungimento del quorum, anche se il 69% dei votanti (32% degli aventi diritto) condivise la proposta. La seconda è relativa al decreto sicurezza approvato dal Senato il 17 gennaio scorso: 90 milioni di euro vengono messi a disposizione di un commissario che dovrebbe sovrintendere alla costruzione di nuove, futuribili, carceri (nel frattempo in galera, carcerati e agenti continueranno a suicidarsi). Di per sé, una decisione non necessariamente terribile; se non fosse che i fondi vengono reperiti da tre poste di bilancio: il fondo per la magistratura onoraria; il fondo per la giustizia riparativa; i fondi destinati a ristorare, da una parte dei danni subiti con la detenzione, le vittime di errori giudiziari. Scelta destinata a raffreddare qualunque entusiasmo; a getta re un ulteriore tetro mantello sul futuro del sistema penale di questo nostro disgraziato Paese. SUD SUDAN: IMPICCATO PER LO STUPRO E OMICIDIO DI UNA BAMBINA Un uomo è stato impiccato nel Sud Sudan il 29 gennaio 2025 per lo stupro e omicidio di una bambina di cinque anni, commessi nel 2022. Sabir Abdallah Abusam, 42enne commerciante sudanese, è stato giustiziato verso le due del pomeriggio nella Prigione Centrale di Wau, capitale dello stato del Bahr el-Ghazal Occidentale. Dopo aver commesso il crimine, l’uomo avrebbe gettato il corpo della bambina, che si chiamava Abuk Lual, in una latrina, ad Aweil, capitale dello stato del Bahr el-Ghazal Settentrionale. L'esecuzione è avvenuta alla presenza del governatore del Bahr el-Ghazal Settentrionale, Simon Mawut, dei genitori della vittima e di magistrati del Sud Sudan. L'avvocato difensore Garang Akok Mading ha confermato l'avvenuta esecuzione, affermando che giustizia è stata fatta. "Oggi vogliamo assicurare in generale all’opinione pubblica del Sud Sudan e in particolare a quella del Bahr el-Ghazal Settentrionale che il caso della vittima Abuk è stato chiuso. Il criminale, Sabir Abdallah Abusam, è stato giustiziato", ha affermato Mading. "La condanna di Abusam è stata eseguita oggi alle 14:10 alla presenza del governatore, dei genitori della vittima Abuk Lual e di uno zio. È stata fatta giustizia", ha detto. Anche il ministro dell'Informazione statale, Gabriel Deng Yel, ha accolto con favore l’esecuzione, affermando che la legge del Sud Sudan non consente che i crimini restino impuniti. "Il nostro scopo principale nel venire a Wau era assistere all'esecuzione di Sabir Abdallah, l'uomo che ha profanato il nostro giovane angelo Abuk Lual", ha affermato Yel. "La legge della Repubblica del Sud Sudan ha chiarito che nessun crimine rimane impunito. Sebbene ci fossero alcuni dubbi sulla possibilità che il colpevole potesse scappare, l'esecuzione ha dimostrato che stiamo lavorando secondo la legge", ha affermato. Il coordinatore statale per la Community Empower for Progress Organization, Stephen Musa Robo, ha accolto con favore l’esecuzione, descrivendola come una lezione per i colpevoli. "Il Paese ha un sistema giudiziario e la giustizia segue il suo corso. È una lezione per tutti i colpevoli. Accogliamo con favore l'esecuzione", ha affermato Robo. La famiglia di Abuk Lual ha detto di apprezzare l’impegno del governatore e delle autorità per garantire giustizia. Abusam era stato condannato a morte per impiccagione nel maggio 2022 dall'Alta Corte di Aweil dopo essere stato dichiarato colpevole dello stupro e omicidio della bambina. La corte d'appello dello stato di Bahr el Ghazal Occidentale nel settembre 2022 ha confermato la condanna a morte. Sabir era stato arrestato il 5 maggio 2022 nell'area residenziale di Ayuang ad Aweil, a seguito di manifestazioni pubbliche di protesta contro l’omicidio. (Fonti: Radiotamazuj, 30/01/2025; Eyeradio, 29/01/2025) IRAN: 87 ESECUZIONI A GENNAIO Nel gennaio 2025 almeno 87 prigionieri sono stati giustiziati nelle carceri della Repubblica Islamica dell'Iran. Questa cifra rappresenta un aumento del 17,5% rispetto al gennaio 2024, quando furono giustiziati 74 prigionieri. Il Centro Statistiche e Documenti dell'Organizzazione per i Diritti Umani Hengaw ha confermato l'identità di 82 prigionieri giustiziati, mentre l'identità di altri cinque è ancora oggetto di indagine. Le esecuzioni di gennaio hanno riguardato almeno 7 prigionieri curdi, 10 prigionieri Lor e 4 prigionieri di etnia baluca. Inoltre, sono stati giustiziati almeno 8 cittadini afghani. Il mese scorso non sono state registrate esecuzioni di donne o bambini sotto i 18 anni. Degli 87 prigionieri giustiziati, solo tre sono stati riportati ufficialmente dai media iraniani affiliati allo Stato o da organi giudiziari. Inoltre, sei prigionieri sono stati giustiziati in segreto, senza che le loro famiglie fossero informate o ricevessero una visita finale. Classificazione in base alle accuse: La maggior parte delle esecuzioni a gennaio è avvenuta per accuse di omicidio, pari al 57,5% dei casi totali: Omicidio (Qisas): 50 casi Reati legati alle droghe: 35 casi Stupro: 2 casi (Fonte: Hengaw) Per saperne di piu' : SINGAPORE: EX POLIZIOTTO IMPICCATO PER DUPLICE OMICIDIO Un ex poliziotto è stato giustiziato a Singapore il 5 febbraio 2025 per gli omicidi di due persone, commessi nel 2013. La polizia ha comunicato che la pena capitale è stata eseguita nei confronti di Iskandar Rahmat, dopo che le sue richieste di clemenza al presidente di Singapore non hanno avuto successo. Iskandar, un singaporiano di 46 anni, si trovava nel braccio della morte dal 2017. Era stato dichiarato colpevole degli omicidi di due uomini, il proprietario di un'officina auto e suo figlio, ed era stato condannato a morte il 4 dicembre 2015. La Corte d'appello aveva confermato la colpevolezza e la sentenza capitale il 3 febbraio 2017, ha detto la polizia. La pena capitale è imposta a Singapore solo per i crimini più gravi, tra cui l'omicidio, ha aggiunto. Iskandar, un veterano di 14 anni della polizia, aveva commesso gli omicidi il 10 luglio 2013. Diverse persone avevano visto Iskandar mentre fuggiva a bordo di una Toyota Camry lungo Upper Serangoon Road, trascinando Tan Chee Heong, 42 anni, sotto l'auto. La scia di sangue ha portato a una casa su Hillside Drive, a circa 1 km di distanza, dove giaceva il corpo del padre della prima vittima, Tan Boon Sin di 67 anni, con numerose ferite da taglio. Dopo una caccia all'uomo durata 54 ore, Iskandar fu arrestato a Johor Bahru, in Malesia. In precedenza aveva escogitato un piano per derubare l’anziano Tan dei soldi custoditi in una cassetta di sicurezza presso Certis Cisco, per evitare un possibile licenziamento per la sua situazione finanziaria. Ha messo in atto il suo piano un giorno prima della scadenza per effettuare un pagamento forfettario di 50.000 dollari di Singapore (36.972 dollari USA) per saldare il suo debito bancario di 65.000 dollari di Singapore. Nel condannare Iskandar nel 2015, l'Alta Corte aveva respinto la tesi della difesa secondo cui l’uomo aveva intenzione di rapinare e scappare, ma che era stato costretto a difendersi da Tan Boon Sin, che era armato di coltello. Secondo la difesa, l'uomo anziano era morto per le ferite riportate durante la colluttazione. (Fonte: CNA, 05/02/2025) |
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