NESSUNO TOCCHI CAINO - IRAN: SCIOPERO DELLA FAME CONTRO LE ESECUZIONI, UNA FURIA SENZA PRECEDENTI SOTTO IL ‘MODERATO’ PRESIDENTE PEZESHKIAN
NESSUNO TOCCHI CAINO – SPES CONTRA SPEM |
Associazione Radicale Nonviolenta |
Anno 25 - n. 19 - 10-05-2025 |
LA STORIA DELLA SETTIMANA IRAN: SCIOPERO DELLA FAME CONTRO LE ESECUZIONI, UNA FURIA SENZA PRECEDENTI SOTTO IL ‘MODERATO’ PRESIDENTE PEZESHKIAN NEWS FLASH 1. SONO ENTRATO IN CARCERE A 15 ANNI E OGGI NE HO 44. SOLO DA POCO HO SCOPERTO L’ESISTENZA DI EDUCATORI 2. ADERISCI ALLO SCIOPERO DELLA FAME PER LA RIDUZIONE DI UN ANNO DI PENA A TUTTI I DETENUTI 3. TRUMP RIAPRE ALCATRAZ, UN OLTRAGGIO ALLA MEMORIA DI PAPA BERGOGLIO E NELSON MANDELA 4. ARABIA SAUDITA: ALMENO 100 PERSONE GIUSTIZIATE DA INIZIO ANNO IRAN: SCIOPERO DELLA FAME CONTRO LE ESECUZIONI, UNA FURIA SENZA PRECEDENTI SOTTO IL ‘MODERATO’ PRESIDENTE PEZESHKIAN Virginia Pishbin Sono trascorse circa 66 settimane dall’inizio della campagna “No to executions Tuesday”, lo sciopero della fame settimanale, ogni martedì, avviato dai prigionieri politici nel gennaio 2024, a cui aderiscono detenuti in 41 carceri in tutto il Paese, ma anche organizzazioni internazionali per i diritti umani come Nessuno tocchi Caino che partecipa allo sciopero con la sua Tesoriera Elisabetta Zamparutti. La recente ondata di esecuzioni in Iran è l’ennesima riprova delle brutali tattiche del regime per reprimere il dissenso e mantenere il controllo. Secondo una ricerca del Consiglio nazionale della resistenza iraniana (NCRI), il principale gruppo di opposizione iraniano, in una sola settimana, dal 9 al 15 aprile, sono stati giustiziati 47 individui, tra cui 17 della minoranza baluci. In un solo giorno, il 15 aprile, ne sono stati impiccati 10, tra cui Mehdi Motavali, un ventenne impiccato ad Arak che aveva meno di 18 anni al momento del presunto reato. Questa ondata di brutalità è un disperato tentativo della Guida Suprema del regime, Ali Khamenei, di incutere timore e prevenire le rivolte. La furia di impiccagioni non si è fermata nei giorni successivi. Tra il 21 e il 23 aprile, sono stati giustiziati in Iran 22 prigionieri, in media uno ogni tre ore, segnando un forte incremento di un bilancio in continua crescita da quando il presidente Masoud Pezeshkian è entrato in carica lo scorso luglio. Il lunedì ne sono stati impiccati 8. Il martedì altri 6. Il mercoledì altri 8. A conti fatti, almeno 110 persone sono state giustiziate nel solo mese di aprile 2025, tra cui tre donne, quattro cittadini afghani, 35 baluci, 6 curdi e uno della minoranza araba. Il numero di esecuzioni nei primi quattro mesi del 2025 è stato superiore del 75% rispetto allo stesso periodo del 2024. Se aprile si è chiuso con 14 esecuzioni l’ultimo giorno del mese, maggio si è aperto con l’esecuzione di tre uomini e una donna il primo giorno del mese. Altri 8 uomini sono stati impiccati il 4 maggio e altri 7 il 5 maggio, nel giorno in cui finisco di scrivere questo articolo. Con l’avvicinarsi della fine del suo mandato, la Guida Suprema Ali Khamenei intensifica le esecuzioni, arrivate a 1.105 durante il mandato del suo tirapiedi Pezeshkian, un numero senza precedenti in tre decenni. “Sebbene sia stato descritto come un presidente più ‘moderato’, l’uso della forca durante il suo mandato è aumentato, in particolare nei confronti di individui arrestati per reati legati alla droga, dissenso e partecipazione alle proteste del 2022,” ha detto Hossein Abedini, vicedirettore degli uffici del CNRI nel Regno Unito. La signora Maryam Rajavi, presidente eletta del CNRI, annunciando la campagna “No alle esecuzioni” nel settembre 2024, aveva dichiarato: “Abbiamo sempre sostenuto che l’unico modo per affrontare questo regime di esecuzioni e massacri è attraverso la protesta, la ribellione e l’espansione della resistenza volta a rovesciarlo. La comunità internazionale deve andare oltre l’obsoleta politica di accondiscendenza nei confronti del regime del Velayat-e Faqih (potere assoluto religioso) di Teheran”. “Dopo aver subito significative battute d’arresto nella regione e aver affrontato la crescente minaccia di un rovesciamento, il regime ha brutalmente intensificato esecuzioni e massacri. Emettere condanne a morte per prigionieri politici arrestati durante o dopo la rivolta è l’ennesimo tentativo di intimidire la popolazione indignata e dimostra ulteriormente la paura del regime di una rivolta.” Il regime clericale ha costantemente tentato di usare le crisi esterne per distogliere l’attenzione dal suo problema principale: l’oppressione della popolazione interna. I governi dei paesi democratici dovrebbero condizionare le loro relazioni con il regime dei mullah al fine di contrastare le esecuzioni e riconoscere il diritto del popolo iraniano a lottare per il suo rovesciamento. Una cosa è certa: questo regime non può sfuggire alla sua inevitabile caduta. La determinazione delle donne e dei giovani di questa nazione è incrollabile, dedita alla lotta fino alla fine per la libertà. Tra i prigionieri politici ora nel braccio della morte, ci sono Mehdi Hassani e Behrouz Ehsani, le cui vite sono in “grave pericolo” dopo che le loro richieste di un nuovo processo sono state respinte dagli spietati comandanti iraniani. La Resistenza iraniana ha ripetutamente chiesto un intervento globale per fermare lo spargimento di sangue del regime. La comunità internazionale non può rimanere in silenzio di fronte a tali atrocità. Le Nazioni Unite, l’Unione Europea e le organizzazioni per i diritti umani condannino queste azioni e adottino misure urgenti per proteggere coloro che sono a rischio. L’imperativo è dar voce a coloro che sono stati messi a tacere. La loro sofferenza non deve essere vana. NESSUNO TOCCHI CAINO - NEWS FLASH SONO ENTRATO IN CARCERE A 15 ANNI E OGGI NE HO 44. SOLO DA POCO HO SCOPERTO L’ESISTENZA DI EDUCATORI Patrizia Ferragina* Nei Laboratori di Nessuno tocchi Caino che si svolgono ogni mese nel carcere di Opera, i nostri amici scendono dai Reparti inizialmente per reagire alla tentazione di rendersi immobili, “legati agli invisibili fili tenaci che li tengono inchiodati alle brandine delle celle… fino a pensare di essere divenuti di ferro” (Maria Teresa Di Lascia, Passaggio in ombra, Feltrinelli 1995), poi negli incontri la discussione e il confronto si animano e fanno sì che sia noi di “fuori” che loro di “dentro” semplicemente restiamo umani. Il momento più difficile è quello dei saluti. Lo scorso 12 aprile Roberto Rampi su queste pagine scriveva della “potenza liberatrice della cultura” e di come “gli strumenti culturali e la loro assenza sono un elemento costante della esperienza carceraria”. Non credo sia banale estendere il ragionamento ai quartieri disagiati delle nostre città, con l’obiettivo e la speranza di risparmiare l’esperienza del carcere alle persone che abitano le periferie e costituiscono inevitabilmente un esercito di riserva per la criminalità organizzata. Eraldo Affinati un anno fa su La Stampa, dopo uno dei tanti episodi incresciosi accaduti al Beccaria di Milano, ammoniva: “Se non ci prendiamo cura dei nostri ragazzi, specie i più fragili e inquieti, è come se avvelenassimo i pozzi della coscienza collettiva mettendo il piombo sulle ali del futuro. Nella mia vita di insegnante di Lettere negli istituti professionali delle borgate romane ho conosciuto tanti adolescenti, alcuni dei quali, si capiva subito, erano sempre sul punto d i compiere reati: camminavano sul crinale, tra famiglie improponibili e amicizie pericolose, rischiando di precipitare nell’abisso.” A me sembra che il non prendersi cura è quello che si sta facendo da decenni, cercando di contrastare il fenomeno della devianza con “leggi speciali” e costruzioni di nuove carceri. Ed è proprio ciò che dice Costanzo Apice a conclusione del suo racconto: “vorrei parlare a cuore aperto con i ragazzini del carcere minorile e cercare di salvarne quanti più possibile. Magari lo avessero fatto per me trent’anni fa!” Le Istituzioni e la società civile avrebbero bisogno di ascoltare con maggiore attenzione chi ha sbagliato, e fare tesoro delle sue parole. * iscritta a Nessuno tocchi Caino, volontaria nel Carcere di Opera --------- Costanzo Apice* C’è un momento della mia vita che ho percorso con il pensiero tante di quelle volte che mi sembra la scena di un film. Avevo 13 anni, io e mia sorella più piccola siamo davanti a mia madre che piange perché non ha i soldi per comprare da mangiare per noi. In preda alla rabbia non seppi fare altro che andare a rubare. Non avevo un padre, mia madre era iscritta all’ufficio di collocamento ma non ha mai avuto un lavoro, forse, se le cose fossero andate diversamente non sarei qui a raccontare la mia storia… Sono entrato in carcere a 15 anni e oggi ne ho 44. Solo pochi anni fa ho scoperto l’esistenza di educatori e psicologi, prima non sapevo nemmeno cos’era il percorso rieducativo. Per me il carcere significava punizione, e io ero sempre arrabbiato e ribelle. L’unica cosa che mi faceva stare bene erano i colloqui, giocare a pallone e imparare a cucinare. Oggi quando guardo indietro penso che se allora avessi incontrato una educatrice come la persona che mi segue attualmente sono sicuro che mi sarei risparmiato tanta galera, avrei risparmiato tante sofferenze ai miei parenti, e soprattutto non sarebbe stata mia la mano che ha impugnato l’arma che ha causato dolori e patimenti infiniti ad altre famiglie. Sono sposato e ho avuto tre figli, ma un anno e mezzo fa abbiamo perso Salvatore, il primogenito. Questo profondo dolore mi ha cambiato, mi ha aperto gli occhi, facendomi pensare a quanta sofferenza ho causato ad altre persone. Il resto lo ha fatto la mia educatrice, affiancandomi volontari e psicologa, e facendomi seguire dei corsi. Qualcuno dirà che ha fatto il suo lavoro, ma io dico che ha fatto di più, perché ha messo amore nel suo lavoro. Dopo tutto questo oggi io sono una persona diversa, e sono felice di esserlo. Quello che hanno fatto per me vorrei farlo io per gli altri, magari parlare a cuore aperto con i ragazzini del carcere minorile e cercare di salvarne quanti più possibile. Magari lo avessero fatto per me trent’anni fa! * detenuto nel Carcere di Opera ADERISCI ALLO SCIOPERO DELLA FAME PER LA RIDUZIONE DI UN ANNO DI PENA A TUTTI I DETENUTI Rita Bernardini sta portando avanti uno sciopero della fame dalla mezzanotte del 23 aprile 2025 per due obiettivi: 1. dare forza all’Appello di Nessuno tocchi Caino rivolto ai parlamentari per UN ANNO DI RIDUZIONE DI PENA per TUTTI i DETENUTI, in memoria di PAPA FRANCESCO e MARCO PANNELLA (testo riportato in basso) 2. eliminare dal Decreto-legge “Sicurezza” tutte le parti incostituzionali e, in particolare, sia il nuovo reato di resistenza passiva nelle carceri e nei Cpr, sia la nuova normativa sulle detenute madri. Per aderire allo sciopero della fame: https://nessunotocchicaino.it/ APPELLO DI NESSUNO TOCCHI CAINO AI PARLAMENTARI PER LA RIDUZIONE DI UN ANNO DI PENA A TUTTI I DETENUTI IN MEMORIA DI PAPA FRANCESCO Gentili Onorevoli, conoscendo la vostra sensibilità e influenza ci rivolgiamo a voi per chiedervi una iniziativa concreta e urgente che possa accogliere le parole e i gesti potenti del Santo Padre in apertura dell’anno giubilare e in occasione del giovedì santo, e non lasciare cadere il suo appello accorato alla Politica, che al di là di ogni valutazione di tipo organizzativo, numerico, attiene alla carità cristiana e al potere e al valore dei gesti. In occasione della Santa Pasqua di resurrezione, segno supremo del messaggio di redenzione possibile per tutti e per ciascuno, facendo tesoro delle parole di Cristo al ladrone in croce, vi chiediamo di proporre insieme e trasversalmente un gesto giubilare di clemenza, di inserire nel primo provvedimento utile un emendamento trasversale che riconosca a tutti i detenuti un anno di riduzione della pena, che sia un anno di indulto o un anno di liberazione anticipata speciale, così che l’anno giubilare che ha visto il gesto profetico di trasformare il carcere in Basilica, come ribadito dal Pontefice fino al suo ultimo respiro, possa essere un anno di grazia, di perdono, di redenzione. A oggi, 6 maggio 2025, lo hanno sottoscritto: On. ROBERTO GIACHETTI (Italia Viva); On. FABRIZIO BENZONI (Azione); On. MAURO BERRUTO (Pd); On. MARIA ELENA BOSCHI (Italia Viva); On. PAOLO CIANI (Pd); Sen. ILARIA CUCCHI (Misto-sinistra Italiana); Sen. GIUSEPPE DE CRISTOFARO (Misto- Sinistra Italiana); On. BENEDETTO DELLA VEDOVA (Misto +Europa); On. ELEONORA EVI (Pd); On. DOMENICO FURGIUELE (Lega); On. MARIA CHIARA GADDA (Italia Viva); On. GIAN ANTONIO GIRELLI (Pd); On. VALENTINA GRIPPO (Azione); On. MAURIZIO LUPI (Noi Moderati); On. RICCARDO MAGI (Misto + Europa); On. MARIA STEFANIA MARINO (Pd); On. GIORGIO MULÈ (Forza Italia); On. EMANUELE POZZOLO (Fratelli d’Italia); On. SILVIA ROGGIANI (Pd); On. PAOLO EMILIO RUSSO (Forza Italia); On. DEBORA SERRACCHIANI (Pd); On. LUANA ZANELLA (AVS). Per aderire allo sciopero della fame usa il link riportato sotto: Per saperne di piu' : https://nessunotocchicaino.it/ TRUMP RIAPRE ALCATRAZ, UN OLTRAGGIO ALLA MEMORIA DI PAPA BERGOGLIO E NELSON MANDELA Sergio D’Elia su l’Unità dell’8 maggio 2025 “La Roccia” emerge all’improvviso dall’acqua al centro della Baia di San Francisco e diventa pietra, fortezza, carcere di massima sicurezza. Come “Pena”, il mostro marino che, secondo il mito greco, strappava i figli alle madri e li uccideva, Alcatraz incute timore solo a sentirne parlare e a vederla anche da lontano. Per trent’anni è stato il luogo-simbolo della certezza e della terribilità della pena in America, una minaccia permanente per centinaia di migliaia di detenuti nelle prigioni del Paese, una prospettiva concreta per poche decine di prigionieri riottosi. La originaria fortezza militare diventa carcere duro agli inizi degli anni trenta del secolo scorso, durante la grande depressione, per proteggere la nazione dal pericolo pubblico costituito dal “peggio del peggio” della criminalità americana. Il primo gruppo di 137 prigionieri senza speranza di riabilitazione arrivò l’11 agosto del 1934 proveniente dal penitenziario di Leavenworth in Kansas. Giunse a Santa Venetia in California in treno e scortato ad Alcatraz da 60 agenti speciali dell’FBI e da ufficiali della polizia ferroviaria. Il “peggio del peggio” di loro, dicono le cronache, erano “noti ladri di banche, contraffattori, assassini o sodomiti”. I prigionieri continuarono ad arrivare alla spicciolata, qualche decina alla volta, durante tutto il 1935 e il 30 giugno, a un solo anno di vita, il penitenziario contava già 242 detenuti. Divenuta una delle prigioni più tristemente famose degli Stati Uniti, negli anni ospitò 1.576 detenuti. Ma i davvero “peggiori dei peggiori” criminali americani detenuti ad Alcatraz si contarono sulle dita di una mano. Tra di essi, uno dei primi ad arrivare e uno dei primi ad andarsene, fu Al Capone. Il capo mafia di origini italiane e pericolo pubblico numero uno dell’epoca del proibizionismo, rimase ad Alcatraz quattro anni e mezzo. Fece qualche lavoretto sull’isola, tra cui spazzare la cella e lavorare nella lavanderia, poi fu liberato. Ma non tutti erano Al Capone, che alla fine dalla Roccia è uscito sano e salvo. Trentadue detenuti, che erano entrati sani, dopo pochi anni erano usciti da Alcatraz con la camicia di forza, impazziti nell’isolamento e nella deprivazione dei più fondamentali sensi umani. Per liberarsi da Alcatraz, nei tre decenni di storia della prigione, 36 detenuti hanno tentato la fuga. Il più famoso è stato il tentativo fallito del maggio del 1946 noto come la “Battaglia di Alcatraz” nella quale persero la vita due guardie e tre prigionieri. Altrettanto famosa fu la fuga del giugno del 1962 di Frank Morris e dei fratelli John e Clarence Anglin. Non si sa se quella fuga abbia davvero avuto successo. Di fatto, ancora oggi, tutti e tre compaiono nella lista dei ricercati dell’FBI. Di tutti gli altri detenuti che tentarono la fuga da Alcatraz si ha la certezza che sono stati uccisi, sono annegati o sono stati catturati. A causa degli alti costi di mantenimento, il carcere di Alcatraz è stato chiuso il 21 marzo 1963. Ora, dopo quasi un secolo dalla sua apertura e oltre mezzo secolo dalla sua chiusura, il Presidente degli Stati Uniti d’America lo vuole riaprire. Coi suoi quattro blocchi di celle, l’ufficio delle guardie, la sala delle visite, la biblioteca, il barbiere, la lavanderia, la sartoria. Con le celle primitive di 4 metri quadrati e alte 2 metri, con il letto, un tavolo, un lavandino e una toilette sul muro di fondo sciacquata con acqua di mare. Senza alcuna privacy, senza luce e senza aria da una fonte naturale. E le cinque celle nel blocco D denominate “The Hole” (il buco) destinate ai detenuti più riottosi, isolati a tempo indeterminato e sottoposti a un trattamento brutale. Prima di morire Papa Bergoglio ha aperto la Porta Santa a Rebibbia e, con questo straordinario gesto simbolico e politico, ha “chiuso” il carcere. Dopo la sua morte, Trump si è vestito da Papa e ha riaperto il carcere di Alcatraz. Povero Papa Francesco, oltraggiato nella memoria e nella sua ferma opposizione alla tortura, anche a quella “forma di tortura – ha denunciato – che si applica mediante la reclusione in carceri di massima sicurezza”, con “la privazione di stimoli sensoriali, la completa impossibilità di comunicare e la mancanza di contatti con altri esseri umani”. Povero Nelson Mandela, tradito nelle Regole basilari che in suo nome le Nazioni Unite hanno stabilito per porre un limite al potere degli Stati nel modo di sorvegliare e punire e, in particolare, nella pratica del confinare un essere umano per un tempo indefinito, che è punizione crudele e inusuale in base a tutte le costituzioni democratiche e carte internazionali sui diritti umani. Quante storie e immagini d’altri tempi ritornano nell’America di Donald Trump! Quanti e quali effetti di risonanza esse hanno già nella nostra povera Italia! Nella cintura americana della Bibbia e dell’occhio per occhio, dopo le esecuzioni sulla sedia elettrica, nella camera a gas o tramite fucilazione, si arriva a infliggere la morte anche per asfissia, con il gas azoto che insufflato a forza nei polmoni elimina ogni traccia d’ossigeno dall’aria che respiri. Nella antica culla del diritto, la pena di morte è stata abolita, ma vige la pena fino alla morte e la morte per pena, il diritto costituzionale all’affettività è negato e qualcuno gode del fatto di togliere anche il respiro ai detenuti in 41 bis. Nella terra promessa della libertà e dell’accoglienza, si ergono muri e chiudono frontiere, e gli immigrati, non solo clandestini, rastrellati per strada, rasati a zero e incatenati mani e piedi, vengono deportati con gli aeroplani nei luoghi d’origine e carcerati. Nel Paese degli italiani-brava gente, migranti in massa in ogni parte del mondo, le persone in fuga da guerre, torture e povertà, approdate miracolosamente sulle nostre coste, sono recluse nei “centri per il rimpatrio” italiani o caricate sulle navi e scaricate in quelli albanesi. In una notte da incubo, dopo l’annuncio di Trump su Alcatraz, ho sognato la riapertura delle carceri di Pianosa e dell’Asinara. A Pianosa ci sono stato quasi due anni, nella Diramazione Agrippa, un edificio basso tipo hacienda messicana, battuto tutto l’anno e senza tregua dal vento, dal sole e dalla salsedine. Ricordo le lotte per avere maggiori spazi di socialità, le due costole rotte dalle guardie, la cella d’isolamento e la morfina che mi ha fatto dormire per due giorni e due notti. Alla fine, ottenemmo di fare partite tra squadre di sezioni diverse. A me interessava la socialità per giocare a pallone. Ad altri interessava la vita in comune per fantasticare rocamboleschi piani di fuga. L’Asinara è stata chiusa nel 1998 per volontà di Sandro Margara, illuminato giudice di sorveglianza e grande capo dell’amministrazione penitenziaria. Pianosa è stata chiusa una prima volta nel 1981 da una “rivolta” della polizia penitenziaria, stufa degli spazi troppo aperti e degli abusi di alcuni reclusi. Un giorno si sono presentati compatti in sezione e hanno marciato rumorosamente nei corridoi, hanno a perto le celle, picchiato i detenuti e abbattuto i muri a colpi di piccone. Un brutto sogno nel mezzo di una brutta storia che voglio abbia però un lieto fine. Lo affido a Robert Stroud ergastolano rinchiuso ad Alcatraz in regime di isolamento. La sua storia incredibile è stata anche raccontata dal regista John Frankeimer nel film “L’uomo di Alcatraz”. Un giorno, dice il racconto, durante l’ora d’aria nel cortile Robert trova sul selciato un passerotto agonizzante. Lo raccoglie, lo cura, lo salva. Allora, chiese e ottenne di poter allevare in cella alcuni canarini. Fu l’inizio del suo cambiamento. Studiò la biologia degli uccelli da gabbia, scoprì nuovi rimedi per curare le loro malattie, scrisse due trattati sulla materia, divenne un ornitologo di fama internazionale. Robert Stroud, la belva umana, isolata dal mondo esterno e dagli altri reclusi, a causa della sua indole violenta, divenne alla fine un uomo buono, dolce e compassionevole. Nell’America di Donald Trump si vuole aprire di nuovo il famigerato carcere di Alcatraz per “i criminali più spietati e violenti d’America”. “È un’idea che ho avuto, è un simbolo di legge e ordine”, ha spiegato il Presidente. Nell’Italia di Marco Pannella, il leader della nonviolenza, si vuole introdurre il nuovo reato di rivolta in carcere consumato mediante atti di “resistenza anche passiva” all’esecuzione degli ordini impartiti. Anche qui “per il mantenimento dell’ordine e della sicurezza pubblica”. L’illusione autoritaria degli stati di emergenza, del valore deterrente delle pene e dei regimi di detenzione, unisce oggi le terre d’origine di George Washington e di Cesare Beccaria, un tempo illuminate e governate da stati più elevati di diritto e di coscienza. ARABIA SAUDITA: ALMENO 100 PERSONE GIUSTIZIATE DA INIZIO ANNO Due persone sono state giustiziate in Arabia Saudita per reati legati al terrorismo, ha dichiarato il Ministero dell'Interno il 3 maggio 2025, portando il numero di esecuzioni effettuate nel Paese da inizio anno ad almeno 100, secondo un conteggio dell'AFP. L'annuncio del Ministero, pubblicato sui social media, afferma che i due cittadini sauditi sono stati giustiziati per il loro coinvolgimento in attività di "terrorismo", tra cui l'adesione a un'organizzazione terroristica e la partecipazione a campi di addestramento all'estero, dove avevano imparato a produrre esplosivi. "Dopo essere stati deferiti al tribunale competente, è stata emessa una sentenza che confermava le accuse a loro carico e ne ordinava l'esecuzione come punizione", si legge nel comunicato. Secondo un conteggio dell'AFP, delle 100 persone giustiziate finora quest'anno, 59 erano condannate per reati legati alla droga, 43 delle quali erano cittadini stranieri. Le esecuzioni sono state criticate duramente dai gruppi per i diritti umani. "Mentre l'Arabia Saudita si presenta come un attore diplomatico positivo, i partner internazionali hanno dimostrato di essere disposti a chiudere un occhio sulle sue gravi violazioni dei diritti umani", ha dichiarato Jeed Basyouni dell'organizzazione per i diritti umani Reprieve in una nota. "Le conseguenze? 100 esecuzioni e il numero continua a salire da gennaio, più della metà delle quali per reati di droga non letali, dopo le 345 esecuzioni dell'anno scorso", ha aggiunto Basyouni. Le autorità saudite hanno ripreso le esecuzioni per reati di droga alla fine del 2022, dopo una pausa di quasi tre anni. Secondo un precedente conteggio dell'AFP, almeno 338 persone sono state giustiziate lo scorso anno, quasi il doppio rispetto alle 170 del 2023 e di gran lunga superiore al precedente record noto di 196 nel 2022. Il mese scorso, Amnesty International ha criticato quella che ha definito una "allarmante impennata" nell'uso della pena di morte in Arabia Saudita, a seguito di una serie di esecuzioni legate a "reati di droga". Le autorità saudite affermano che la pena di morte è necessaria per mantenere l'ordine pubblico e viene applicata solo dopo che sono state esperite tutte le vie di appello. (Fonte: AFP, 03/05/2025) I SUGGERIMENTI DELLA SETTIMANA NESSUNO TOCCHI CAINO NEWS è un servizio di informazione gratuito distribuito dalla associazione senza fini di lucro Nessuno Tocchi Caino - Spes contra spem. Per maggiori informazioni scrivi a info@nessunotocchicaino.it |
Commenti
Posta un commento