La lettera di Gianni Alemanno "“Ammassati in celle roventi: la pena non sia tortura, sì alla liberazione speciale”
So chi è Gianni Alemanno e so anche quanto siamo distanti politicamente ma il punto non è proprio questo perchè la sua lettera dal carcere di Rebibbia è importante e merita di essere letta e condivisa.. Non ne posso più di quelli che dicono: Si è svegliato adesso? Ma quand'era al governo cos'ha fatto per le carceri? Ma i suoi compagni di merenda che fanno? Se sta in cella un motivo ci sarà... Non ne posso più dei garantisti opportunisti. Di quelli che sono garantisti col detenuto che più gli somiglia. Che sta dalla sua parte politica. Che ha una bella storia da trasformare in un film, in un libro. La vita è più complicata. Noi Radicali visitiamo tutti, se c'è la possibilità, gli uomini e le donne che sono rinchiuse in carcere. Non facciamo differenze fra lo spacciatore e il mafioso, fra il terrorista e il politico, fra l'assassino e il truffatore.
Basterebbe una visita in carcere per tacere e farsi prendere dai dubbi.
L'inferno che sono le carceri.
L'inferno che è il sistema giudiziario.
Quante storie.
Quante vite diverse.
Quanti sbagli e quanta voglia di cambiare. Quante balle. Quanti errori e quanta vita. Quanta povertà. Quanta droga. Quanta violenza.
Una volta che sono entrato in carcere ho trovato un uomo del paese vicino al mio. Da giovane era considerato il più figo della zona. Quello che avrebbe spaccato il mondo. Le fighe ai suoi piedi. E l'hot rovato lì che quasi si vergognava che sapessi chi fosse. Conosceva mio zio e i miei cugini che hanno quasi vent'anni più di me. Quando ci siamo parlati e mi ha raccontato degli arresti, della vita in carcere, della mancanza di speranza mi teneva la mano ed eravamo io e lui con le nostre vite. I suoi occhi pieni di lacrime e di senso di abbandono. So cos'ha combinato nella sua vita ma ho raccolto le sue parole e ne ho parlato a casa, coi parenti, coi miei cugini, i vicini di casa.
Una persona che probabilmente nessuno di voi vorrebbe mai frequentare.
Ma la sua voce, la sua storia meritava di uscire da quella merda di carcere.
La lettera è questa:
"Rebibbia, 30 giugno 2025
Signori Presidenti,
ci rivolgiamo a Voi che rappresentate il massimo punto di riferimento dell’attività parlamentare, per far sentire la nostra voce di persone detenute nel Braccio G8 del Carcere di Rebibbia NC. Siamo persone con esperienze molto diverse - una contraddistinta da un pluridecennale impegno politico e istituzionale, l’altra da una lunghissima esperienza carceraria vissuta studiando Giurisprudenza e lavorando come “scrivano” al servizio delle altre persone detenute - ma accomunate dallo stesso impegno per rendere pubbliche le drammatiche condizioni in cui si vive negli istituti penitenziari italiani.
Drammatiche condizioni che stanno esplodendo: nel cuore dell’estate italiana, mentre milioni di cittadini cercano refrigerio tra ventilatori e condizionatori, c’è un’Italia che brucia in silenzio, è quella delle carceri, dove oltre 62.000 persone vivono stipate in celle pensate per meno di 47.000, dove il caldo non è solo un disagio, ma una pena aggiuntiva, dove la dignità umana si scioglie, giorno dopo giorno, tra muri scrostati, letti a castello e finestre sigillate da pannelli di plexiglass.
Mentre le temperature superano i 45 gradi, i ventilatori sono un lusso per pochi, le celle sono camere a gas, le docce funzionano a intermittenza e l’acqua potabile scarseggia, ogni estate si ripete lo stesso copione: suicidi, proteste, appelli, e poi il silenzio. Nel carcere milanese di San Vittore il tasso di sovraffollamento ha superato il 220%, a Regina Coeli nel cuore di Roma è al 192%, mentre quello medio di tutti gli istituti di pena italiani è del 133% (calcolando non le capienze teoriche, ma i reparti realmente utilizzabili).
Nel 2024, ben 71 persone detenute si sono tolte la vita, nei primi sei mesi del 2025 siamo già a 38, un suicidio ogni cinque giorni, numeri che gridano vendetta, ma che non fanno rumore, perché chi muore in carcere, spesso, muore due volte, nella cella e nell'indifferenza collettiva. La Corte Europea dei Diritti dell'Uomo ha già condannato l'Italia per trattamenti inumani e degradanti, e se le cose non cambieranno rapidamente, il nostro Paese, “patria del diritto”, rischia si subire di nuovo la stessa umiliante condanna.
Prima di Voi ci siamo rivolti al Ministro della Giustizia: sono passati due mesi e non abbiamo ottenuto alcun riscontro, se non la notizia che il Ministero ha predisposto un piano di 32 milioni di euro per l’ampliamento di nove istituti penitenziari mediante l’istallazione di moduli detentivi prefabbricati. Ebbene, questo intervento dovrebbe mettere a disposizione 384 nuovi posti in cella, con un costo medio per detenuto di 83.000 euro: una goccia nel mare, a fronte di un sovraffollamento di più di 14.000 persone detenute.
Oggi ci rivolgiamo a voi, Signori Presidenti, perché riteniamo che l’unica possibilità di dare una risposta immediata, concreta e adeguata a questa emergenza, sia quella di approvare un provvedimento di legge con il concorso trasversale di forze politiche provenienti da ogni schieramento. Non un indulto o un’amnistia per i quali, non solo sarebbe necessaria una maggioranza qualificata, ma bisognerebbe sfidare un’opinione pubblica giustamente preoccupata dai problemi della sicurezza e della certezza della pena.
Pensiamo, invece, a quella che è stata definita la “Legge della buona condotta”, ovvero un provvedimento che preveda una “liberazione anticipata speciale” tale da aumentare lo sconto di pena già previsto quando le persone detenute mantengono un comportamento giudicato irreprensibile dagli Uffici di sorveglianza. Su questa ipotesi - come il Presidente La Russa ben sa - si sono già svolti degli incontri politici che hanno coinvolto l’on. Roberto Giachetti, che ha depositato una proposta di legge in questo senso, e l’on. Rita Bernardini, presidente dell'Associazione “Nessuno Tocchi Caino”, che sta conducendo proprio in questi giorni uno sciopero della fame per richiamare l'attenzione sull'emergenza carceri.
Ci rendiamo contro che nel frattempo sono intervenuti conflitti internazionali che hanno messo in secondo piano ogni dramma sociale, compreso quello delle carceri, ma adesso - prima della pausa estiva, che coinciderà con il momento peggiore per la condizione delle persone detenute - è necessario dare una svolta a questi contatti politici, mettendo nell’agenda parlamentare l'urgenza di intervenire sulla situazione degli istituti di pena.
Non chiediamo impunità, chiediamo umanità, non chiediamo clemenza, chiediamo giustizia, anche perché nessuna pena può diventare tortura, perché nessuna cella può diventare una tomba, perché nessuna persona mai dovrebbe essere trattata come meno di un essere umano.
Gianni Alemanno, ex sindaco di Roma e ministro
Fabio Falbo, scrivano del Braccio G8 di Rebibbia
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